Beda Romano, Il Sole 24 Ore 14/10/2012, 14 ottobre 2012
NEI PAESI DELL’AUSTERITY IL DEBITO CONTINUA A SALIRE
Da almeno due anni, i Governi europei stanno lavorando alacremente per rimettere ordine nei propri conti pubblici. Superati l’emergenza provocata dal fallimento di Lehman Brothers nel 2008, e salvataggi miliardari di numerose banche, l’establishment politico sta tentando di ridurre l’indebitamento. I risultati sono (per ora) paradossali. Malgrado tagli alla spesa e aumenti delle tasse, il debito in molti Paesi è aumentato drammaticamente.
Alcune cifre sono particolarmente significative. Dal 2007 a oggi, il debito pubblico in alcuni dei Paesi più fragili della zona euro ha subito un forte aumento: del 368% in Irlanda, del 123% in Spagna, del 74% in Portogallo, del 58% in Grecia (cifre più precise sono pubblicate in una tabella in questa stessa pagina). In molti Paesi l’indebitamento ha ormai superato di slancio il 100% del Prodotto interno lordo. L’andamento dei debiti pubblici sta mettendo a dura prova la strategia europea.
Questa settimana da Tokyo il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha puntato il dito contro un eccesso di austerità. L’aumento del debito è dovuto anche alla presenza di un circolo vizioso: in un contesto economico debole, il risanamento dei conti pubblici pesa sulla ripresa a breve termine, riducendo le entrate fiscali e aumentando di converso il disavanzo pubblico. «Senza crescita l’economia globale è in pericolo», ha detto la signora Lagarde.
Appena quattro mesi fa i Paesi dell’Unione europea varavano un growth compact. Sulla falsariga del fiscal compact, questo insieme di misure nazionali ed europee doveva essere lo strumento per rilanciare l’economia e stemperare le tensioni sociali. Per ammissione di molti qui a Bruxelles, il pacchetto tarda ad avere un impatto significativo sulla crescita, tale da spezzare il circolo vizioso tra contrazione del bilancio e recessione dell’economia, di cui giovedì ha parlato anche il premier Mario Monti.
Nel vertice del 18-19 ottobre, i governi ribadiranno il loro impegno. Basterà? A essere onesti, l’aumento del debito non è dovuto solo al circolo vizioso tra austerità e recessione, ma anche a un incremento del servizio del debito e a salvataggi bancari molto costosi. In un rapporto di un gruppo di lavoro guidato dal governatore finlandese Erkki Liikanen, si stima che il sostegno pubblico al sistema finanziario tra il 2007 e il 2010 è stato di 1.600 miliardi di euro, pari al 13% del Pil dell’Unione.
La situazione in Grecia è nota. Nonostante gli sforzi di questi ultimi anni, il debito è oggi del 170% del Pil. Ma vi sono Paesi dove la situazione è sorprendentemente simile. Per esempio, il Portogallo. Secondo le stime del Governo di inizio anno, il debito portoghese doveva essere nel 2012 del 113,1% del Pil e nel 2013 del 115,7% del Pil. Qualche giorno fa, le previsioni sono state riviste rispettivamente al 119,1% del Pil - pari a un aumento di 13 punti rispetto al 2011 - e al 124% del Pil.
A Bruxelles ci si interroga sulla bontà della strategia seguita finora. Non per altro sia la Spagna che il Portogallo hanno ricevuto un anno in più per raggiungere gli obiettivi di bilancio. La Grecia potrebbe presto beneficiare di due anni in più. Il 7 novembre il commissario agli affari economici Olli Rehn pubblicherà nuove stime di deficit e di crescita. Sarà interessante capire che giudizio darà della scelta del governo Monti di ridurre (di poco) le tasse per i meno abbienti pur di calmare le tensioni sociali.
Nel frattempo, alla fine di questa settimana, i 27 torneranno sull’impegno di rilanciare la crescita con il growth compact. In un canovaccio delle conclusioni del vertice si legge che tutti gli impegni presi in giugno devono essere «adottati pienamente e rapidamente». Ammetteva nei giorni scorsi un responsabile europeo: «Ci sono ritardi». La stessa Banca europea degli investimenti, per esempio, non ha ancora ufficializzato il previsto aumento di capitale da 10 miliardi di euro.
Il growth compact prevede investimenti pubblici, ma anche misure per rafforzare il mercato unico, promuovere la realizzazione di reti digitali e di trasporto, sostenere la ricerca, liberalizzare il tessuto normativo, sviluppare un sistema fiscale più equo, e aiutare il commercio internazionale. La strategia è chiara; il suo successo meno. Dietro alle drastiche cure di austerità si nasconde in fondo anche l’assetto stesso di una unione che rimane una confederazione tra Stati sovrani.
Fin tanto che i mercati finanziari potranno mettere a confronto i Paesi, penalizzeranno gli Stati membri ritenuti più fragili, e imporranno politiche restrittive in un contesto nel quale non si può agire né sul tasso di cambio né sul tasso d’interesse. Per ora il tentativo di risanare i debiti nazionali, rilanciando la crescita a livello europeo, mostra la corda. Rimangono due strade: la mutualizzazione dei debiti o l’aumento dell’inflazione. Seppur in modo diverso, ambedue sono controverse.