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 2012  ottobre 13 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA LEGA MOLLA FORMIGONI


Il Consiglio federale della Lega Nord, riunito nella sede milanese di via Bellerio, ha emesso il verdetto: "Un unico election-day in aprile", per le politiche e le regionali, dopo aver approvato la nuova legge elettorale regionale e il bilancio "entro Natale". Questa la decisione uscita dal Consiglio federale della Lega per la Regione Lombardia. Il Federale ha anche stabilito che tutti i consiglieri regionali lombardi rinviati a giudizio devono dimettersi dal loro mandato "immediatamente". Sono queste le uniche due richieste rivolte al presidente Formigoni dopo il caso dell’arresto dell’assessore Domenico Zambetti e dopo l’azzeramento della giunta.
La riunione del Carroccio è durata più di due ore, presente anche Umberto Bossi. E’ stata approvata la relazione illustrata dal segretario federale Roberto Maroni sull’attuale situazione della Regione Lombardia. Il Consiglio, dopo un’ampia discussione, ha dato mandato
a Maroni e al segretario lombardo, Matteo Salvini, di "gestire la questione sia per quanto riguarda il nuovo assetto regionale sia per la durata della legislatura". Nessuna dichiarazione al termine del vertice, ma soltanto una breve nota per la stampa.
Matteo Salvini, al termine della riunione di via Bellerio, ha parlato con Tgcom 24 spiegando che "la decisione di oggi verrà sottoposta a referendum il 20 e il 21 ottobre. Ci saranno 1.500 gazebo nelle piazze lombarde per chiedere ai cittadini se condividono la scelta di andare a votare in aprile e chi vorrebbero come governatore della Lombardia. I cittadini devono decidere se questo consiglio deve andare a casa o meno, non Formigoni".
"Votare domani mattina? Non si può - ha proseguito Salvini- Occorrono 90 giorni, per legge. Dopo 15 anni di Regione Lombardia, però, Formigoni può lasciare il testimone. Farebbe bene a rendersene conto anche lui perché sarebbe utile essere ricordato per le cose buone fatte e non per le schermaglie delle ultime settimane. È la vittoria del buonsenso della Lega e di Bobo Maroni". Salvini ha anche negato qualsiasi contrasto proprio con Maroni. Quest’ultimo, da Mestre dove si trova per la scuola di formazione politica, commenta con poche parole: "La decisione di andare al voto in aprile è una decisione giusta e tempestiva. E’ una posizione chiara e una scelta fatta all’unanimità". Poi aggiunge che "di fronte agli scandali la politica deve saper fare scelte difficili, come ha fatto oggi la Lega".
Da parte sua, il presidente Roberto Formigoni, nel corso di una conferenza stampa dopo un incontro con il ministro dell’Interno Cancellieri: "Non accetterei l’appoggio esterno della Lega alla mia nuova giunta". Respinta anche l’ipotesi di una giunta a tempo, perché "le giunte - ha spiegato il governatore - nascono per completare una legislatura con un programma preciso". Subito dopo il governatore ha replicato all’intervista di Giuliano Pisapia, che dalle pagine di Repubblica, chiede che Milano si ribelli, parlando di una caduta di stile del sindaco e aggiungendo che "chi fa il giudice degli altri dovrebbe avere la coscienza limpida". Un riferimento preciso alla vicenda della vendita Sea e all’inchiesta della magistratura su un presunto bando ’su misura’ per F2i, il fondo di Vito Gamberale.
(13 ottobre 2012)

INTERVISTA DI PENATI A REPUBBLICA
MILANO - "Qui ci vuole una grande ribellione civica". Giuliano Pisapia ha fatto della morigeratezza nelle dichiarazioni pubbliche e della cortesia dei rapporti istituzionali uno dei tratti distintivi del suo governo della città. Ma il crescendo di inchieste giudiziarie, condanne, corruzione e malaffare, fino alla scoperta dell’infiltrazione della ’ndrangheta al Pirellone, lo convince a uscire metaforicamente da Palazzo Marino per dare una scossa alla città, alla Milano dell’economia, delle professioni, della cultura e della creatività, alla politica locale travolta dagli scandali (il centrodestra) o impacciata nel reagire (il centrosinistra). "Ho sempre pensato che non tocca al sindaco chiedere un passo indietro al presidente della Regione, ma ormai si è superato il limite, a questo punto non si può andare avanti".

