Gian Luigi Beccaria, La Stampa 16/10/2012, 16 ottobre 2012
CORSIVI
Che io sappia, rottamazione fu parola usata la prima volta per indicare lo smantellamento di chi sta lavorando, mandarlo in pensione per far posto ai giovani, intorno a fine novembre 1998. Era venuta di moda nel suo senso proprio sotto Prodi, da quando fu usata per indicare le misura del governo per aiutare l’industria. Ma le parole prendono coloriture diverse seguendo la «filosofia» del momento. Oggi l’uomo è valutato soltanto se produce (e anche a livello intellettuale: le pubblicazioni dei ricercatori ora sono chiamate prodotti). I dipendenti, i collaboratori, le maestranze, gli operai sono semplici risorse umane. Se non producono, sono da buttare: da rottamare gli operai cinquantenni, se non rendono. Oggi rottamazione è un tormentone della politica: a sinistra non si parla che di politici dell’apparato da rottamare. Da destra (si vedano i giornali) si ripete lo stesso concetto attingendo dall’informatica: per la verità nel Pdl diconsi «formattatori» coloro che istruiscono il processo di riorganizzazione (di «un testo secondo un certo formato» in informatica, del «partito» in politica). Due parole per dire la stessa cosa, da una parte e dall’altra: chi prende dall’auto, chi dal computer.