la Repubblica, 14 ottobre 2012
KARL E SIDI, GLI ULTIMI GIORNI DELLA FELICITÀ
Per Karl Kraus il Parco di Janovitz, separato dal mondo da «un muro dove si posa il cielo», era il paradiso, Vienna l’inferno. Là, nella splendida proprietà dei baroni Nádhern von Borutin, non lontana da Praga, tra lillà in fiore, faggi, abeti, piccoli corsi d’acqua che sfociano in uno stagno solcato da cigni, tutto era perfetto, incorrotto, tutto era poesia e magia, mentre nella capitale dell’Impero austro- ungarico dilagavano irrimediabilmente corruzione, stupidità, pregiudizi, ipocrisia, doppia morale. Così, tra due poli estremi, all’inferno e in paradiso, «l’irato mago, il bianco pontefice della verità dalla voce di cristallo», autore dei più celebri e graffianti aforismi del Novecento, visse la sua esistenza fatta di battaglie in nome della giustizia, di odio feroce contro il governo e la stampa, di incessante guerra alla guerra. Ma anche di amore, di un’unica, grande passione, sofferta e senza limiti, per Sidonie, la bella e sensibile castellana di Janovitz. Una storia d’amore d’altri tempi, venuta alla luce solo negli anni Settanta del Novecento, che rivela, come scrisse Elias Canetti, un «nuovo Kraus», tenero, appassionato, implorante. Iniziò con il classico colpo di fulmine per entrambi, fu avversata dal fratello della giovane baronessa, Karl, che le faceva da tutore, da pregiudizi di classe e anche razzisti, da malevole insinuazioni. Fu costellata di colpi di scena come il matrimonio di Sidonie con il conte Guicciardini di Firenze, andato a monte all’ultimo momento, nel maggio del 1915, per l’entrata in guerra del-l’Italia, e quello da operetta con il fatuo cugino Max Thun, che non durò nemmeno sei mesi.
In pubblico Karl e “Sidi” si davano del lei, nessuno doveva sapere dei loro incontri clandestini, delle loro romantiche passeggiate notturne per il parco, delle loro fughe improvvise in automobile
in Svizzera e nelle Dolomiti. Si conobbero a Vienna l’8 settembre del 1913 al Café Imperial e fu proprio Max Thun a presentarli. Kraus allora, a trentanove anni, con la sua rivista
Die Fackel,
era diventato lo scrittore austriaco più popolare e più temuto del suo tempo; lei, a ventotto, aveva una discreta cultura, era sportiva, collezionava viaggi per il mondo e teneva un diario in cui registrava i suoi incontri.
In quella prima, memorabile serata andarono al Prater in carrozza, sotto le stelle. «Lui riconosce la mia natura», annotò subito lei commossa e più tardi ammise che «Kraus le era entrato nel sangue». Nel novembre dello stesso anno lo invitò a Janovitz e lui ne rimase incantato, passarono insieme il Natale e il fine anno; la notte, quando il fratello di Sidi e la servitù dormivano, lui scivolava di nascosto nella sua stanza da letto, poi passeggiava con lei nel buio sul grande prato che cantò in una sua celebre lirica (
Wiese im Park).
Da allora il Parco di Janovitz divenne parte integrante di un grande amore a cui solo la morte pose fine, fu lo scenario da favola di una storia drammatica a cui la guerra fece da contrappunto, come attestano le oltre mille lettere che lo scrittore inviò a Sidonie Nádhern per ventitré anni (furono pubblicate in Germania nel 1974). Fino ad allora di Karl Kraus si conosceva solo il forte, inesauribile impegno civile e letterario, era la coscienza del suo tempo, l’uomo «sceso all’inferno per giudicare i vivi e i morti », come scrisse di lui Oskar Kokoschka. Nessuno conosceva il suo rapporto con Sidonie in cui si rivela sorprendentemente disarmato e disarmante, un innamorato che implora, si strugge in trepida attesa di un invito
al castello: sogna come un adolescente di vivere a Janovitz, lontano da Vienna, in quella sua «oasi di felicità» dove scrisse parte del dramma
Gli ultimi giorni dell’umanità.