Attento, sindaco, Formigoni le ha già mandato a dire che lei non siede in Consiglio regionale e non è titolato a interferire.
"È vero, non sono consigliere regionale ma sono cittadino lombardo. E vorrei ricordare a Formigoni le decine di volte in cui, da presidente della Regione, è intervenuto pubblicamente per chiosare fatti o atti di governo che riguardano Milano. Dunque, credo di avere diritto di dire come la penso".

Cosa la turba, da cittadino lombardo?
"Quando ci sono, come pare evidente, elementi concreti per individuare un collegamento tra un rappresentante delle istituzioni e la ’ndrangheta, quando di fronte a fatti come questo la maggioranza di governo della Regione non trova di meglio che mettere insieme un compromesso squallido e vergognoso, allora si deve dire con chiarezza che l’unica cosa da fare, ciò che il senso di responsabilità e il rispetto delle istituzioni impongono è dimettersi e restituire ai cittadini la possibilità di scegliere".

Ma prima dell’arresto dell’assessore Zambetti 1, accusato di aver comprato i voti dai clan, ci sono stati altri 13 tra consiglieri regionali, assessori ed ex assessori delle giunte Formigoni indagati, arrestati o processati. E c’è un presidente della Regione che, come ormai acclarato, ha mentito ai cittadini sulle sue vacanze pagate dal faccendiere Daccò.
"Tutti episodi gravissimi, a cominciare dal comportamento di Formigoni: ha detto che avrebbe dato risposte e non le ha mai date, ha detto che sarebbe andato dai magistrati a chiarire e non ci va, ha dato versioni contraddittorie. Ed è grave che così tanti dei suoi collaboratori, uomini che ha scelto e voluto nella sua squadra, siano sotto accusa per corruzione, concussione, bancarotta. Ma queste sono vicende giudiziarie. Oggi c’è qualcosa di più: l’idea che la criminalità organizzata sia in grado di penetrare fino al cuore dell’amministrazione pubblica è un colpo mortale alla credibilità delle istituzioni e causa una perdita di fiducia forse irreversibile da parte dei cittadini. Se si va avanti così, gli elettori non ci saranno più... Crescerà enormemente l’astensione, i voti andranno all’antipolitica o, peggio, a chi pensa di usare la politica per i propri scopi personali. L’abbiamo già visto".

Eppure, di fronte alla gravità di questi fatti, la reazione di Milano, in particolare di quella che un tempo si chiamava la "buona borghesia", non è parsa così forte e sdegnata come ci si sarebbe potuti aspettare.
"Forse sono mancate alcune voci altisonanti, o forse i toni non sono stati abbastanza decisi. C’è purtroppo una grande assuefazione a queste situazioni di illegalità, figlie di un potere morente e della cultura berlusconiana da cui cominciamo a uscire. E c’è molta sfiducia nella possibilità di cambiamento. Ma io vedo anche tantissimi milanesi che si impegnano gratuitamente per una politica onesta".

Come si combattono la corruzione dilagante e la collusione con le congreghe mafiose?
"Lavorando dal basso, ricostruendo una cultura della legalità, immettendo nell’amministrazione pubblica, nelle squadre di governo e nella macchina della burocrazia gli anticorpi ai virus che infettano la vita pubblica".

Sì, ma a Milano proprio in questi mesi si assegnano i lavori per l’Expo, miliardi di euro. E dalle inchieste sembra di intravvedere un vero e proprio "progetto di rapina" dal parte delle cosche. Si sente di garantire ai milanesi che appalti, grandi e piccole opere non saranno inquinati da interessi illegali?
"Mi sento certamente di assumere l’impegno a lavorare perché ciò non avvenga. E il fatto che già sui primi appalti siano immediatamente emerse alcune anomalie mi fa stare tranquillo: la griglia dei controlli rigidi che abbiamo predisposto funziona".

Come si salva allora questa politica malata?
"La politica si salva solo se è capace di autoimporsi un rinnovamento profondo e se torna a parlare con il territorio. Guardo nella mia metà campo: non basta contrastare i governi di Pdl e Lega, bisogna preparare un’alternativa credibile, attrezzare la mobilitazione, cogliere la volontà di cambiamento. Bisogna confrontarsi non solo tra partiti, ma anche con l’associazionismo, il volontariato, la cittadinanza attiva. Coinvolgere, allargare. Solo così riusciremo a far partire la ribellione civica che avvertiamo necessaria".

