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 2012  ottobre 13 Sabato calendario

CREMONINI “LA SCRITTURA È LA MUSICA DELLA MIA VITA”

[L’ex leader dei lùnapop racconta come vince l’insicurezza] –
Non ha pace neanche
quando si corica. Sul comodino c’è un volume dalle dimensioni di un dizionario con la traduzione di tutti i testi di Dylan. «È un oceano oscuro e incomprensibile, un mondo complesso, se ci finisci dentro non ne esci più», mormora Cesare Cremonini, ex leader dei Lùnapop che ha pubblicato il suo quarto album come solista,
La teoria dei colori,
e il 24 ottobre debutta con il nuovo tour. Quel librone accanto al capezzale è la sua Bibbia, anche quando è chiuso pretende attenzione e rispetto. Lo Shakespeare del pop ha il potere di esorcizzare le sue insicurezze ma anche di acuire la sua ossessione. «Quando scrivo una canzone ci precipito dentro» confessa Cremonini.«Tanto che quando esco dalla stanza dove ho il pianoforte non riesco a staccarmi dal quel metodo mentale e continuo a pensare in rima», continua. «L’elemento scatenante è la paura di non riuscire. Pian piano ho imparato a fidarmi di me: nel primo disco neanche mi rendevo conto di fare questo mestiere, il secondo l’ho fatto in preda all’entusiasmo, il terzo volevo dimostrare qualcosa, nel quarto mi sono ritrovato nel vuoto totale a raccontarmi in età semi-adulta e con tanta vita alle spalle. È questa quella che chiamano scrittura matura? Liberarsi dal terrore di non
riuscire a riempire il foglio che hai davanti?».
Ha trentadue anni, ne aveva diciotto quando divenne il nuovo fenomeno del pop italiano con un pugno di canzoni scritte negli anni dello scientifico. «Ero molto bravo in italiano», racconta, «uno che prendeva sempre otto-nove nei temi e tre-quattro in matematica e fisica. Incominciai a scrivere suggestionato dal romanticismo, da Leopardi e da Chopin. Ancora oggi spalmo i miei testi di lune e di stelle per puro citazionismo di qualcosa che ho conosciuto al liceo. L’ossessione, invece, è tutta mia, e guai se non ci fosse, sarei un depresso. C’è chi è ossessionato dal calcio, chi dall’amore o dalla solitudine. Io sono ossessionato dalla scrittura, scatenata da qualcosa di profondo che è difficile spiegare. È un rapporto particolare che instauri con la vita. Dylan dice “scrivere non è vivere”. Vero, perché quando sei dentro una bolla creativa ti piace starci, talmente tanto che uscendo provi una sensazione di sconforto. Scrivere è una cosa che ti permette di fare due cose che sono impossibili nella realtà, parlare con se stessi e davanti a un pubblico. Scrivere è leggersi».
Le parole non gli danno pace. Guardandolo mentre si accarezza l’enorme tatuaggio di Freddie Mercury, idolo e santo protettore, ricamato sull’avambraccio, lo immagini posseduto dalla musica, perseguitato dalla melodia, tormentato dal ritornello. «Invece la mia unica ossessio-
ne sono le parole», precisa, «già dall’epoca dei temi in classe aspettavo bramoso di potermi concedere quell’ora e mezza. Quando mi chiedono: cosa fai nella vita? Non mi ritrovo mai nella definizione “cantante”, che mi ricorda la parola campanello. Mi sento piuttosto uno che… scrive. È il rapporto con la scrittura che sostenta la mia esistenza».
Il liceo fu il suo primo teatro, i compagni di scuola il pubblico da sedurre con le parole. «Avevo delle abitudini buffe. Scrivevo in una settimana il diario di dodici mesi per regalarlo a una ragazzina e dirle: “È da un anno che ti amo”. C’erano dentro invenzioni e un sentimentalismo esasperato che ancora mi porto dietro. Scrivo per curarlo, per dimenticare e andare oltre. Smetto di soffrire per qualcosa nel momento in cui ci scrivo una canzone. I miei genitori si sono separati? Ho scritto
PadreMadre
e il problema è morto lì. Una volta andai dalla professoressa di matematica e le dissi: “Vorrei parlare per una volta di quello che sentiamo, anche nella sua lezione”. Lei mi rispose: “Cremonini, non facciamo poesia!”».
Cesare era un ragazzone carismatico, lo è ancora, in classe aveva generato un piccolo culto che crebbe in maniera esponenziale quando le parole diventarono canzoni e i Lùnapop cominciarono a far dischi. «Componevo già a quindici anni, un periodo in cui non avrei immaginato di avere un pubblico», ricorda. « Ora
come allora ho la sensazione di essere sorvegliato da un maestro, Dio, Shakespeare, non so chi. O forse è una signora, l’ispirazione, che ogni tanto viene a controllare se le stai dando importanza — se la trascuri, smetterà di visitarti. Io sono figlio di medico, l’aria che si respirava in casa era molto scientifica — anche se mio padre aveva il santino di Padre Pio sul comodino—, per cui il mio modo di vedere le cose è a un tempo mistico e scientifico. Quando scrivo mi abbandono a una magia che non riesco a spiegare se non attraverso le parole di altri. Dylan sostiene un flusso di coscienza personale che cade sul foglio».
Scrivere per comunicare: abbinare le parole alla musica fu una necessità per un ragazzo che voleva colpire, e in fretta, al cuore. È un mestiere che svolge con molta diligenza, oltre ai testi delle canzoni anche articoli e piccoli saggi. Eppure dopo Le ali sotto i piedi
del 2009 (Rizzoli), il libro in cui raccontava la realizzazione del suo sogno di popstar, ha preferito concentrarsi sulle canzoni. «È quella la mia principale ossessione, ho più idoli musicali che letterari — a parte John Fante — forse perché leggo poco, saggistica più che narrativa. Il successo che ho avuto da giovanissimo sostiene un’energia e un amore che non riuscirei a dare neanche a una donna, alla mia famiglia, a nient’altro. Quando ho le parole ho tutto. La musica è un accessorio, il linguaggio è la concretezza. La musica è il mare, la parola è la possibilità di attraversarlo. Sulla tomba di Freddie Mercury c’è scritto “Lover of life, singer of songs”. Sulla mia vorrei ci fosse scritto: “Cesare Cremonini, scrittore di canzoni”».