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 2012  ottobre 12 Venerdì calendario

A fine maggio Mark Zuckerberg deve aver tirato un sospiro di sollievo. Certo, l’ingresso in borsa di Facebook era andato malissimo: il titolo stava sprofondando e lui era già inseguito dalle class action degli azionisti

A fine maggio Mark Zuckerberg deve aver tirato un sospiro di sollievo. Certo, l’ingresso in borsa di Facebook era andato malissimo: il titolo stava sprofondando e lui era già inseguito dalle class action degli azionisti. Ma in quegli stessi giorni il fondatore del grande social network ha anche messo due punti fermi nella sua vita: 1) Si è sposato. 2) Il 27 maggio è terminata la corvée salutista che si era autoimposto per motivi etici: mangiare per un anno solo carni di animali che lui stesso aveva ucciso e preparato. Convinto da Jesse Cool, un ristoratore campione della cucina organica, padrone del Flea Street Cafè di Menlo Park, Zuckerberg a metà dello scorso anno si è messo ad ammazzare galline, aragoste e capre, prima di mangiarle. Poi ha preso la licenza di caccia e a settembre ha abbattuto un bisonte. La cui testa dalla vigilia di Natale è esposta in una sala-riunioni di Facebook: quella usata da Sheryl Sandberg, la mente operativa della società. Mark ha parlato più volte con convinzione della sua scelta: uccidere l’animale che mangi è anche un modo di rispettare la natura, di porsi nei suoi confronti in modo responsabile, di «guadagnarsi» il cibo che metti in tavola. Lui la considera anche un po’ una cerimonia di ringraziamento. Ma è una faticaccia: un macellaio ha raccontato di esserselo visto arrivare una volta sporco e affaticato al volante di una Lexus station wagon. Ha aperto il vano posteriore: dentro c’era un maiale (morto) che non riusciva a disossare. Stranezze di miliardari, direte voi. Mica tanto: in America «Eat what you kill», mangia ciò che uccidi - un po’ principio etico, un po’ fenomeno di tendenza - sta prendendo piede in vari ambienti, dai manager della Silicon Valley a certi circoli di donne. Le loro bibbie sono i saggi sulla responsabilità alimentare di Michael Pollan, il documentario «Food Inc.» e «Se niente importa», il libro-inchiesta nel quale lo scrittore Jonathan Safran Foer ha documentato le atrocità commesse sugli animali da allevamento: meglio il «fai da te» che una macellazione industriale feroce e poco sana. Non un fenomeno di massa, certo, ma i contadini californiani dicono che colline e monti della Sierra alle spalle della valle delle tecnologie digitali sono sempre più frequentati da giovanotti che, quando non vanno a lavorare al GooglePlex, alla Apple o alla Hp, imbracciano il fucile. E adesso arriva anche una raffica di saggi, da The Mindful Carnivore a Call of the Mild, di intellettuali che raccontano la loro avventura di «killer etici». La novità: alcuni sono scritti da donne che descrivono la loro missione - conquistare proteine in modo naturale - come «l’ultima frontiera del femminismo». Parola di Georgia Pellegrini (Girl Hunter: Revolutionizing the Way We Eat) e di Lily Raff McCalou (l’autrice di Call of the Mild) che, stufa di lavorare per l’industria del cinema a New York, è andata a vivere in Oregon. Ha comprato un fucile a pompa e adesso racconta che, quando uccide un cervo, si inginocchia vicino a lui e gli dice: «Grazie, mi dispiace».