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 2012  ottobre 15 Lunedì calendario

L’ESEMPIO DI WALTER


Da qualche mese era diventato un altro. Inquieto, incerto sul da farsi, anche un «po’ depresso», confessa un amico degli anni ruggenti.

Da qualche mese, l’ex campione del nuovismo Walter Veltroni si sentiva assillato da un rovello: «Ma ti pare che io possa essere assimilato agli altri? Io non sono come loro». Loro, è un concetto largo nel quale Veltroni ogni tanto comprende anche diversi suoi compagni e compagne di partito, i cui nomi lui stesso scandisce, ma solo con gli amici: «Massimo, Anna, Rosy...». Certo il timore era quello di essere omologato a ben altri politici e questo assillo nelle ultime settimane gli aveva ispirato una soluzione: «Devo tirarmi fuori da questa melma». Come uscirne? Dopo averci rimuginato per mesi, ieri Walter Veltroni, lo ha spiegato da uno dei suoi palcoscenici preferiti, quello di “Che tempo che fa”: «Non mi ricandiderò alle prossime politiche» e questa decisione «non ha a che fare con Renzi, né con la categoria inaccettabile della rottamazione», «perché già nel 2006, quando ero candidato a sindaco,a Roma, dissi che una volta conclusa la mia esperienza avrei smesso di fare la politica professionalmente». Dopo di che, ha spiegato ancora Veltroni in questa ricostruzione a posteriori delle sue scelte, «mi è stato chiesto di fare una cosa alla quale non potevo opporre le mie scelte personali di vita, e cioè il candidato alla presidenza del Consiglio». Una lunga premessa per dire che lui aveva deciso di non ricandidarsi in Parlamento addirittura «nel 2006». Ma poi, in una domanda successiva, Veltroni ha finito per ammetterlo: «Non è che non mi pesi, è un cambio di vita radicale...».

Per lui, nuovista all’apparire di ogni nuova stagione, provare a rimettersi in sintonia col nuovo che avanza, stava diventando un imperativo categorico. Certo, rinunciare allo status parlamentare non è semplicissimo per un uomo di 57 anni che per almeno 15, dal 1994 al 2009, è stato uno dei più influenti e omaggiati politici italiani. Ma alla fine si è deciso, soprattutto per due motivi. Da settimane Walter Veltroni si rendeva conto che l’onda anti-casta stava montando ogni giorno di più, che «la stessa tenuta del Pd era a rischio, rischio-distruzione». E lui stesso ecco una spina che faceva male era stato messo all’indice da Matteo Renzi. Da inossidabile campione del nuovismo, Veltroni stava per diventare uno dei simboli del vecchio, «proprio io che ci ho provato!» a rompere i vecchi schemi, come confidava spesso nelle ultime settimane. E dunque - ecco il punto - bisognava scartare un attimo prima di finire sotto il diluvio. Un riflesso un tempo naturale per un personaggio che su questo anche i detrattori convengono - è sempre stato un anticipatore a sinistra. Negli anni Settanta «era l’unico nel Pci che ci capiva di televisione», come ha raccontato Enrico Menduni. Negli anni Novanta è stato il primo a parlare di «partito democratico».

E naturalmente una parte della sua decisione è legata all’eterno duello con Massimo D’Alema, che dura oramai da 40 anni, dipanandosi attraverso un linguaggio cifrato, tutto loro, da gemelli, inaccessibile ad altri. Da Fabio Fazio, subito dopo aver annunciato il suo forfeit, Veltroni, con nonchalance l’ha buttata lì: «Questo vale per me. Non vale per altre persone che è giusto che tornino in Parlamento. Si parla molto di Bindi e D’Alema», ma non si dice che con la rottamazione «non entrerebbero persone come Pier Luigi Castagnetti, Enrico Morando, Arturo Parisi, persone che fanno del ben al Parlamento...». Già, D’Alema. Veltroni non lo ammetterà mai neppure sotto tortura ma aver bruciato sul tempo il suo eterno rivale, aver fatto un passo indietro prima di lui, appartiene alle motivazioni forti della sua decisione.

E poi c’è una molla più recente che ha accelerato l’annuncio, come lui stesso aveva confidato poche ore fa ai suoi amici: «Queste voci che mi vorrebbero alla Presidenza della Camera nella prossima legislatura sono totalmente infondate e mi fanno imbestialire». Naturalmente, a 57 anni, Walter Veltroni non pensa di essere un politico finito. Lo ha detto lui stesso da Fazio, prima tenendosi sui principii generali («L’importante non è solo la carta d’identità. Vittorio Foa era anziano ma era uno straordinario innovatore. Fiorito è giovane ma non è un innovatore») e poi scandendo meglio il suo pensiero circa il futuro: «Rinunciare a fare il parlamentare non vuol dire rinunciare a fare politica. Continuerò a farla, ad impegnarmi in quello a cui ho sempre creduto, cioè l’impegno civile, la battaglia di valori sulla legalità, le questioni culturali». Certo, in un momento politico così fluido, nessun big è in grado di prefigurare per sè una qualsiasi poltrona e quindi sono effimere tutte le dietrologie che si faranno ora su eventuali prenotazioni da parte di Veltroni. In un governo forte, dunque in un Monti-bis, è facile immaginare sentendo i suoi - che a uno come Veltroni non dispiacerebbe bissare l’esperienza ai Beni Culturali. O vagheggiare, un domani, un ruolo di governo nell’azienda dove il papà Vittorio ha lasciato una forte impronta: la Rai.