Il centrosinistra sembra in ritardo, su questo.
"Sì, lo siamo, in Lombardia come nel Paese. Le primarie non sono cominciate nel modo migliore. Ho già detto che il confronto sui progetti e sulle idee va bene, le polemiche personali tra i candidati no. Oppure chi vince le primarie rischia di perdere le elezioni".

Ha deciso chi voterà tra i candidati in campo?
"Andrò ad ascoltare tutti. Poi deciderò".

E Penati?
"È evidente a tutti, a lui per primo, che il suo caso imbarazza l’intero centrosinistra. Per lui vale tutto ciò che ho detto per Formigoni".

(13 ottobre 2012)

CORRIERE.IT
MILANO - «Un unico election-day ad aprile», per le politiche e le regionali, dopo aver approvato la legge elettorale regionale e quella di bilancio «entro Natale». È la decisione del Consiglio federale della Lega Nord, riunito nella sede milanese di via Bellerio per discutere dell’intesa raggiunta a Roma giovedì con il Pdl sul destino della giunta guidata da Roberto Formigoni in Regione Lombardia. Alla riunione, presente anche Umberto Bossi.
IL CASO LOMBARDIA - Il «caso Lombardia» è stato al centro del Consiglio federale. La decisione: tutti i consiglieri regionali lombardi che venissero rinviati a giudizio devono dimettersi dal loro mandato «immediatamente». Due le posizioni che erano in contrasto: quella del segretario Roberto Maroni che ha raggiunto l’intesa con Angelino Alfano e Formigoni per l’azzeramento della vecchia giunta e la formazione di una nuova squadra con il compito principale di approvare una nuova legge elettorale per tornare al voto. L’altra è quella dell’europarlamentare e segretaio lombardo Matteo Salvini, che chiede di staccare la spina e costringere Formigoni a dare le dimissioni per tornare subito al voto e per prendere le distanze dal Pdl dopo l’arresto dell’assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti per concorso esterno in associazione mafiosa.
«GIUNTA A TEMPO» - No a una Giunta «a tempo». Il governatore lombardo, Roberto Formigoni è «pregiudizialmente» contrario a far durare solo qualche mese e non fino alla fine della legislatura la Giunta regionale. «Certamente - ha affermato - le giunte nascono per eseguire un programma e questo vale per tutta la legislatura». E un eventuale appoggio esterno della Lega? è che sarebbe «sbagliato» e infatti non lo accetterebbe.
FORMIGONI VS PISAPIA - «Una gravissima caduta di stile», così il presidente della Lombardia ha definito l’invito che gli ha rivolto il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, a dimettersi. E ha aggiunto: «Dovrebbe prima fare pulizia a casa propria e poi occuparsi degli altri». «Chi si impanca a giudice degli altri - ha aggiunto - dovrebbe essere perfettamente limpido e non è così».
Redazione Milano online

