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 2012  ottobre 12 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL BAMBINO PORTATO VIA DA SCUOLA


ROMA - La zia materna e il nonno del bambino di 10 anni, prelevato a forza l’altro ieri da scuola su ordine del Tribunale dei Minori, sono stati segnalati dalla Questura di Padova alla magistratura per le ipotesi di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale e inosservanza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Con loro, nella comunicazione di notizia di reato inviata alla Procura, comparirebbe anche una terza persona. Potrebbe essere uno dei genitori dei compagni di scuola del bambino, che avevano aiutato i parenti. Lo si apprende da fonti investigative che rivelano che ci sarebbe anche un secondo filmato girato dalla polizia scientifica, consegnato in Procura, e che potrebbe chiarire molte cose. Da ieri è polemica per le immagini del video 1, diffuse da Chi l’ha visto?, in cui il ragazzino viene portato via dalla polizia dalla sua scuola elementare di Cittadella, dell’Alta Padovana, in esecuzione a un provvedimento del giudice. Il minore è tenuto per le mani e le gambe mentre cerca di divincolarsi.

Dopo la diffusione del filmato, girato dalla zia, questa mattina sono arrivate le scuse del governo. Un "comportamento che non è sembrato adeguato rispetto a un contesto ambientale ostile e difficile che doveva suggerire altre condotte", ha detto il sottosegretario all’Interno Carlo De Stefano, in riferimento all’intervento degli agenti in occasione dell’esecuzione del provvedimento del giudice minorile nei confronti del ragazzino 2. De Stefano ha aggiunto che il minore, al centro di un’aspra contesa fra i genitori separati, si è opposto in maniera violenta ai tentativi del padre e delle forze dell’ordine di portarlo fuori dalla scuola.

Il caso è stato commentato anche dal ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri: "Quella del bambino di Padova è una vicenda che ha colpito l’emotività. Il capo della Polizia e la magistratura hanno aperto due inchieste, ma si deve sapere bene tutto quello che è accaduto. C’è un video parziale: lasciamo che magistratura e Polizia facciano la loro parte". Il ministro ha comunque voluto ribadire la professionalità della Polizia femminile che da sempre si occupa dei minori.

Mussolini chiama Cancellieri per vedere il bimbo. Proprio oggi Alessandra Mussolini ha chiamato il ministro Cancellieri per entrare nella casa famiglia e vedere il bambino. Cancellieri, secondo quanto riferito dalla parlamentare, avrebbe risposto: "in questa faccenda non voglio entrare, parli con il ministro Severino". "Un ministro dell’interno - accusa Mussolini - nega la prerogativa ispettiva a un parlamentare". Racconta poi di aver visto il bambino tolto alla madre e di "averlo trovato provato".

La ricostruzione del Viminale. In un’informativa alla Camera il sottosegretario De Stefano ha ricostruito l’episodio. La polizia, con lo psicologo, lo psichiatra e il padre sono andati nella scuola per prendere il ragazzino, che si è rifiutato di seguirli. Il Viminale ha chiarito che gli altri alunni sono stati allontanati dalla classe. A questo punto il papà è riuscito con fatica a portarlo fuori dall’aula, ma nel corridoio la reazione del minore è diventata ancora più energica. "Il bambino - ha detto ancora De Stefano - appena uscito dall’edificio invocava con urla l’intervento dei familiari della madre che sono arrivati muniti di telecamere. Due poliziotti cercavano di fronteggiare i familiari mentre un terzo cercava di aiutare il padre a portare il figlio in auto. Nonostante la resistenza sempre più accesa dei familiari, i poliziotti sono riusciti ad allontanarli consentendone la partenza".

FOTO Le lacrime della madre 3
VIDEO Il padre: "L’ho liberato" 4

Il bambino sta bene. Oggi, dalla comunità protetta di Padova dove da mercoledì è stato portato il bimbo, sono arrivate notizie confortanti. "Spero che venga lasciato in pace - spiega l’operatrice dell’onlus che ha in carico il ragazzino - perché merita di vivere una vita normale e non credo proprio che tutta questa attenzione sul suo conto gli faccia bene. Posso dire che sta bene, e spero che questo basti a spegnere i riflettori su questo caso"

Il video. Sul caso ieri Renato Schifani ha chiesto chiarimenti al capo delle forze dell’ordine, Antonio Manganelli, che ha espresso "profondo rammarico" e scuse ai familiari, e disposto un’inchiesta interna. Sul caso le senatrici del Pd Anna Serafini e Anna Finocchiaro hanno presentato un’interrogazione al ministro Cancellieri e a quello della Giustizia Paola Severino.

