Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 13 Sabato calendario

ORSI FINALE DI PARTITA

Giuseppe Orsi non vuole dimettersi, contro ogni logica. Per un manager come lui, con una carriera tutta nel commerciale, lasciare il vertice di Finmeccanica senza liquidazione milionaria (come il suo predecessore e arcinemico Pier Francesco Guarguaglini) sarebbe una sconfitta umiliante. Ma la sua resistenza sta provocando una difficoltà molto seria al governo. Escluso dalla partita il ministro competente, Vittorio Grilli, in difficoltà per l’intercettazione in cui lo stesso Orsi parla di favori fatti alla sua ex moglie, Mario Monti sta gestendo la vicenda in prima persona, con l’aiuto del sottosegretario Antonio Catricalà.
Da mesi il presidente del Consiglio ha attivato una sorta di moral suasion strisciante nei confronti delle procure. Il governo teme che l’inchiesta esploda. Gli effetti sulla sorte di Finmeccanica sarebbero gravissimi. Il coinvolgimento del numero uno in uno scandalo di corruzione internazionale finirebbe sulle prime pagine di tutto il mondo, e il gruppo industriale pubblico rischierebbe di essere automaticamente escluso da tutte le gare internazionali in corso. Finmeccanica ha 70 mila dipendenti, e vende in tutto il mondo prodotti e sistemi sofisticati: armi di ogni genere, dai carri armati ai cannoni ai siluri, aerei civili e da guerra, elicotteri da vip e antiguerriglia, radar, missili e satelliti, elettronica militare varia, e poi treni, centrali elettriche e quant’altro rimane di una tradizione antica di industria a 360 gradi risalente all’impero genovese dell’Ansaldo. I suoi clienti sono quasi esclusivamente i governi.
E QUINDI È EVIDENTE che il ministro asiatico o il dittatore centrafricano, vedendo il nome Finmeccanica associato a una scandalo internazionale di corruzione, preferirebbero evitare il made in Italy, se non altro per non alimentare sospetti che anche il nuovo affare sia in odor di tangente. A maggior ragione se la tangente, com’è d’uso nei sofisticati mercati internazionali, fosse la benvenuta.
Ma se il governo non vorrebbe assistere a una svolta negativa delle indagini, la procura di Napoli (partecipando con solerzia alla corsa al senso di responsabilità oggi così necessario e di moda) per mesi ha cercato di far arrivare a palazzo Chigi, e forse anche più in alto, segnali inequivocabili: abbiamo trovato riscontri schiaccianti alle accuse di Lorenzo Borgogni (vedi articolo qui sotto), e se Orsi resta al suo posto di amministratore delegato di Finmeccanica il rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle prove (le due ragioni di un possibile provvedimento cautelare) diventa fortissimo e non possiamo fare finta di non vederlo oltre un certo limite. Da due giorni nei corridoi di palazzo Chigi, ma soprattutto dietro le porte che contano, ci si interroga sull’uscita dei nuovi atti d’indagine che rendono la posizione di Orsi indifendibile.
ANCORA PRIMA che le esplosive intercettazioni del mediatore svizzero Guido Haschke uscissero sui giornali, qualcuno ha spiegato al premier (ma è probabile che ci fosse già arrivato da solo) come in un certo senso i magistrati abbiano voluto fare un estremo tentativo di far capire la gravità della posizione di Orsi.
Non solo le parole di Haschke confermano involontariamente, e quindi in modo ancora più convincente, le accuse di Lorenzo Borgogni, ma nelle carte processuali circolate manca quello che potrebbe essere il colpo del ko: l’interrogatorio dello stesso Haschke. Intercettato per mesi mentre da una parte architetta sistemi più o meno astuti per eludere le indagini dei pm italiani, e dall’altra parte nelle concitate discussioni con i suoi coindagati regala agli inquirenti una raffica di dettagli utili a ricostruire il meccanismo del malaffare.
Difficile ipotizzare che quando Piscitelli e Woodcock sono andati a interrogarlo a Lugano, squadernandogli davanti le confidenze raccolte per mesi dal telefono e dalle cimici nella sua Audi, Haschke abbia potuto negare tutto. Più plausibile che abbia ammesso e specificato, visto che, per come sembra messa la vicenda, il cittadino svizzero appare quello che rischia meno. Haschke fa la figura del professionista più serio in mezzo alla variopinta combriccola di manager pubblici che fanno affari in giro per il mondo sotto l’occhiuta guida di Orsi.
Il governo adesso teme che con l’interrogatorio di Haschke il cerchio intorno a Orsi si sia chiuso. E che la procura di Bustro Arsizio, dove l’inchiesta è stata trasferita l’estate scorsa, stia giocando al gatto col topo con l’indagato, aspettando sobriamente le mosse del governo prima di affondare il colpo. Ma è anche possibile, in questa Italia dei corti circuiti istituzionali, che Monti sappia già tutto, e aspetti ancora, qualche ora, che Orsi si rassegni alle dimissioni, prima di silurarlo con un comunicato stampa, come fece l’anno scorso, appena entrato a palazzo Chigi, con Guarguaglini. Poi c’è il problema spinoso della ricerca di un sostituto. Ma questa è un’altra storia.