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 2012  ottobre 13 Sabato calendario

L’INFANZIA DEI LIBRI

[Salani, tra Pinocchio e Harry Potter una storia delle fantasie da ragazzi] –
Per molti “salanico” è un aggettivo di senso compiuto, assonante con il demoniaco ma che invece rimanda a ciò che è “caustico”, “dissacrante”, “surreale”, e sì talvolta anche “terrifico”. Bastano pochi nomi per evocare quell’officina fantastica che alcuni decenni fa scosse la sonnacchiosa e un po’ provinciale libropoli dei bambini. Michael Ende, Luis Sepulveda e Christine Nöstinger, ma al di sopra di tutti il gigantesco Roald Dahl, artefice di un vero “shock” per la platea dei lettori. Più per gli adulti, che per i figli: per la prima volta una collana di letteratura si rivolgeva direttamente ai ragazzi, senza passaggi intermedi. Erano loro i protagonisti, quelli a cui spettava la scelta in libreria, catturati da titoli internazionali che non a caso si chiamavano “istrici”, libri che pungolano la fantasia. Una rivoluzione nel mercato editoriale, innescata dalla più generale nascita di un settore che in Italia non esisteva. Non più solo classici, per i piccoli. Non più messaggi edificanti, libri pedagogici o coscienziose guide per l’infanzia. Piuttosto una schiera di autori più o meno contemporanei, più o meno folli, arrivati dalle più diverse latitudini, dal Sud ma soprattutto dal Nord del mondo.
È anche questa storia della Salani, l’antico marchio fiorentino di editoria popolare ora celebrato nel centocinquantesimo della nascita da una mostra al Castello Sforzesco che porta l’espressivo titolo
Da Pinocchio a Harry Potter
(a cura di Giorgio Bacci, catalogo edito da Salani). In realtà in principio non fu il capolavoro di Collodi, ma una serie di libriccini molto a buon mercato e molto corrivi che successivamente saranno purgati dal catalogo, insieme alla letteratura straniera sgradita al regime fascista. Tra le più fulgide star delle nascenti edizioni ci imbattiamo in Carolina Invernizi, «l’onesta gallina della letteratura italiana», come ebbe a definirla Gramsci, capofila del fortunatissimo filone della letteratura rosa che – pur temperato – ci dice in fondo quanto poco abbiano innovato le miliardarie inventrici del pornosoft di oggi. Anche allora l’editore era attratto dalle «nuove generazioni di scrittrici francesi» che avevano abbandonato il sentimentalismo «trattando invece ciò che era sordido, inquietante e sensuale », e già si preparava lo scandaloso successo di Colette. Loro, «le oneste galline», erano ben consapevoli delle larghe platee di adoratrici. «Le donne,
a chiave, la leggono tutte », scrisse Matilde Serao alla Invernizi. «Tu scrivi per la crème, io per quello che rimane... », fu la replica della non sprovveduta Carolina.
Quel che viene messo in mostra
è l’immaginario visivo – ma forse non solo visivo – di un popolo che prende coscienza di se stesso, da un’Italia appena nata e ancora nostalgica del granducato toscano a quella conformista del ventennio nero, fino al
paese che sogna il benessere con la Tv e il fotoromanzo, s’anima nel mitico decennio dei Sessanta, per poi evadere da una realtà deludente rifugiandosi nel castello di Hogwarts. Illustrazioni, fotografie, lettere, frontespizi, spartiti d’opera, manifesti, sovraccoperte, contratti editoriali ci raccontano come cambia la nozione di gusto e di fiabesco, dalle fatine tratteggiate in china da Carlo Chiostri al robot Mazinga e all’Ape Maia, dal tratto inconfondibile di Quentin Blake e Emanuele Luzzati fino al celebre maghetto inglese. Che rivendica il primato del più grande fenomechiuse
no editoriale
pop di tutti i tempi, il libro più venduto nella storia dell’editoria (letto da oltre cinquecento milioni di persone), come ricorda Luigi Spagnol, che ebbe il merito di aggiudicarsi i diritti.
«Libri buoni e a buon prezzo», fu il motto del fondatore Adriano, nato erbivendolo ma presto allergico alle cipolline e alle insalate. Uno slogan a cui il marchio s’è mantenuto fedele fino agli ultimi decenni – dal 1986
sotto la proprietà di Mario
Spagnol e dal 2005 nel gruppo Mauri-Spagnol – con alcune infelici parentesi legate a un eccesso di devozione religiosa o a un’eccentrica guida editoriale (nel 1962 il marchio fu acquistato dall’attrice Gina Lollobrigida). Oggi la sigla Salani evoca soprattutto quella rivoluzione per ragazzi che ha avuto in Donatel-
la Ziliotto la principale guida, fondatrice degli Istrici e di altre fortunate collane. Tra i documenti più sapidi presenti nel catalogo
sono le lettere in cui, sul finire degli anni Ottanta, la combattiva editor mette in guardia Spagnol dal pericolo Mondadori, dove lavorava la
brava Francesca Lazzarato «che ahimé ha gusti molto simili ai miei e anche non volendolo mi ha già soffiato dei titoli». Donna di straordinario temperamento, la Ziliotto. Andò a piedi fino in Svezia, per conoscere Astrid Lindgren. E quando John Alcorn le fece vedere la gabbia grafica della sua collana più celebre, non trattenne il disappunto. «I bambini si sentono già troppo torchiati dall’obbligo di leggere, perché mai aggiungerne il simbolo?». Il torchio sparirà dal logo, e rimarranno solo gli aculei del porcospino. Molto più “salanici”, naturalmente.