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 2012  ottobre 12 Venerdì calendario

«Matteo, mi ha riferito il buyer che volevi dargli del tu al primo incontro, volevi abbracciarlo forse? Dargli un bacio?»

«Matteo, mi ha riferito il buyer che volevi dargli del tu al primo incontro, volevi abbracciarlo forse? Dargli un bacio?». L’altro balbetta, guarda in basso, prova a frenarne la rabbia, improvvisa: «È un riflesso della mia educazione, boss. In America le contrattazioni si fanno così». È tardi. Flavio Briatore allarga la mascella, strizza gli occhi, avvampa: «In America non esistono il lei e né il voi, se venivi in ufficio da me e mi davi del tu, ti pigliavo a calci in culo. La prima cosa è l’educazione». Mal che vada, nella peggiore delle ipotesi, quando tutte le discoteche saranno in rovina e della "Billionaire life" non rimarrà che il fastidio, re Flavio non resterà disoccupato. Con il due per cento di share e la comicità stellare nell’appropriato contesto di Cielo, ogni martedì Briatore gioca a superarsi. All’inizio, con la pancia in fuori, le babbucce siglate, i boccoli bianchi, gli occhiali fumè, la fissità dello sguardo, l’italiano incerto e il mento appoggiato come una duna su un corpo da matrona, sembrava impossibile ripetere l’esperimento. Clonare il gioco imprenditoriale per apprendisti e piccoli squali importato dagli States, imitare Donald Trump, fare di "The Apprentice" non solo un leccato programmino tutto steadycam, hd e montaggio serrato, improbabile. Lentamente, con un notevole lavoro di casting (mai visti tanta concentrazione di potenziali coglioni sottoposti a ripetuto esame), il geniale espediente del product placement 2.0, della marchetta organica come elemento di sceneggiatura (i partecipanti devono superarsi in una prova sponsorizzata: inventare un giocattolo per Enrico Joker Preziosi, produrre una miscela per Mokarabia, lisciare i gusti dei clienti del Principe di Savoia), "The Apprentice" ha traslocato nello stracult. Piccoli gruppi di ascolto, insospettabili che ti confessano di assistere in bambola alle repliche: «Perché l’oscenità dell’assunto e il contributo horror di Briatore sono magnetici», fitto cinguettio in rete e applausi per uno dei titoli più divertenti della stagione. Il corto circuito forse involontario tra il massimo cantore della vacanza cafona, il pessimo gusto e la dubbia rapidità di pensiero di chi sogna solo di somigliargli e la prospettiva di un contratto a sei zeri offerto da uno spregiudicato signore che sul materiale umano a disposizione, sui concorrenti in gara (arrivisti, viscidi, mielosi, proni) ha le idee chiarissime: «Questi tre insieme non fanno un cervello, bisognerebbe fare le offerte speciali» dice Flavione alla perfida assistente Patrizia Spinelli da Reggio Calabria, una cattiva vera non priva di neuroni affiancata all’inamidato manichino Coin Simone Avogadro di Vigliano, sposato con una Heisenower, i due coadiuvanti di Briatore che gli sedono a fianco, seguono i concorrenti e stendono relazioni, restituisce frammenti di cinica tv del massimo livello. È tutto finto, tutto costruito. Caratteri, personaggi, battute, litigi. Ma nonostante la finzione, si fa guardare. Briatore è in piena commedia dell’arte. Fosse per lui, nessuno della sporca dozzina in corsa per essere alle sue dipendenze sfiorerebbe alcunché delle sue proprietà, ma le regole gli impongono un’assunzione e in attesa del fioretto, il grande amico di Daniela Santanché, il teorico di Malindi, l’ospite africano di Berlusconi, si sfoga. Alberyo Belloni, emiliano, venditore di champagne. Camicia aperta al quarto bottone, colletti eccessivi, barba e lingua umida costantemente fuori dalla bocca. Non ha fatto bene nella prova e tenta di evitare l’eliminazione: "Boss, io sono