Stefano Carrer, Il Sole 24 Ore 13/10/2012, 13 ottobre 2012
YUAN AI MASSIMI DAL ’94 SUL DOLLARO
La Cina lancia segnali di avanzamento nel lento processo di liberalizzazione valutaria consentendo allo yuan di toccare i suoi massimi storici, proprio mentre il Giappone moltiplica i suoi sforzi diplomatici per preparare il terreno a un eventuale intervento diretto sul mercato dei cambi per contrastare l’ascesa dello yen. La Banca centrale cinese ha alzato ieri dello 0,2% la parità centrale dello yuan sul dollaro a 6,3264 e la divisa cinese ha chiuso la giornata praticamente al rialzo massimo giornaliero permesso dell’1%, toccando quota 6,2672, il livello più alto dalla riforma del cambio del 1994.
Il passo dell’apprezzamento degli ultimi giorni ha sorpreso vari analisti, tanto più che arriva a ridosso della imminente comunicazione dei dati su export e Pil che dovrebbero dimostrare un rallentamento del passo della crescita (in particolare di quello delle vendite all’estero). Ma non è insolito che Pechino dimostri più flessibilità in occasione o in anticipazione di significativi eventi internazionali nei quali la sua politica di stretto controllo valutario può venire più diffusamente criticata: la sua mossa coincide con il meeting annuale dell’Fmi e della Banca mondiale a Tokyo e avviene ormai a ridosso delle elezioni presidenziali statunitensi (con uno dei due candidati, il repubblicano Mitt Romney, che si è detto pronto a dichiarare immediatamente la Cina come un Paese manipolatore valutario).
In una conferenza a margine dell’assemblea Fmi il vicegovernatore della People’s Bank of China, Yi Gang, ha dichiarato con insolita franchezza che lo yuan è da considerare ormai vicino al livello di equilibrio, grazie a una «notevole riduzione degli interventi da parte della Banca centrale».
Intanto il Governo giapponese si è scatenato in una campagna di lamentele per il cambio dello yen, che ritiene sottovalutato, al fine di cercare comprensione per possibili manovre dirette a indebolirlo. Ha sollevato la questione durante i colloqui del G7, mentre ieri lo stesso premier Yoshihiko Noda se n’è lagnato sia nell’incontro con il numero uno dell’Fmi Christine Lagarde sia in quello con il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner, sottolineando che la combinazione di export debole e yen forte mette a rischio la crescita dell’economia nipponica. Ma dagli altri Paesi avanzati, su questo punto, sono arrivate solo silenziose prese d’atto.