IL PDL AL 15% (CdS di stamattina)
ROMA — «Oggi sottrarre al centrodestra anche un solo voto sarebbe un errore imperdonabile che non possiamo fare. Nessuna componente dell’area moderata, neppure la più piccola, deve sentirsi esclusa. Se i moderati si uniranno, saranno di nuovo maggioranza del Paese». Silvio Berlusconi interviene via lettera al convegno di Saint-Vincent organizzato dalla Dc di Gianfranco Rotondi e fa un appello all’unità del centrodestra. Unità che non sembra esserci al momento, neanche nel Pdl, sempre più in difficoltà nei sondaggi (la Swg lo dà al 15,1). Nel partito c’è aria di scissione, con la ventilata fuoriuscita di ex An, e si continua a polemizzare, come dimostrano le parole di Daniela Santanchè: «Fabrizio Cicchitto ha detto che senza di lui non si prendono voti, ma ho qualche dubbio, non credo abbia tutti questi voti. Nel nostro partito l’unico che ne prende è Silvio Berlusconi. C’è troppa arroganza e presunzione nel Pdl». Replica di Cicchitto: «Qui di arroganza c’è solo quella della Santanchè».
Al raduno di Saint-Vincent — quest’anno funestato dalla notizia dell’arresto di uno dei suoi esponenti, Domenico Zambetti — Berlusconi invia un lungo messaggio. Nel quale chiede un «rinnovamento morale» e fa un appello all’unità a vasto raggio: «Serve il contributo di tutte le intelligenze, le forze culturali e imprenditoriali che condividono i nostri valori e si oppongono allo statalismo e all’oppressione fiscale della sinistra». Berlusconi coglie l’occasione per chiedere modifiche «dell’architettura istituzionale dello Stato». Perché servono più poteri al premier, sfiducia individuale e la possibilità «di governare anche con l’uso dei decreti legge». E poi, fine del bicameralismo perfetto e elezione diretta del presidente della Repubblica.
Intanto resta sullo sfondo l’ipotesi di uno «spacchettamento» (scissione) degli ex An dal Pdl. Ignazio La Russa la spiega così: «Noi lavoriamo per un Pdl forte. Che dica "mai con la sinistra" e che ci porti alle elezioni con un comitato etico di non politici, ex carabinieri e professori, per decidere sulle candidature». Se le cose andassero male, c’è il piano B: «Sento parlare Galan e altri di tornare a Forza Italia. Io dico solo, state attenti che se lo fate noi non abbiamo paura di fare un’altra cosa. Del resto i matrimoni si fanno in due: se qualcuno pensa che restiamo a dispetto dei santi, sappiano che siamo in grado benissimo di fare altro». Quanto all’appuntamento del 17 novembre, a Milano, La Russa chiarisce: «È un equivoco, quello è l’annuale incontro, aperto al pubblico, che facciamo per la Fondazione Destra Protagonista. Nel quale invitiamo alcuni dirigenti di altre aree, da Angelino Alfano a Maurizio Lupi. Si chiamerà "La destra nel Pdl" e certo affronterà il tema, ma non darà nessun annuncio di scissione».
Del resto lo «spacchettamento» piace a pochi. Si sfila anche Giorgia Meloni, data tra gli aderenti: «Tornare ad An non sarebbe intelligente per nessuno». Andrea Augello definisce l’ipotesi di «scissione concordata» una cosa che «non si ricorda dai tempi della politica ad Atene».
Preoccupano, nel Pdl, gli ultimi dati dei sondaggi Swg, che danno il partito al 15,1 per cento. Guido Crosetto allarga le braccia: «Siamo morti e fermi da sei mesi, è normale. Ma il campo dei moderati è sempre quello e possiamo recuperare. Va scelta una strada, ed è quella delle primarie». Marcello De Angelis non è stupito: «Se stiamo fermi, aspettando il secondo avvento di Gesù Cristo, rischiamo di precipitare. Dobbiamo reagire, essere adulti e responsabili. Ma comunque, se restiamo al 15 e andiamo all’opposizione, non è una tragedia».
Alessandro Trocino

