Massimo Giannini, la Repubblica 15/10/2012, 15 ottobre 2012
GRILLI: MANOVRA EQUA, MA SI PUÒ CAMBIARE
“La legge di stabilità è un punto di svolta”. Appena rientrato da Tokyo, Vittorio Grilli traccia un bilancio della missione al Fondo Monetario Internazionale. “È andata molto bene. Tutti, da Christine Lagarde ai cinesi, apprezzano gli enormi passi avanti che l’Italia sta facendo. E a tutti è piaciuta molto la manovra che abbiamo appena varato…”. Ma nessuno, evidentemente, è profeta in patria. AGLI apprezzamenti degli organismi e dei partner internazionali fanno da contraltare le critiche severe che in Italia i partiti e le parti sociali stanno scaricando sulla Legge di stabilità. Pd, Pdl e stavolta persino “l’ultraortodossa” Udc di Casini sparano a zero sulle iniquità della manovra, che da un lato concede qualcosa sull’Irpef, ma dall’altro lato prende molto sulle detrazioni, le deduzioni e l’Iva. La Confindustria è perplessa, la Cgil annuncia lo sciopero generale.
E allora, nella settimana che coincide con l’avvio del dibattito parlamentare sul provvedimento, il ministro dell’Economia ci tiene a ribadire il suo messaggio: «Abbiamo voluto lanciare un forte segnale al Paese: il rigore sta dando i suoi frutti, e questi frutti possiamo cominciare a restituirli ai cittadini, avviando un percorso di riduzione della pressione fiscale. Ora, io capisco le critiche su alcuni punti specifici del provvedimento. Ma qui, per la prima volta da molto tempo, noi tagliamo di due punti le aliquote Irpef sui redditi più bassi. Questo segnale va raccolto, dalla politica e dalla società, perché è positivo. Ma se anche questo, nella polemica quotidiana, viene trasformato in una segnale negativo, allora diventa un suicidio per il Paese». Prima di tutto, Grilli cerca di difendere il senso politico della Legge di stabilità. «Dopo molti mesi di sacrifici necessari, noi con questa manovra di parziale riduzione della pressione fiscale vogliamo cambiare le aspettative delle famiglie e delle imprese. Vogliamo ridare speranza agli italiani, che con grande senso di responsabilità hanno capito cosa abbiamo rischiato, e si sono rimboccati le maniche».
LA MANOVRA: “PUNTI CRITICI, MA SCELTE DI EQUITÀ”
Questa iniezione di fiducia, secondo Grilli, non va dispersa nello scontro del giorno per giorno. «Mi rendo conto che certi toni vengono esasperati dalla campagna elettorale ». Ma nella Legge di stabilità ci sono alcuni aspetti oggettivamente discutibili. Per molti scaglioni di reddito, l’effetto della riduzione delle detrazioni e delle deduzioni annulla completamente l’abbattimento delle aliquote Irpef. Non solo: la tassazione supplementare su alcune voci, come le indennità di accompagnamento
per gli invalidi, rende molto meno equilibrata una manovra che invece avrebbe dovuto avere una forte cifra “sociale”. Il ministro non nasconde il problema, ma vuole chiarire: «Guardi, a regime, con la nostra manovra sull’Irpef, rimettiamo 6 miliardi di euro nelle tasche degli italiani, e ne riprendiamo 1,2 attraverso la riduzione delle detrazioni e delle deduzioni. Faccia lei il saldo. Non solo: quei 6 miliardi li restituiamo ai redditi più bassi, e quegli 1,2 miliardi li spalmiamo su tutti i contribuenti. Mi dica lei se questa non è una scelta di equità…».
Detto questo, Grilli riconosce che qualcosa da rivedere c’è: «Ci sono alcuni punti del provvedimento che possono essere corretti. Il governo è disponibile a discuterne, e ad accogliere le proposte migliorative che verranno dalle forze politiche in Parlamento. A condizione, ovviamente, che non vengano alterati i saldi, e che non cambi il senso complessivo della manovra. Per esempio, sull’incidenza del provvedimento nella cosiddetta fase transitoria si può discutere ». Il colpo di scure delle detrazioni agisce in senso retroattivo sul 2012, per altro in violazione di un principio fissato dallo Statuto del contribuente. Il ministro ne è consapevole: «Prima di procedere, abbiamo fatto varie ipotesi. Una di queste prevedeva anche la sterilizzazione del 2012. Purtroppo ci siamo resi conto che, facendo questa scelta, non avremmo avuto le risorse per coprire la riduzione immediata delle due aliquote Irpef, quella del 23% e quella del 27%, ma solo della prima. Ma poiché volevamo trasmettere una scossa forte al Paese, soprattutto in termini di aspettative, abbiamo preferito accantonare l’ipotesi, ed abbattere
subito entrambe le aliquote».
Certo, anche il mantenimento di un punto in più sull’aliquota Iva è stata una decisione dolorosa: ma se l’anno prossimo le condizioni lo permetteranno il governo farà di tutto per eliminare anche quello.
