Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 15 Lunedì calendario

IL CONTROPIEDE DI WALTER FA FINIRE IN FUORIGIOCO LA SQUADRA DEI RESISTENTI

E adesso, poveretti? Con la rinuncia di Veltroni i “rottamabili” rischiano di passare in via definitiva nella categoria dei “rottamandi” e di lì scivolare in quella, pressoché terminale, dei “rottamaturi”. Nulla ancora è chiaro, ma lo statuto del Pd, già indicato su altre vicende come preclaro esempio di farraginosa e contraddittoria ambiguità, non aiuta certo il percorso, e questo anche perché con il dovuto ritardo si è scoperto che a luglio, non si dirà alla chetichella, ma quasi, è stato arricchito di norme interpretative nel migliore dei casi destinate ad accrescere speranze, ma anche sospetti.
Così, per restare ai fatti e alle loro personalizzatissime concatenazioni, accade che chiamandosi fuori Veltroni in realtà egli chiama in causa Bindi, Marini, Finocchiaro, Franceschini, Fioroni e soprattutto D’Alema, l’eterno duellante, che pure lui si voleva chiamare fuori, ma poi invece si è sentito chiamato (da Renzi) alla lotta per la dignità della politica e del suo ruolo, eccetera. Per cui adesso lui invece vuole presentarsi alle elezioni. Tanto per smentire l’eterna e perennemente negata rivalità, nonché gli automatismi
che sovrintendono le scelte del
sistema mediatico.
Per cui si ritorna alla notizia del giorno e quindi alla classica “veltronata”, soave e perfida nella sua inconfondibile irreprensibilità. Dato il personaggio, maestro di narrazioni, si
può azzardare che il “Piccolo Principe”, romanzo di formazione walteriana, si è trasformato nel Principe Siddharta. Il quale, resosi conto che non voleva più vivere nel Palazzo, appunto ne uscì; e dopo essersi rasato la testa e aver indossato un abituccio da mendicante, andò a comunicarlo in prima serata a Fabio Fazio, pure affidando al pubblico televisivo il destino del suo ultimo romanzo,
L’isola e le rose,
e le sue recenti illuminazioni sulle utopie. Che a Montecitorio, occorre riconoscere, non è che abbiano tanto diritto di cittadinanza.
Non si dirà qui che si tratta di una sottile vendetta nei confronti degli oligarchi. Veltroni, a suo tempo autore de “La bella politica” (Rizzoli, 1995) ha tutte le ragioni per sostenere che la politica è diventata brutta; che l’impegno, la passione, il “dono”, addirittura, di cui parlava nelle sue “lezioni di politica” (poi finite in confezione “libro più dvd”) non si vedono più di tanto nemmeno nel Pd. Sembrano lontanissimi i tempi di “I care” e “We dream”. Inoltre, come più volte teorizzato, ha tutto il diritto a una boccata
di ossigeno.
Ma D’Alema e gli altri? Eh, pare già di vederli ironizzare sulla faccenda dell’Africa. A questo riguardo pare di ricordare che qualche anno fa, per qualche ragione polemica divenuta
secondaria, proprio D’Alema disse, o meglio gli attribuirono, e poi lui smentì, una frase che comunque suonava parecchio sua e che diceva più o meno benevolmente: “Adesso vado a prenderlo e ce lo porto io, Walter, in
Africa!”.
D’Alema possiede una sublime tigna e specialmente tempestiva. Nel giorno della rinuncia di Veltroni s’è saputo che dal Mezzogiorno sta per arrivare un uragano di firme per la candidatura di Max. Fioroni, del resto, ha già raccolto firme, però di parlamentari, e questo genere di pronunciamenti alle orecchie della nomenclatura vuol dire che ha già un piede fuori. Rosy Bindi, d’altra parte, a lasciare non ci pensa nemmeno, e siccome è la presidentessa del partito ha già spiegato, magari in modo un po’ sommario, che la funzione che ricopre le consente in ogni caso di interpretare cosa ha da intendersi per “deroga”.
E’ quest’ultima la paroletta magica, e sperimentata. Ora, anche senza rivangare l’episodio di un notabile laziale che nel 2006 fu escluso dalle liste col risultato che alcuni suoi esuberanti seguaci vennero a Roma a prendere a calci il portone dell’allora sede ds a via Nazionale, tra sottigliezze ermeneutiche, claque, lacrime, litanie e geremiadi quel notabile è poi ritornato a Montecitorio; per cui nell’incertezza dell’agognatissima deroga c’è chi si attacca alla formula: la mia sorte la deciderà il partito. Che è un modo di prendere tempo.
Solo che intanto Veltroni questo tempo lo ha parecchio accorciato e forse, anche grazie a Renzi e alla fine di sistema che si preannuncia, questa volta sta davvero per scadere. Tutto lascia
pensare che non andrà in Africa. Converrà comunque segnalare che quel suo buon proposito fu pronunciato per la prima volta nel marzo del 2001. E’ semmai la sua perseverante e incauta reiterazione, ampiamente documentata nella biografia “Il Piccolo Principe” di Damilano Gerina Martini (Sperling&Kupfer, 2007), che reca da allora annoiato fastidio a Veltroni e cupo divertimento ai suoi detrattori.
Nel corredo fotografico di quel libro c’è una foto di Walter bambino che fa le facce e le boccacce. Alle sue spalle ha un muro roccioso e negli anni in cui D’Alema interveniva ai congressi con l’uniforme del pioniere, lui indossa una felpa chiara con i Peanuts. C’è Snoopy sul tetto della sua cuccia con tre uccelletti e sotto Charlie Brown, Schroeder, Lucy e Linus. La scritta, in questo giorno particolarmente evocativa, dice: “
Happiness is being one of the gang”.
Felicità è essere uno della gang. In tempi di pop-politica c’è da chiedersi se i fumetti dicono sempre la verità.