CRONACA SU ZAMBETTI DI FERRARELLA (CDS STAMATTINA)
MILANO — Si è avvalso della facoltà di non rispondere l’assessore regionale lombardo pdl alla Casa, Domenico Zambetti, nel primo interrogatorio di garanzia ieri davanti al gip Alessandro Santangelo che mercoledì l’aveva arrestato con l’accusa di voto di scambio con la ’ndrangheta, concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata dall’aver agevolato la ’ndrangheta. In una breve dichiarazione spontanea al gip, Zambetti, difeso da Giuseppe Ezio Cusumano, ha spiegato di voler rispondere al pm Giuseppe D’Amico, ma di non sentirsela ora a causa di problemi di salute. L’ex assessore di Formigoni ha però anticipato che spiegherà di non aver mai pagato denaro per avere voti, e di non aver mai saputo che i suoi due interlocutori (gli ’ndranghetisti Pino D’Agostino e Eugenio Costantino) fossero i portavoce delle cosche calabresi Morabito-Bruzzaniti di Africo e Di Grillo-Mancuso di Limbadi.
Crespi: usano il mio nome
È invece passato al contrattacco il sondaggista Ambrogio Crespi, fratello del più noto Luigi (7 anni in primo grado per il crac Hdc), arrestato come presunto collettore di voti indirizzati da Costantino su Zambetti. Il suo arresto è il meno forte fra le varie posizioni, perché gli indizi maggiori arrivano quasi tutti da ciò che i boss si dicevano tra loro, e l’unica significativa telefonata in cui Crespi parla può essere interpretata sia pro sia contro. Il sondaggista, difeso da Marcello Elia, ha negato seccamente di aver raccolto voti per i clan, spiegando le telefonate altrui come la volontà dei malavitosi di spendere il suo nome per acquisire credibilità e ottenere i pagamenti che si reclamavano l’un l’altro. Inoltre ha additato alcune intercettazioni nelle quali Costantino gli attribuirebbe circostanze fantasiose, come l’aver fatto fallire il produttore Cecchi Gori.
Il profilo dei due «ambasciatori» delle cosche presso i politici, Costantino e D’Agostino, è peraltro uno degli aspetti più interessanti dell’operazione che ha monitorato l’interferenza del pacchetto di voti dei clan sulle regionali 2011 (4.000 preferenze su Zambetti per 200.000 euro secondo l’accusa), sulle elezioni per il Comune di Milano 2011 (400/500 voti per la figlia dell’ex presidente del Consiglio comunale Vincenzo Giudice, al quale però gli ’ndranghetisti si erano presentati con un nome falso come lobbysti calabresi) e sulle amministrative 2011 nel Comune dell’Expo 2015, Rho.
Il boss «moderno»
Costantino, rileva il gip, «è un esponente della ’ndrangheta per così dire "moderno". Uno di quelli che non bada "alle capre"» (come lui stesso in una intercettazione marca la differenza rispetto a Sabatino Di Grillo), «non si sporca», non è di una famiglia originariamente mafiosa, ha solo un precedente penale, ma per bancarotta, «è sempre ben vestito e dotato di buona dialettica, capace di interloquire anche con persone di una determinata fascia culturale». Ufficialmente gestisce di fatto alcuni negozi di "Compro Oro" nell’hinterland milanese a Settimo, Cornaredo, Busto Garolfo e Cuggiono. E solo ora, a posteriori, diventa interessante che anni fa ai carabinieri di Vimercate fosse capitato di controllarlo insieme a un pluripregiudicato di Taurianova che fu poi fermato alla frontiera di Vipiteno con un arsenale composto da 9 pistole, una mitraglietta, 5 silenziatori e 21 caricatori.
«Paciere in tutta Europa»
Il capitale di Costantino è però l’«immagine» di Giuseppe D’Agostino, cosca Morabito-Bruzzaniti di Africo, condannato a 4 anni e 8 mesi per traffico di droga all’Ortomercato di Milano, dove la cosca gli aveva affidato la gestione del night «For the King». «Lui è rispettato da tutti — spiega Costantino a un complice —, dove si presentava non ce ne era per nessuno, anche perché con i grandi della ’ndrangheta... Peppe Ferraro ("il Professore", ndr), Micu Barbaro, Ninetto Gullace, cioè gente che fanno tremare, i boss più forti, i Galanti, i Bellocco, tutti. Diciamo che lui con il potere di rispetto che aveva, lui poteva fare da paciere in tutta Italia, anche in tutta Europa...».
Luigi Ferrarella