LA RICHIESTA DI AIUTI: POSSIBILE BOOMERANG
Da oggi, nell’iter parlamentare del provvedimento, si potrà correggere il tiro. «E’ un disegno di legge e non un decreto – chiarisce ancora Grilli - e quindi è aperto per definizione ai contributi delle Camere. Io accetto tutte le critiche, ma su un punto vorrei esser chiaro: per mesi siamo stati criticati perché
abbiamo aumentato troppo le imposte e non abbiamo tagliato abbastanza le spese. Ora ci criticano perché riduciamo le imposte e tagliamo troppo le spese. Mi sembra un modo un po’ autolesionistico di giudicare l’azione di governo ». Lo stesso autolesionismo che, secondo il ministro del Tesoro, caratterizza il dibattito in corso sull’Agenda Monti, che a destra e a sinistra si ha troppa fretta di “liquidare”. «Un altro suicidio, anche quello…», commenta, e invita a «fare un giro nelle cancellerie, o anche solo tra un po’ di investitori al di là delle Alpi». Emerge la stessa, ossessiva domanda che ha tenuto banco al vertice del Fondo monetario
di questo fine settimana: «Il tema non è più se l’Italia ce l’ha fatta o no, ma che cosa succederà in Italia dopo le elezioni del 2013. E che fine faranno la riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro».
Che l’Italia per il momento sia salva, per Grilli è una certezza. «I conti pubblici sono in sicurezza, e questo ce lo riconoscono tutti, la Ue, la Bce, l’Fmi e gli altri partner europei. Nel 2013 centreremo l’obiettivo del pareggio strutturale di bilancio, e senza aver bisogno di aiuti di alcun genere. Noi siamo convinti e lo ribadiamo ancora una volta: non chiederemo interventi alla Bce o al Fondo Salva-Stati, per-
ché non ci servono». Il ministro non lo dice, ma a questo punto, come si è convenuto anche in questi quattro giorni di summit a Tokyo, se l’Italia chiedesse gli aiuti adesso rischierebbe un effetto boomerang sui mercati: dopo aver ripetuto da tre mesi che gli aiuti non servono, se Monti ne facesse richiesta all’improvviso gli operatori internazionali potrebbero pensare a qualche emergenza contabile o finanziaria nascosta, o non dichiarata, e a quel punto l’attacco al debito sovrano sarebbe inevitabile.
Dunque, nessun aiuto. Il governo si aspetta piuttosto che gli aiuti li chieda la Spagna, che ne ha bisogno per il peggioramento del suo deficit e della crisi bancaria, e che sara “il test ideale” per verificare l’efficacia degli strumenti messi in campo dalla Bce e dall’Esm. E il governo si aspetta anche una valutazione prudente sulla possibilità di concedere una proroga ulteriore alla Grecia, come sembra sia intenzionata a fare la Trojka. «L’Italia – ragiona Grilli - sosterrebbe il costo maggiore. Già nell’ultimo biennio il nostro debito pubblico è aumentato di 4 punti a causa dei prestiti a Grecia, Irlanda e Portogallo. Se scatteranno gli aiuti alla Spagna per non meno di 100 miliardi, la quota parte italiana sarà pari a un altro punto e mezzo di Pil. Insomma, dobbiamo essere generosi, ma dobbiamo valutare con prudenza anche l’impatto sulla finanza pubblica. Tanto più che attraversiamo una fase congiunturale ancora molto, molto difficile».
RIPRESA, MA SOLO CON UN PATTO SULLA PRODUTTIVITÀ
Anche questo è stato il cuore del vertice del Fondo monetario appena concluso. Le prospettive dell’economia globale, la crescita che
non c’è, la ripresa possibile. Il presidente della Bce Draghi vede uno spiraglio all’orizzonte, all’inizio del 2013. Il ministro del Tesoro concorda, anche se non si fa troppe illusioni: «Nella seconda metà del 2012 le economie del pianeta sono crollate. Il Brasile è passato da una crescita dell’8% a un modestissimo 1%, e un fenomeno analogo è accaduto in India e in Cina. Con l’inizio del nuovo anno, le cose dovrebbero migliorare: i cinesi ci hanno assicurato che allenteranno la stretta fiscale e monetaria, dopo averne esagerato la portata per paura dell’aumento dei prezzi alimentari e immobiliari. Questo potrà portare benefici anche al resto del mondo. Ma per contro, bisogna vedere cosa accadrà negli Stati Uniti, dove pesa il rischio del “fiscal cliff” e non è chiaro lo sbocco delle elezioni presidenziali”. Insomma, il quadro è ancora incerto. Ed è per questo che l’Italia, secondo Grilli sofferente di una «crisi di domanda con aspettative negative che si stanno autoavverando », aveva bisogno di una «scossa fiscale». La Legge di stabilità è stata concepita con questo spirito. Anche se i risultati, per adesso e ancora una volta, non soddisfano le attese di equità e di giustizia sociale.
A questo punto, a completare la missione del governo Monti non manca molto. Il ministro fissa i punti, di qui alla prossima primavera: approvazione della Legge di stabilità, decreto sulle spese delle Regioni, riforma costituzionale del Titolo V e dell’articolo 81 “rafforzato”, ddl sulla corruzione, e poi, soprattutto, nuovo patto sulla produttività. Il confronto triangolare è in corso, il sentiero è in salita. Il governo ritiene di aver fatto la sua parte, finanziando proprio con la Legge di stabilità gli sgravi fiscali sul salario di produttività. Ma questo non è sufficiente. E allora, come già aveva fatto Corrado Passera, anche Grilli rinnova il suo appello: «Il gap che esiste in Italia sulla produttività spiega anche il dissesto dei conti pubblici di questi anni. Quel gap è insostenibile, e va colmato al più presto. Imprese e sindacati devono fare uno sforzo, mettere da parte le pregiudiziali ideologiche, e consentire al Paese di fare il salto di qualità». Appello sacrosanto. Purché non si traduca, ancora una volta, nella solita “via italiana” alla competitività: non meno costo del lavoro per unità di prodotto, ma semplicemente meno salario reale in busta paga.