Lionello Mancini, Il Sole 24 Ore 15/10/2012, 15 ottobre 2012
LE BUONE REGOLE CHE NON VALGONO PER GLI ELETTI
L’ultima tempesta giudiziaria sulla Regione Lombardia - con l’arresto dell’assessore alla Casa, Domenico Zambetti, eletto con i voti comprati dalla ’ndrangheta - merita nuove riflessioni.
Tempi. Zambetti, rieletto nel 2010, da due anni ripaga il suo debito in denaro, favori, assunzioni. Se la Dda di Milano - cui non spetterebbe di verificare la moralità degli eletti - non avesse seguito e spiato due esponenti delle ’ndrine attive in Lombardia, non avrebbe ascoltato i dialoghi che hanno poi incastrato l’assessore. Per il lavoro dei Pm, 12 o 24 mesi sono tempi fisiologici, utili a raccogliere prove, richiedere misure cautelari, dare al Gip il tempo di studiare le carte, ottenerne un’ordinanza, eseguire gli arresti; ma due anni sono un tempo enorme per un amministratore venduto che inquina il mercato, distribuisce appalti, dirotta fondi su imprese amiche, con conseguente asfissia delle altre. Minimizzare. A poche ore dal blitz, già si sentiva parlare di «mela marcia», di voto «solo» locale, di un assessorato alla Casa che «con l’Expo non c’entra nulla», come per il «mariuolo» Chiesa di craxiana memoria: un errore miope e gravissimo, che prepara un futuro fosco. Offrire, com’è avvenuto nel 2011 a Rho, 200 voti alla piccola lista civica che appoggia il candidato sindaco leghista significa per le cosche inserirsi nella scia di un esponente politico il quale potrebbe amministrare il territorio dell’Expo, mentre al Pirellone è presidente del Consiglio regionale e che, magari, domani siederà in Parlamento. Una road map dello scambio fitta di occasioni. E poco importa se, per questa volta, l’esponente della lista civica rifiuta i voti delle lobby "strane" (cioè ha capito benissimo con chi ha a che fare): il punto è che nemmeno lui considera quell’offerta un fatto da denunciare alla polizia. Lo stesso sindaco di Sedriano, altro indagato pienamente asservito ai calabresi, si stava preparando a correre per le politiche del 2013, mentre Vincenzo Giudice per aiutare la figlia Sara prometteva subappalti pubblici direttamente in Calabria. Minimizzare questi fatti significa negare che ogni minimo contatto con le cosche è irrilevante quanto la minuscola
crepa in una diga. Partiti. Una prima conclusione è ovvia quanto disattesa. Evitare di irrobustire il malaffare e rifondare una classe politica degna e affidabile, non è lavoro da Procure, ma da partiti e istituzioni. E la vigilanza non può che iniziare dal basso, dai candidati, dai poteri periferici, dai comportamenti quotidiani, dalla radiografia severa di chi intende rappresentare altri cittadini. Sono filtri che non richiedono indagini, pedinamenti, intercettazioni e nemmeno solide prove, ma categorie civiche e politiche che diffidano delle figure opache, non le candidano, bollano come inaccettabile il loro appoggio, i loro soldi, persino la loro mano tesa da stringere per una foto. Quante figure locali e marginali sono poi assurte alla guida di comunità più numerose, a gestire sempre più soldi, a mediare interessi sempre più vasti. Considerazioni molto semplici eppure, incredibilmente, è esattamente ciò che i partiti sembrano voler evitare, bloccando leggi come l’anticorruzione e ostinandosi a voler ricandidare indagati, pregiudicati, affaristi e faccendieri purché gonfi di pacchetti di voti. Proprio gli interlocutori perfetti dei criminali, ma al fatturato in voti non si rinuncia, costi quel che costi… Imprese. Intanto leggi severe e complicate impongono ben altro rigore, attenzione e sacrifici ai soggetti economici su quegli stessi campi - appalti, sicurezza, anti-riciclaggio - allegramente violati da chi quelle norme produce. Oltre a queste leggi (che restano valide e a volte necessarie), alcune imprese si caricano ulteriori livelli di responsabilità firmando protocolli di legalità, assentendo alle white list, chiedendo un rating di legalità frutto di adesione a moderne regole di governance. Ma questo iato così evidente tra politica ed etica va colmato al più presto anche per rendere più credibili e accettabili gli obblighi che la prima impone (solo) alla seconda.