PEZZO SU SIMONE DI SIMONA RAVIZZA (CDS DI STAMATTINA)
MILANO — Dopo sei mesi di prigione, il grande lobbista della Sanità lombarda, Antonio Simone, 58 anni, è seduto su un divano rosso nella redazione di Tempi, dove l’hanno arrestato il 13 aprile scorso. È qui che «il vero e proprio ispiratore — come lo definisce la Procura — del meccanismo di corruzione» (che porta dritto al governatore Roberto Formigoni) ritorna subito dopo avere lasciato il carcere di San Vittore, tra l’applauso degli amici ciellini e i baci delle figlie Maria, Gloria e Virginia. I termini di carcerazione preventiva sono scaduti e lui è libero.
Simone ricostruisce con il Corriere la sua attività di lobbista e racconta — come una cosa normale — il suo lavoro decennale di sponsor di provvedimenti legislativi varati dall’amico Roberto Formigoni e dalla Regione Lombardia, leggi che hanno fatto guadagnare a lui e al socio Piero Daccò 6 milioni di euro all’anno finiti in società off-shore. È uno spaccato sul funzionamento della Sanità in Lombardia, tra le migliori d’Italia, con il budget da capogiro di 16,5 miliardi di euro l’anno e i conti in pareggio dal 2003.
Simone, su cui pende tutt’ora l’accusa di corruzione, ha le idee chiare: «Non è stato commesso nessun illecito». Il suo ragionamento ruota intorno a quattro passaggi: «1) Io avevo la possibilità di proporre progetti al governatore Roberto Formigoni che conosco da quando avevamo i calzoni corti; 2) lui è un uomo intelligente e li ha accolti perché ha capito che le mie proposte avrebbero fatto funzionare bene la sanità e avrebbero portato a un risparmio di soldi pubblici; 3) io, poi, ci ho guadagnato come consulente della Maugeri, ma non c’è nulla di illegale perché non è stato sprecato un euro di denaro pubblico; 4) è assurdo pensare che ci possa essere corruzione per le vacanze che Formigoni ha fatto a spese di Piero Daccò, perché era tutto tra amici, c’era Roberto come c’erano altri politici».
Così gira la Sanità in Lombardia? Con i lobbisti che pagano vacanze? Simone risponde con un’altra domanda: «Qual è il problema se non sono stati buttati soldi pubblici, ma se anzi sono stati risparmiati milioni di euro nell’interesse degli ammalati?». L’inchiesta della Procura ruota intorno a un presunto scambio di soldi pubblici e favori privati che è alla base dell’iscrizione nel registro degli indagati di Formigoni per corruzione aggravata. Dalle casse della Maugeri, il colosso della riabilitazione lombarda, sono stati portati via 60 milioni di fondi neri: «Con la specifica volontà di pagare alti funzionari della Regione affinché la Giunta confezionasse delibere a uso e consumo della Maugeri — scrive il gip Vincenzo Tutinelli —. (...) Risulterebbero utilità (allo stato di entità non ingente e certo non proporzionata al flusso di denaro sopra descritto) a favore del presidente della Regione Lombardia (vacanze, cene, yacht, ndr)». Ma Simone è granitico nel respingere l’accusa di corruzione. Dalla sua difesa emerge piuttosto la mescolanza elevata a norma tra politica, amicizie e affari. Il milieu, in questo caso, è tutto ciellino.
Secondo la Procura sono stati i vertici della sanità lombarda, nella metà degli anni Novanta, a «dare alla Maugeri l’indicazione di rivolgersi agli intermediari Simone e Daccò per ottenere provvedimenti favorevoli». Simone è diretto: «Ci si rivolge sempre al migliore su piazza — spiega —. Ma io, allora, lavoravo come imprenditore all’estero dove costruivo ospedali. Così ho creato il contatto con Piero Daccò perché si occupava di problemi analoghi per gli ospedali dei frati (dell’Ordine ospedaliero Fatebenefratelli, ndr)». In effetti la pratica che valeva 14 miliardi di vecchie lire si è sbloccata. «Quando abbiamo iniziato a lavorare per la Maugeri fatturava 200 milioni di euro — ricorda Simone —. Con il nostro intervento la somma è passata a 350 milioni. Abbiamo stabilito una ricompensa di 6 milioni all’anno, di fatto il 2% dei soldi che facevamo incassare con una normale attività di pubbliche relazioni».
Una normale attività di pubbliche relazioni che per la Procura assomiglia di più a un’associazione a delinquere. L’inchiesta continua: ieri è stato interrogato come testimone l’ex assessore Massimo Buscemi (genero di Daccò), mentre sono tornati in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare anche gli altri arrestati, Umberto Maugeri, l’ex direttore amministrativo Costantino Passerino e i consulenti Claudio Massimo e Gianfranco Mozzali.
Simona Ravizza
sravizza@corriere.it

