Claudio Colombo Fabio Monti, Corriere della Sera 15/10/2012, 15 ottobre 2012
Già nell’antica Grecia venivano usate erbe e funghi ritenuti capaci di far aumentare le capacità atletiche dei concorrenti
Già nell’antica Grecia venivano usate erbe e funghi ritenuti capaci di far aumentare le capacità atletiche dei concorrenti. E già ai tempi delle Olimpiadi antiche (292 edizioni, dal 776 a.C. al 393 d.C.), i giudici cercavano di capire se gli atleti avessero fatto ricorso a pratiche illecite. È lì che nasce la sfida fra guardie e ladri, che non si esaurirà fino a quando ci sarà lo sport (e non solo quello professionistico). Fino agli anni Cinquanta, più che di doping si parlava di «bomba», per fare riferimento a cocktail di stimolanti. Ne aveva parlato persino Fausto Coppi, in una celebre intervista radiofonica a Mario Ferretti e molti sospetti aveva sollevato la vittoria dei tedeschi Ovest nella finale del Mondiale 1954, 3-2 all’Ungheria, con molti giocatori che due mesi dopo si erano ammalati di epatite. Il primo spartiacque è rappresentato dalla morte dell’ex campione del mondo di ciclismo su strada, l’inglese Tony Simpson sul Mont Ventoux (13 luglio 1967): l’autopsia aveva denunciato l’uso di anfetamine, in una micidiale combinazione con il caldo del Tour e le difficoltà della scalata. Sette anni prima, ai Giochi di Roma, durante la 100 km a squadre, il danese Jensen era caduto, fratturandosi il cranio. L’autopsia aveva chiarito che la causa della caduta non era stata una semplice insolazione per i 42°, ma un’intossicazione dovuta all’assunzione, per via endovenosa, di una dose troppo forte di stimolanti. Il Cio decise di istituire nel 1967 una commissione medica per la ricerca di sostanze dopanti ai Giochi invernali ed estivi del 1968, dove si arrivò alla prima squalifica olimpica: al pentathleta svedese Liljenwall, bronzo nella prova a squadre, era stato riscontrato un tasso alcolemico superiore al consentito e questo serviva per rilassare i muscoli nella prova di tiro. È negli anni Settanta che avviene il salto di qualità: fra controlli deboli e mitizzazioni a scatola chiusa (i pellegrinaggi all’Università di Lipsia), i Paesi dell’Europa dell’Est (Ddr in testa) applicano il doping in maniera sistematica, soprattutto nel nuoto e nell’atletica. Le conseguenze per le atlete, alle quali vengono somministrati gli ormoni maschili, hanno effetti devastanti. Si fa strada un’altra pratica, che si diffonde soprattutto negli sport di resistenza (non solo nel ciclismo): l’autoemotrasfusione, utile per incrementare il numero di globuli rossi e dare più ossigeno ai muscoli. Fino al 1986 questa pratica non viene considerata illecita; poi diventa «doping ematico o emodoping», perché studiata per aumentare artificiosamente la prestazione, ma resta una pratica mai abbandonata. Che i dirigenti dello sport mondiale avessero deciso di adottare la linea dura lo si è capito per la prima volta ai Giochi di Seul ’88, con Ben Johnson, oro dei 100 metri, squalificato due giorni dopo perché nel suo campione di urine era stata riscontrata la presenza di steroidi (stanozololo). L’inversione di tendenza produce una frenata nella corsa ai record, soprattutto nelle prove di forza, ma la risposta è la nascita dell’Epo di prima generazione, più efficace e più pratica dell’emotrasfusione. Il 10 novembre 1999, nasce la Wada, World Anti-Doping Agency, creata dal Cio per coordinare la lotta al doping nello sport. Sono anni duri soprattutto per il ciclismo, che vede sconvolti risultati e classifiche anche delle più importanti corse. Nasce il Cera, Epo di terza generazione (acronimo di «attivatori continui dei recettori dell’eritropoiesi»), ma la lotta al doping si fa sempre più sofisticata. Questa pressione produce effetti sconvolgenti: la sprinter Usa Marion Jones, il 5 ottobre 2007, confessa alla US District Court di New York di aver fatto uso a partire dal 1999 di sostanze dopanti e restituisce le cinque medaglie vinte a Sydney 2000 (finirà anche in carcere). Al Tour 2008, Riccardo Riccò, vincitore di due tappe, viene trovato subito positivo al Cera e messo fuori dalla corsa; Davide Rebellin perde l’argento olimpico 2008, perché positivo ai nuovi controlli antidoping che vengono effettuati dalla Wada il 29 aprile 2009. Le leggi statali, i controlli fuori competizione (momento decisivo per un eventuale ricorso al doping), la maggiore precisione di quelli fatti dopo le gare (Contador), la nascita del passaporto biologico e l’allungamento a otto anni del tempo di ri-analisi dei test hanno dato risultati importanti. Si parla di doping genetico, per dire della possibilità di produrre una sostanza che attiva un gene legato alle fibre muscolari, ma a luglio i responsabili della Wada hanno chiarito che durante l’avvicinamento ai Giochi di Londra erano state attivate anche le polizie nazionali, attraverso metodi di intelligence sempre più sofisticati. Il crollo del «sistema Armstrong», ottenuto attraverso le testimonianze di chi gli è stato vicino, dimostra che la lotta al doping non è più solo una questione chimica. Claudio Colombo Fabio Monti