Roberto Fiori, la Stampa 15/10/2012, 15 ottobre 2012
I SECOLI DEL VINO, ETICHETTA PER ETICHETTA
C’ è l’etichetta dello Champagne Veuve Clicquot, quando la vedova non era ancora tale e sulle bottiglie campeggiava il nome dello sconosciuto marito Eugene. C’è quella di una delle più antiche cantine di Borgogna, Labaume l’Ainé: è senza annata, ma è databile prima del 1798, quando fu inventata la tecnica della litografia che rivoluzionò anche il modo di vestire le bottiglie. C’è la serie completa, dal 1945 a oggi, delle etichette d’autore fatte realizzare a Picasso, Chagall, Mirò, poi Andy Warhol dal Barone de Rothschild per festeggiare la fine della guerra.
C’è davvero di tutto tra i 282 mila pezzi che Cesare Baroni Urbani ha collezionato, mai esposto e appena donato al Comune di Barolo, nelle Langhe. Dopo oltre un anno di trattative, l’atto è stato firmato due giorni fa con il sindaco Walter Mazzocchi davanti al notaio: prevede che la destinazione sia il Museo del Vino realizzato da François Confino nel locale castello, dove verrà costituito un apposito fondo.
Zoologo, docente in pensione dell’Università di Basilea ma originario di Sirolo, nelle Marche, il professor Baroni Urbani ci ha messo vent’anni (con la collaborazione assidua della moglie Maria, che ora è a Barolo con lui) per accumulare quella che probabilmente è la più ricca collezione esistente dedicata agli «abiti» del vino. «Tutte etichette singole e diverse tra loro – ci tiene a precisare -. I doppioni sono a parte e mi sono serviti per gli scambi con altri collezionisti».
Come per i francobolli, i pezzi di maggior valore sono integri e non sono stati staccati dalle bottiglie. «Arrivano dalle scorte dei produttori e dagli scarti delle tipografie, oppure dalle aste e dai baratti». Il metodo più proficuo per alimentare una collezione è inviare alle cantine una lettera di richiesta e una busta già affrancata, sperando nella loro benevolenza. «A volte qualcuno invia anche la bottiglia, ma sono casi rari», ammette Baroni Urbani. Il quale ha approfittato dei viaggi di lavoro in luoghi esotici per portare a casa rarità dal Nicaragua, dove non si fa vino da decenni, o dalla Namibia, prodotto dai missionari per celebrare la messa.
Tra le serie più originali c’è quella che dal 1985 la californiana Nova Wines dedica alla bionda più famosa del cinema con il titolo «Marilyn Merlot». Tra i Barolo, c’è un’etichetta anonima di fine Ottocento e un’annata 1900 di Fontanafredda. Ma più che il singolo pezzo, Baroni Urbani ama la storia, le curiosità e gli aneddoti che le etichette raccontano. E soprattutto la geografia del vino.
Nella collezione sono rappresentati 106 Paesi: praticamente tutti quelli in cui si produce o si produceva vino, compresi quelli non riconosciuti dalle Nazioni Unite. «Purtroppo non c’è l’Iraq. Pare ci sia una comunità copta che fa qualche bottiglia, ma non sono ancora riuscito a mettermi in contatto con loro – confessa il collezionista -. Ho preso anche qualche fregatura, come quella volta che sono andato apposta in Ecuador e ho scoperto che a fare vino da quelle parti erano le Cantine Riunite di Reggio Emilia».
Anche uno dei pezzi più cari si è rivelato un mezzo imbroglio. Si tratta del tedesco Rüdesheimer, il vino preferito da Goethe e datato 1775. «L’ho pagato centinaia di euro, convinto che fosse un esemplare unico. Invece, ce ne sono almeno altri tre o quattro in giro e la datazione è errata». La collezione completa è stata valutata oltre 300 mila euro, ma Baroni Urbani non vuole sentir parlare di soldi. «La passione non ha prezzo: ho trovato un luogo prestigioso che darà continuità e valore al frutto di tanti anni di lavoro».