partito forte». Non ha il tempo di proseguire perché quello, lo azzanna al collo: «Sei l’unico ad avere questa impressione, stai vedendo un altro film, il film di ieri». Belloni ritenta, lecca con impegno: «In effetti mi sono un po’ affievolito, ma lei mi ha svegliato con le sue parole». A quel punto, le sinapsi di Flavio subiscono un’interruzione di corrente. Vanno in tilt. Fanno uscire il Briatore che è in lui: «Se mai io ti dovessi assumere, non sarei la tua sveglia mattutina, non ti porterei il caffè dicendoti Alberto, svegliati per favore. Io ti butto giù dal letto a calci in culo, anzi ti faccio buttare giù da un altro, non lo faccio io». Seguono altri delicati concetti: «Sei abituato a nasconderti, sei un furbetto che si costruisce gli alibi e si imbosca, non hai mai le palle per prendere una decisione, ieri dovevi tirar fuori gli attributi, cercare di vincere e non l’hai fatto», le ultime pallide sillabe del sacrificato: «Boss, ma io ascolto il mio capo, il mio team leader, era tutto già deciso» e l’esplosione di Flavio. Diventa violaceo: «Ma smettila di dire stronzate, non era deciso un cazzo, ti ho detto smettila». L’effetto "mezzogiorno di fuoco", campo e controcampo su carnefice e vittima con musica western è esagerato, ma la riuscita di "The Apprentice" non è nel registro tenue. È nel fumetto. Nel disneyanesimo briatoresco, dove le segretarie somigliano a Jessica Rabbit e hanno cosce come giraffe, la bellezza è un valore, il cumenda un padre della Patria e l’abito fa sempre il monaco: «Alzati un momento, Matteo» invita Flavio: «girati», «C’è qualcosa che non va, boss?», «E sì che c’è, hai la giacca vista culo, se ti presenti da me a lavorar così neanche i cessi ti faccio pulire». Conta solo apparire. L’imperativo è fottersi a vicenda, abbracciarsi e poi tradirsi, interiorità, neanche a dirlo, è una parolaccia. Nel Truman Show in cui Flavio impasta le lingue morte con le licenze poetiche apprese sull’arenile di Capriccioli: «Non è possibile che per il tuo ‘igo’, per la tua voglia di apparire metti a repentaglio la missione», nel braccio che si alza, nel dito che si tende e scimmiotta un’icona warholiana: «Enrico tu sei fuori». Nella "saggezza" briatorica come nell’anglismo esasperato : «Boss, mi sono messo nel team leader di giornata le sue mani, ho fatto come l’allenatore che si fida del rigorista», con Flavio, pragmaticamente disgustato: «Hai fatto male, non puoi delegare ogni aspetto, anche Pirlo ha sbagliato un rigore», nelle incazzature improvvise (quando si infuria Briatore rallenta il flusso delle parole e fa temere per la salute) e negli spot più o meno occulti: «Vi sto parlando dalla terrazza del Fairmont di Montecarlo, ogni mattina, prima di iniziare la giornata ho l’abitudine di iniziare con un buon caffè. Good Luck» o anche: «Per premio vi manderemo a Nizza, al Boscolo, che è uno dei migliori alberghi della Costa Azzurra», Briatore si riscopre giovane. Senza Naomi, ma anche senza Dorian Gray. La vita è un lauto pasto. Il sorriso di plastica, a volte, un esigenza. Se i ragazzi vincono una gara, il Boss promette. « Vi farò aver presto un premio davvero speciale» e poi mantiene. Nel loft dove vivono le due squadre, Lux e il gruppo, reminiscenze più da Corso Come che da balcone mussoliniano in Piazza Venezia, al campanello suona il cuoco Bruno Barbieri: «Sorpresaaaa», gaia, gaissima star di Masterchef con il suo carico di sapori e «di cime di basilico bellissimeeee». Si brinda. Briatore mangia altrove. L’apprendistato è quasi finito. In tv lo rivedremo. Come da filosofia (sic) Billionaire: «È il mercato che decide chi rimane ricco e chi diventa povero» o da ipervalutazione di se stesso: «Io sono made in Italy da esportazione». Non lo caccia nessuno, lui. Flavione, «fuori», non ci va.