LA LEGA (pezzo di Cremonesi su CdS di stamane)
MILANO — «Qui c’è qualcuno che non ha capito un accidente. Io voglio passare per quello che ha dato alla Lombardia il primo governatore leghista. Non per il primo segretario leghista che ha consegnato la Lombardia al Pisapia di turno». Lo sfogo, sia pure riportato dai collaboratori più stretti, è di Roberto Maroni. Che ieri ha trascorso ore complicate. Il compito che si era auto assegnato era il mettere a punto una relazione delicata, quella che il consiglio federale della Lega ascolterà — e probabilmente approverà — questa mattina. Prevede un’agenda di provvedimenti che la Regione Lombardia dovrà approvare in fretta, o meglio in frettissima: prima di Natale. Poi, sempre secondo quanto riferiscono gli amici del segretario, l’orizzonte della legislatura lombarda s’interrompe: obiettivo, elezioni anticipate in primavera. E non alla scadenza naturale del 2015.
Sennonché, appunto, la giornata è stata tormentata. Con un Roberto Formigoni che ogni poco affidava alle agenzie esternazioni come minimo urticanti per la base leghista. Una serie di dichiarazioni per accreditare la tesi che Maroni sia d’accordo con lui sul proseguire la legislatura fino al 2015, e pazienza se la pancia della Lega sia di altra opinione: «Anche Maroni è stato chiaro: non ci sono limiti temporali». E poi, «con Maroni c’è grande sintonia e simpatia reciproca». Fino a quella, considerata dai leghisti al limite dell’irridente: «Credo che sarà Maroni a convincere» i consiglieri regionali padani dell’inopportunità di togliere la fiducia al governatore.
Un modo piuttosto trasparente per accreditare una divisione ai vertici del Carroccio, visto che il segretario lombardo Matteo Salvini per tutto il giorno ha ribadito che «l’era Formigoni è finita», che «una nuova giunta è inutile e comunque la Lega non dovrebbe entrarci» (e dunque nemmeno dare appoggio esterno), che «l’unica alternativa alle dimissioni di Roberto Formigoni, è l’impegno a votare entro aprile per il rinnovo del Consiglio regionale».
La divisione tra Maroni e Salvini esiste? Non è affatto detto. È assai più probabile che il gioco delle parti che fino a qualche tempo fa si consumava tra Bossi e Maroni, oggi si vada ripetendo tra Maroni e Salvini. Non per nulla, il week end di mobilitazione per la raccolta di firme per la Euroregione — il 20 e 21 ottobre — in Lombardia vedrà comparire nei gazebo un foglio supplementare: la formulazione è ancora da definire, ma la sostanza sarà la richiesta «al popolo» se continuare o meno a sostenere Roberto Formigoni. Inutile dirlo: il no sarà corale. Così come è inutile dire che il referendum sul governatore non è una fuga in avanti di Salvini ma una mossa concordata con Maroni. Per dare spinta popolare a quanto emergerà dal consiglio federale di oggi.
Resta il fatto che spiegare la linea ai militanti non sarà una passeggiata: anche molti dirigenti ieri erano convinti che la Lega abbia manifestato una posizione troppo morbida, che Maroni non avrebbe dovuto partecipare alla conferenza stampa con Alfano e Formigoni, che la scadenza avrebbe dovuto essere scritta come su un vasetto di yogurt. Di qui, lo sfogo del segretario citato all’inizio. Che sarebbe così proseguito: «Staccare la spina adesso significa consegnare la Lombardia al Pd e inserire per cinque anni un cuneo tra Piemonte e Veneto. È questo che vogliamo? E dopo? Che cosa andremo a raccontare?».
Marco Cremonesi

