Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 14/10/2012, 14 ottobre 2012
VITA, MORTE E FAMA DI KENNEDY PERCHÉ TANTA AMMIRAZIONE
In parecchie città italiane, vi sono vie o piazze intestate al defunto presidente J. F. Kennedy? Ora, a parte la tragica morte e la bella e famosa moglie, non mi sembra che egli abbia fatto grandi cose per l’umanità. Oppure mi sono sfuggite?
Luciano Maceri
luciano.maceri@hotmail.it
Caro Maceri, se farà una breve ricerca con l’aiuto di Google scoprirà che vi è una Avenue Kennedy nel XVI arrondissement di Parigi (corre parallela alla avenue Georges Pompidou lungo la Senna), un boulevard Kennedy a Perpignano e a Lussemburgo, una Kennedy platz nelle città tedesche di Essen e Braunschweig, una John F. Kennedy strasse a Colonia, una lunga Kennedy Avenue (12 km.) a Istanbul, una rue Kennedy a Beirut, una Kennedy straat a Rotterdam e molte altre piazze, vie e viali intestati al presidente americano in numerose città del mondo. Evidentemente la morte di un giovane uomo di Stato, ucciso in circostanze che molti continuano a considerare misteriose, ha suscitato pietà e acceso la fantasia di parecchie centinaia di milioni di persone. Si dice che tutti i suoi contemporanei, non soltanto negli Stati Uniti, ricordino dov’erano e che cosa stavano facendo quando appresero che John Fitzgerald Kennedy era stato assassinato. Se un evento separa il tempo, nella memoria collettiva, creando un prima e un dopo, non è sorprendente che esso venga ricordato nella toponomastica delle città.
Meritò Kennedy tanta ammirazione? Agli europei e agli americani piacque per la sua politica spaziale e per il modo in cui tentò di rompere gli schemi della Guerra fredda; alle sinistre democratiche italiane perché modificò la politica del suo predecessore (il generale Eisenhower) e non scoraggiò la nascita dei governi di centro-sinistra; ai francesi perché aveva una moglie francofona che conquistò con la sua eleganza un noto intellettuale francese, André Malraux, e lo persuase a permettere il viaggio a Washington della Gioconda di Leonardo; a tutti per la combinazione di fermezza e buon senso con cui seppe gestire la crisi dei missili, provocata dall’installazione di rampe sovietiche nell’isola di Cuba, a 90 miglia dalle coste della Florida. Piacque, dopo la morte, persino al generale De Gaulle che gli regalò quello che era, a suoi occhi, il più ambito dei complimenti: Il était un européen, era un europeo.
Ma le ragioni della sua popolarità furono soprattutto psicologiche. Il suo arrivo alla Casa Bianca fu percepito come una ventata d’aria fresca, un rinnovo generazionale, una incarnazione del sogno americano.
Nella realtà, tuttavia, la sua presidenza fu avara di grandi riforme. Come ogni presidente americano al suo primo mandato, voleva soprattutto essere rieletto e temeva che una politica razziale più liberale lo avrebbe privato del voto democratico negli Stati del sud. Sarebbe stato molto più coraggioso, probabilmente, in occasione del secondo mandato. L’abolizione della segregazione e le grandi riforme della società americana ebbero luogo grazie al suo vicepresidente, Lyndon B. Johnson, l’uomo che prestò giuramento di fedeltà alla costituzione sull’aereo che lo riportava a Washington di fronte alla vedova del presidente scomparso, affranta dal dolore ma nobilmente composta. Paradossalmente il texano Johnson fu più coraggiosamente liberal del bostoniano Kennedy, cresciuto negli ambienti progressisti della Nuova Inghilterra.
Sergio Romano