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 2012  ottobre 13 Sabato calendario

Qui ballano miliardi di euro, altro che Fiorito o Finmeccanica. A Siena procede in gran silenzio un’inchiesta delicatissima sul Monte dei Paschi a cui, stranamente, nessuno mostra interesse

Qui ballano miliardi di euro, altro che Fiorito o Finmeccanica. A Siena procede in gran silenzio un’inchiesta delicatissima sul Monte dei Paschi a cui, stranamente, nessuno mostra interesse. Eppure il filone portato avanti da tre pubblici ministeri e dal nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza sull’acquisizione di Antonveneta nel 2007, a un prezzo assolutamente folle, rischia di stravolgere il sistema bancario e politico nazionale. Per cinque ordini di ragioni. Per l’iscrizione sul registro degli indagati del numero uno dei banchieri italiani, Giuseppe Mussari (che da presidente di Banca Mps curò l’operazione). Per la drammatica situazione in cui versa quella che fino a pochi anni fa era considerata la terza potentissima banca italiana. Per l’indiretto coinvolgimento di più esponenti di primo piano del giro del governo Monti - ascoltati in qualità di persone informate sui fatti - come il ministro dell’Economia Vittorio Grilli (ex direttore generale del Tesoro all’epoca) e la presidente Rai Anna Maria Tarantola (a quei tempi funzionario generale di Bankitalia). Per le ripercussioni inevitabili sul Pd nazionale, nato in contemporanea a quell’operazione, che da sempre, attraverso proconsoli toscani del Pci prima, Pds e Ds poi, «controlla» il Monte anche attraverso la sua Fondazione. E infine per quel miliardo e passa di euro (forse più, forse due) che a detta degli inquirenti mancherebbe all’appello e a cui si starebbe dando la caccia dentro e fuori i confini tricolore, ipotizzando operazioni estero su estero con giganteschi ritorni illeciti. Ma di tutto questo nessuno parla. Con preoccupazione se ne discute invece nei Palazzi del potere da quando, a maggio, l’inchiesta per aggiotaggio, manipolazione del mercato sul titolo azionario di Banca Mps e ostacolo alle attività di vigilanza, è deflagrata con le perquisizioni a Mussari (nel frattempo diventato presidente dell’Abi) di alti vertici presenti e passati di Mps indagati, di istituti di credito nazionali e soprattutto delle sacre, e fin lì inviolate mura, della storica sede di Rocca Salimbeni. A quel punto la banca più antica del mondo, nata vent’anni prima l’approdo di Colombo nelle Americhe, nota per la sua storica solidità (e liquidità) e per quella «senesità» che un tempo univa dipendenti, funzionari e dirigenti, ha traballato più della certificazione di bilancio del 2011 con quel passivo impensabile solo pochi anni fa: quasi 5 miliardi di euro. Con l’esplosione del bubbone giudiziario la città di Siena, la «banca rossa» e i referenti romani hanno preso atto che qualcosa era cambiato per sempre. E si sono resi conto che adesso, oltre a scandagliare nei segreti di Antonveneta, rischia di venire a galla anche la politica panem et circenses di distribuzione a pioggia del denaro secondo un diktat politico & bancario che non ha eguali al mondo: la generosa Fondazione Mps che controlla la Banca Mps essendone l’azionista di maggioranza, è infatti formata da più «deputati» espressi in numero di otto dal Comune, cinque dalla Provincia, uno dalla Regione. Tutti a guida Pd. Ma entriamo nell’inchiesta. Figlia della defunta Abn Amro, di proprietà della Santander di Emilio Botin, la banca del Nord Est viene acquistata nel novembre 2007 dal Monte dei Paschi per 9 miliardi e rotti di euro che poi diventano 10,3 miliardi (a fronte di un aumento di capitale di cinque) quando appena due mesi prima gli spagnoli l’avevano comprata per 6,6 miliardi di euro. Una plusvalenza di quasi quattro miliardi, che potrebbe ulteriormente salire se si trovassero riscontri alle indiscrezioni, tutte da dimostrare, di un altro bonifico partito lo stesso giorno per la Spagna. L’operazione valse al Santander il plauso dei mercati finanziari, soprattutto perché tenne per sé la partecipazione «Interbanca», il corporate di