CRONACA DI ELISABETTA SOGLIO SUL CDS DI STAMANE
MILANO — Formigoni guarda avanti. Il giorno dopo la crisi (per ora) rientrata, il Governatore lombardo sta già pensando alla nuova squadra di governo che dovrà costituire nel giro di una decina di giorni. E se il segretario della Lega Lombarda, Matteo Salvini sostiene ai microfoni della Zanzara che «fossi stato Formigoni, mi sarei dimesso», sostenendo che «una nuova giunta è inutile e comunque la Lega non dovrebbe entrarci, anzi non dovrebbe dare neanche l’appoggio esterno», il presidente ribadisce che «l’accordo con la Lega è molto forte».
Guarda avanti, dunque, il numero uno lombardo, convinto di «aver dato ai cittadini un grande segnale di discontinuità azzerando la vecchia giunta e rilanciando il programma di governo con l’impegno a definire una serie di riforme: a partire da quella sulla sanità fino al progetto della macroregione». Guarda avanti nella consapevolezza che la macchia della ’ndrangheta sull’ormai ex assessore Domenico Zambetti è «un fatto gravissimo». Di questo, Formigoni discuterà questa mattina in un incontro riservato, nei locali della prefettura, con il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri.
Ieri il Governatore ha riunito per l’ultima volta la giunta nella quale sedeva anche Zambetti, finito in carcere con l’accusa di avere comprato voti dalla ’ndrangheta. Tutti gli assessori e i sottosegretari hanno consegnato la loro delega (le dimissioni decorreranno a partire dall’insediamento della nuova squadra), spiegando di «condividere il pensiero politico che sta alla base della decisione presa dal presidente». Formigoni li ha ringraziati uno ad uno per «il gesto di grande generosità e per il senso di responsabilità dimostrato»: «È stato un passaggio difficile — conferma — perché ha toccato persone che hanno lavorato bene e non hanno mai avuto problemi con la giustizia». Compresi il fedelissimo assessore e cognato Giulio Boscagli, e il responsabile delle infrastrutture Raffaele Cattaneo. Ma anche Valentina Aprea, che per venire in Regione aveva rinunciato al seggio sicuro al Parlamento, durante un altro rimpasto avvenuto soltanto pochi mesi fa.
Da registrare anche la polemica dell’Udc che accusa Pd, Lega e Pdl: «Il nostro partito — taglia corto il consigliere regionale Enrico Marcora — non ha l’imbarazzo di avere sostenuto Penati (candidato del centrosinistra, ndr), né tantomeno Formigoni, ma solo l’orgoglio di aver candidato Savino Pezzotta. Oggi possiamo solo dire di aver previsto questa situazione, ma è solo una disarmante e sconfortante consolazione». Marcora sarà al convegno che si svolge oggi a Bergamo con le organizzazioni del mondo del lavoro e dell’economia che hanno promosso il documento di Todi per il Buon Governo. Si riuniranno consiglieri regionali, provinciali e comunali, sindaci e amministratori che, a titolo personale, valuteranno la possibilità di costruire una alternativa civica a Formigoni creando una lista smarcata dai partiti. Già. Perché non è soltanto Formigoni che guarda avanti.
Elisabetta Soglio

Lunedì sera alle 20.30 tutta l’opposizione di centrosinistra scenderà in piazza sotto la sede della Regione. Lo slogan è netto: «Formigoni dimettivi, il tempo è scaduto». La manifestazione è aperta ad associazioni, movimenti, organizzazioni, simpatizzanti per chiedere ancora una volta il voto anticipato in Lombardia. Mentre per tutta la giornata, ieri, il Pirellone è stato assediato da manifestanti. Al grido: «Mafiosi, dimissioni». (MONTANARI, REP)

Anche nel Pdl c’è chi mette in discussione Formigoni. «Se
fossi stata in lui mi sarei dimessa - insiste Daniela Santanchè». Viviana Beccalossi avverte: «Sappiamo che dalla Lega possono arrivare delle sorprese. Zambetti non è stato cacciato, ma solo sospeso dal partito. Bisognava essere più duri». Il neo Dc Gianfranco Rotondi, la corrente dell’ex assessore arrestato, è convinto che «è possibile che nei prossimi mesi ci sia bisogno di Formigoni a Roma». Oggi Formigoni sarà ospite a Saint Vincent della convention dei neo democristiani.
Per ironia della sorte doveva essere proprio Zambetti ad accoglierlo.
Il governatore, invece, cerca di auto rassicurarsi. «Andare in questo momento a una crisi di governo in Regione in un momento così difficile per l’economia, sarebbe veramente danneggiare tutti i cittadini». Assicura anche che «nessun atto che è stato compiuto, nemmeno dall’ex assessore Zambetti, è stato capace di danneggiare la Regione». (IBID).

Formigoni gonfia il petto e fa il gradasso con i leghisti alla Salvini che insistono sul voto regionale anticipato in primavera. E che si preparano, come ha annunciato lo stesso segretario lombardo del Carroccio, a promuovere nel prossimo weekend un referendum interno (1.500 gazebo in Lombardia già organizzati per le tre proposte di legge costituzionale) che dovrebbe servire a raccogliere un plebiscito contro il Celeste per votare ad aprile anche in Lombardia. (sala su rep)