Giampaolo Ormezzano, la Stampa 15/10/2012, 15 ottobre 2012
MERONI, VITA BREVE DI UN ARTISTA CONTESO
Sono quarantacinque anni da che è morto a 24 anni e mezzo, colpito da un’auto e travolto da un’altra, il calciatore/pittore Meroni - Luigi per l’anagrafe di Como dove era nato il 24 febbraio 1943, Luigino i per i famigliari, Gigi per i tifosi del Toro (e prima del Como e del Genoa) in cui giocava dal 1963-64 all’ala destra con l’allora classico numero 7 - e ancora si parla di lui come se fosse un personaggio attuale, o comunque attualizzabilissimo: perché era un uomo libero per conto anche di altri. A Torino ci sono due cippi a ricordarlo in loco, corso Re Umberto, si fronteggiano. Uno è quello voluto dal Comune nel 2007, un parallelepipedo in granito rosa, incastonata la fotografia di lui. L’altro è quello inventato ben prima da Enrica Genesio, una sua tifosa fervente: la semplice stessa foto con cornice povera, un anello metallico per contenere i fiori che lei portava. I tifosi lasciano le sciarpe intorno al cippo di Enrica. Ce ne sono sempre, in pellegrinaggio, incredibile se si pensa allo spessore del tempo. Non c’è niente di ufficiale del Toro. La villa a Grugliasco dove ha sede il Museo della Memoria Granata ospita molti cimeli di Gigi raccolti dai tifosi speciali Beccaria e Muliari. E il 24 febbraio 2013 ci sarà una mostra per i settant’anni che Gigi avrebbe compiuto.
La storia di Meroni ha tanti addentellati con l’incredibile, sparsi nella sua breve vita. Alla rinfusa: incredibile che alla guida dell’auto che il 15 ottobre 1967 lo urtò (lui aveva fatto un balzo all’indietro attraversando il corso, era la sera di Torino-Sampdoria 4 a 2, esordio in granata di Aldo Agroppi che sarebbe diventato un po’ Meroni, impaurito da un’altra auto che sopraggiungeva pattinando – era sera e piovicchiava – sull’asfalto scuro) ci fosse Attilio Romero, suo tifosissimo, che sarebbe poi diventato presidente del Torino; incredibile che sette giorni dopo il suo Toro travolgesse per 4 a 0 la Juve nel derby delle lacrime; incredibile che quando Gigi era già un artista del dribbling e del gol felpato il commissario tecnico della Nazionale, Edmondo Fabbri, avesse deciso togliergli la maglia azzurra perché insisteva a portare i capelli troppo lunghi; incredibile che lo stesso Fabbri allenando il Torino avesse ritrovato Meroni e si fosse legato a lui, che pure si vestiva di abiti strani cuciti su disegni suoi e girava con una gallina al guinzaglio, al punto di patire un malore al funerale; incredibile che Gianni Agnelli monarca di Torino avesse rinunciato a spostarlo alla sua Juventus temendo sommosse di popolo; incredibile che si scoprisse che il comandante dell’aereo di Superga, 4 maggio 1949, si chiamava Luigi Meroni; incredibile che intorno ad una carriera breve e non ricca di gloria solenne siano nati così tanti libri, opere teatrali,canzoni, manifestazioni assortite; incredibile che un folle abbia profanato la sua tomba a Como asportando dal cadavere il fegato e poi consegnandosi alla polizia; incredibile che la bellissima Cristiana fosse diventata la compagna di Gigi, da lui conosciuto in un luna park di Genova, lei standista al tiro a segno, lei che forzata alle nozze aveva rifiutato, per amore del ragazzo che piangeva sul sagrato della chiesa, il marito che i suoi le avevano imposta; incredibile che don Francesco, il prete granata, avesse benedetto quell’unione «sacrilega» di cui conosceva la purezza, e avesse parlato di un grande amore nella cerimonia funebre, alla faccia delle beghine; incredibile – ricordo personale, eravamo di fianco a lei – l’urlo, mai così intenso udito in tanta vita, un «no» pieno di rabbia e di amore, che Cristiana eruttò quando la porta che dava ai locali del pronto soccorso dell’Ospedale Mauriziano si aprì e un dottore si limitò a spalancare le braccia.
La sorella di Gigi anzi Luigino, Maria, vive a Como, ha un nipotino che ovviamente si chiama Luigino e a lui si aggrappa per il futuro, il presente patisce sospiri costanti: «Bello sapere che tanti ricordano mio fratello, triste pensare che lui abbia visto i suoi sogni spezzati così». Vive nella casa che il ragazzo aveva regalato alla famiglia con i primi grossi guadagni: «Sognava di lasciare presto il calcio, troppi soldi, gli piaceva giocare a pallone ma con i ragazzini, lui era tenero e fragile. Voleva tutti i parenti con lui, stessa casa. Voleva fare il pittore, dipingere il suo lago. Da giovanissimo aveva fatto il disegnatore di cravatte per i nostri setaioli». Gigi Meroni nel suo studio torinese in piazza Vittorio, per tanti anni anche sua abitazione, dipingeva, in mancanza del suo lago e con il Po schermato dalle case, mazzi di fiori e autoritratti e ritratti di Cristiana. Dice Maria: «Vorremmo fare una grande mostra per i suoi settant’anni, il 7 era il suo numero amato, non solo quello della maglia». Ci sono dei problemi per i quadri, un contenzioso, di affetti esclusivizzanti ma non solo, fra lei e Cristiana, che ha vissuto a lungo in Costarica e ora sta in Italia. I quadri stanno prendendo valore, alcuni subacquei di un club di amanti del mare e del Toro hanno fatto una mini mostra l’anno scorso a Santa Margherita Ligure, un successo.
Offriamo il personaggio a Urbano Cairo Editore, vale una collana di pubblicazioni: Gigi era soltanto un uomo libero, addirittura un uomo libero. Nel calcio di oggi non farebbe scalpore per la semplice ragione che non potrebbe esistere, e in fondo fa comodo a molti sospirarselo dentro e intanto non augurarselo addosso. Troppi soldi e troppa libertà finta per i Meronettucci tatuati di oggi, come quella di andare a fare il bagno alle Maldive (dove il grande Mario Monicelli ha voluto far sapere, dettando la sua epigrafe prima di togliersi dal mondo, di non essere mai stato).