Antonveneta che valeva un 1,6 miliardi. A Mps restò solo l’entusiasmo della stampa locale e tricolore, della triplice sindacale e dei maggiorenti Pd. A nulla servirono le proteste di impiegati e piccoli azionisti increduli su un’operazione che aveva dilapidato la Banca e la sua Fondazione, fatta in assenza di un’approfondita due diligence, con l’apertura ad hoc di un fresh da un miliardo di euro, sottoscrivendo un contratto a oggi mai reso pubblico. In un’assemblea del 2008 questa operazione venne presa di petto da poche persone: «Si è comprata una banca - attaccò l’ex dipendente Romolo Semplici - pagandola molto più del suo reale valore, costringendo il Mps a svendere pezzi storici del proprio patrimonio e aziende con buona redditività e obbligando anche la controllante Fondazione a dissanguarsi con un esorbitante e imprevisto impegno finanziario». A complicare le cose, tre anni dopo, arriverà la conferma del presidente uscente del collegio sindacale, Tommaso Di Tanno. Che ai soci rivelerà: «Il valore patrimoniale della banca era di 2,3 miliardi e fu acquistata per 9 miliardi. Non entro nel merito se il prezzo di 9 fosse appropriato...». Nel merito, oltre a Semplici (vicino al centrodestra) hanno provato a entrarci pochissimi altri. Uno è Pierluigi Piccini, storica espressione del vecchio Pci, già sindaco di Siena, dirigente di Mps France prossimo alla messa a riposo («La nostra lista civica - sbotta - più volte ha sollevato in consiglio comunale la questione Antonveneta, ma nessuno della maggioranza ci ha voluto ascoltare. Ecco il risultato»). Un altro è Nicola Scoca, direttore finanziario della Fondazione Mps, che a Report (la trasmissione della Gabanelli su Rai3) ha raccontato di esser stato licenziato dopo aver presentato uno studio che sollevava perplessità sulle copiose, insensate, uscite di denaro. Poi, in questa città ovattata nel silenzio, ci hanno provato alcuni blogger locali (L’eretico, il Cittadinonline, Fratello illuminato, il Gavinone), Raffaele Ascheri autore di un volume su Mussari, il battagliero leghista Maurizio Montigiani, un ex comunista verace come Mauro Aurigi, ora del Movimento Cinque Stelle, l’avvocato Luciano Peccianti passato nel’Idv di quell’Elio Lannutti firmatario di numerose interrogazioni. E infine Gabriele Corradi, papà del calciatore Bernardo, candidato di una lista civica sconfitto nella corsa a sindaco dall’ex parlamentare Pd Franco Ceccuzzi che definì l’operazione Antonveneta «un capolavoro di Mps». Rivela Corradi: «In una riunione dei capigruppo in consiglio comunale il presidente della Fondazione Mancini confessò che lui di Antonveneta era venuto a conoscenza solo dopo la sua acquisizione. Era gravissimo. Significava che la Fondazione era stata letteralmente bypassata dal presidente della Banca». Che in quel momento era giust’appunto Giuseppe Mussari, ex comunista dichiaratamente Pd, ex presidente della stessa Fondazione, diventato poi nel luglio del 2010 presidente dell’Abi grazie alle sue innegabili doti e a capacità relazionali assolutamente trasversali. Mussari, su cui pende la spada di Damocle del rinvio a giudizio per concorso morale in turbativa d’asta e falso in una vicenda collaterale legata all’ampliamento dell’aeroporto di Ampugnano (l’udienza davanti al gup è fissata per il 19 ottobre), ha sempre respinto ogni accusa e qualsivoglia insinuazione. E con lui il Monte, che non ha risparmiato querele e azioni civili. Il successore di Mussari, Alessandro Profumo, dopo aver ricordato che quand’era ad di Unicredit gli venne «offerto di acquistare Antonveneta a un prezzo più basso» e che rifiutò «perché il costo mi sembrava alto», pochi giorni fa è tornato su Antonveneta dopo l’assemblea straordinaria che ha visto protestare i dipendenti-soci: «Ad oggi non abbiamo elementi per avviare azioni di responsabilità sulle passate gestioni di Banca Mps. Se li avessimo - ha detto Profumo - faremmo ogni azione necessaria per tutelare gli interessi della Banca. Quando il quadro sarà chiaro decideremo cosa fare». Più chiaro di così si muore, anche se si è in vita da prima di Colombo. (1. Continua)