Kraus era inquieto, a volte dispe-
rato di fronte ai vani tentativi di Sidonie di sposare qualcuno del suo rango; ma vani furono anche i tentativi di lei di staccarsi da lui: gli sfuggiva, ma poi tornava sempre perché per lei era «la persona più cara, più nobile, più generosa della terra», come scrisse nel suo diario. A sposare Kraus non pensò più, sin da quando lesse la lettera che Rilke le scrisse il 21 febbraio del 1914. Il poeta conosceva Sidonie sin dal 1906, quando la incontrò a Parigi, nell’atelier di Rodin di cui era segretario. Anche lui, come Kraus, rimase incantato dalla giovane baronessa. «È bella come una miniatura», scrisse alla moglie Clara Westhoff, scultrice e allieva di Rodin che otto anni dopo le fece uno splendido busto in marmo. Poco tempo dopo la baronessa invitò Rilke al castello. Anche lui subì la magia della Boemia «collinosa come una musica lieve», del par-
co «avvolto nell’umido autunno». Per tre volte fu ospite di Sidi; passavano le serate leggendo poesie; lei suonava Chopin al pianoforte; si scambiarono lettere e confidenze. Ma non era amore: per lei Rilke era l’amico di fiducia a cui chiedere consiglio. Commise così un errore di ingenuità: gli confidò il suo segreto, la forte attrazione che provava per Kraus.
La lettera di risposta del poeta a Sidonie è un capolavoro di malignità e diplomazia. Lui vide con orrore il suo posto, il suo castello-rifugio, “usurpato” dallo scrittore, pensò che la sua presenza gli avrebbe impedito per sempre di tornare a Janovitz, e cercò in tutti i modi di dissuadere Sidonie da una relazione con un personaggio come Kraus. Senza scriverlo esplicitamente, fece pesanti allusioni alla differenza tra i due: lui era ebreo (e borghe-
se), lei era nobile e cattolica. «Vede, cara Sidie, lui non può esserLe che estraneo. Lei non sta di fronte all’animo caro, puro di una persona sensibile e partecipe, Lei sta di fronte a un’arma, ad un uomo armato, a uno che attacca gli altri intellettualmente...». Parole come pietre, dove «estraneo» sta per ebreo; un vero e proprio attacco gratuito, di cui Kraus non seppe mai nulla, che inquinò sul nascere un rapporto autentico. Da allora Sidonie si ritrasse, sposò il cugino Max Thun con la scusa che in questo modo si liberava dalla tutela oppressiva del fratello.
Kraus reagì tuffandosi nel lavoro. La catastrofe della guerra unì di nuovo i due amanti che passarono cinque settimane in giro per la Svizzera. Kraus iniziò la stesura della sua opera più impegnativa,
Gli ultimi giorni dell’umanità.
Fra lui e “Sidi” ora c’era una nuova intesa: lei lo incoraggiò a scrivere, lo aiutò a correggere le bozze, voleva assolutamente che il suo dramma vedesse la luce. Lui continuò a lavorare sapendo di rischiare la prigione e forse la vita per manifesta propaganda contro la guerra. Ma anche la regina del piccolo paradiso boemo conobbe la sofferenza. La morte di Kraus, avvenuta nel 1936, segnò per lei l’inizio di una solitudine tormentata dai rimorsi. In una breve memoria che intitolò
Il mio epilogo,
scritta a pochi mesi dalla sua scomparsa, Sidonie Nádhern von Borutin si confessa. «Spesso ho scritto con le lacrime del più amaro pentimento, con sconfinato orrore verso me stessa, capace di ferire, di far ammalare un cuore così nobile e ricco d’amore. Ero io, proprio io, quella che pur dandogli tutto il cuore, ha potuto mancare di sensibilità?». E più tardi annotò: «Ho espiato più di quanto egli abbia sofferto ». Nel 1943 “Sidi” dovette lasciare il castello e il Parco di Janovitz ai nazisti che ne fecero un’officina di riparazione dei panzer delle SS. Era un paradiso per lei irrimediabilmente perduto.