Il filmato è stato girato dalla zia. Il bimbo di 10 anni è stato prelevato davanti alla scuola elementare di Cittadella, nel padovano, in esecuzione di un’ordinanza della sezione Minori della Corte d’Appello di Venezia. Il piccolo è al centro di un’aspra contesa fra i genitori separati. Dopo anni di liti e conflitti, il giudice ha deciso di affidarlo a una struttura protetta. Gli agenti sono andati alla scuola - come è stato precisato - perché i tentativi fatti in passato presso la casa materna e dei nonni, erano falliti.


(12 ottobre 2012)

CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO
PADOVA — Un bambino trascinato via a forza dai poliziotti e dal padre davanti a una scuola elementare. Altri ventuno piccoli che lo guardano dalle vetrate della palestra mentre lui implora di lasciarlo andare, mentre strepita, urla, scalcia. A pochi passi di distanza sua zia filma tutto con una telecamera e impreca contro la polizia, giura che la farà pagare a tutti e promette che «questa storia finirà in televisione».
Dopo nemmeno 24 ore la portata di quelle immagini è chiara a tutti. La scena straziante del bambino che non vuole arrendersi diventa un caso, intervengono i presidenti di Camera e Senato, il capo della polizia, il ministro degli Interni, il garante della privacy, quello per l’infanzia e l’adolescenza. Sotto accusa finiscono soprattutto le modalità con le quali il piccolo è stato portato via e per la polizia di Padova è la bufera. Antonio Manganelli ordina l’apertura di un’inchiesta interna, si scusa con la famiglia ed esprime «profondo rammarico» per quello che ha visto nel video. Interviene anche il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri: «Sono rimasta turbata da queste immagini», premette, e dice che «prima di dare giudizi o emettere sentenze attendo di conoscere il risultato dell’indagine avviata dal capo della Polizia».
Per Padova ieri non è stata una bella giornata. Il questore Vincenzo Montemagno difende i suoi agenti: «Non accetto che si punti il dito contro persone che hanno soltanto eseguito l’ordine di un giudice» dice, dopo essersi scusato anche lui «con la famiglia e il bambino». Già di prima mattina ha inviato un rapporto dettagliato a Manganelli: per spiegare che i poliziotti hanno fatto il loro dovere e che la situazione è precipitata soltanto quando sono intervenuti i parenti del bambino.
La zia del piccolo inveiva e filmava e dalla palestra i compagni di classe di Leonardo lo guardavano dimenarsi, strisciare per terra tenuto per le braccia e per le gambe. Avevano il fiato sospeso per lui, qualcuno piangeva e un gruppo di mamme, ieri pomeriggio, ha tenuto un sit-in di protesta davanti alla scuola: «Non si trattano così i bambini».
«Il video fa davvero accapponare la pelle» è il commento del presidente della Camera, Gianfranco Fini. E ancora: «Il sottosegretario del ministero degli Interni sarà a Montecitorio per riferire sull’accaduto (oggi, ndr). Spero che non ci siano strumentalizzazioni ma che, se ci sono responsabilità, siano punite».
«Le immagini hanno creato indignazione e sgomento in tutti noi italiani» riflette il presidente del Senato Renato Schifani. «Comportamenti come quello al quale abbiamo tutti assistito, meritano immediati chiarimenti ed eventuali provvedimenti. I bambini — valuta Schifani — hanno il diritto di essere ascoltati e rispettati e ogni provvedimento che li riguardi deve essere eseguito con la prudenza e l’accortezza imposti dalla loro particolare situazione minorile».
Anche nel decreto che ha deciso di allontanare il bambino dalla madre c’è scritto che «l’esecuzione dell’ordine deve esplicarsi nelle forme più discrete e adeguate del caso». Tutto disatteso, a giudicare dal video-choc registrato davanti alla scuola. Immagini per le quali il Garante dell’infanzia e quello della Privacy lamentano il fatto che il bambino sia stato reso riconoscibile «con la pubblicazione del filmato sul web senza un’adeguata copertura dei volti».
G.Fas.
@GiusiFasano

MARIO PAPPAGALLO SUL CORRIERE DELLA SERA
C’è un genitore (alienatore) che denigra l’altro genitore (alienato). E c’è un figlio che può essere vittima di questa sorta di «lavaggio del cervello» o non esserlo. La sindrome di alienazione genitoriale, Parental alienation syndrome (Pas), è un’ipotetica alterazione psicologica conseguente a situazioni conflittuali di separazione o divorzio. Genitori nemici all’ennesima potenza che usano i figli come arma. A teorizzarla, nel 1985, è stato lo psichiatra statunitense Richard Gardner, morto suicida nel 2003 all’età di 72 anni. Ma la Pas è ancora oggi al centro di dibattiti in ambito scientifico e giuridico. Non è infatti riconosciuta come psicopatologia da parte della grande maggioranza della comunità scientifica e legale. Negli Stati Uniti è addirittura in corso una «mutazione» concettuale della Pas in Pad (Parental alienation disorder, in italiano Disturbo da alienazione genitoriale). Da patologia a disturbo: «Una grave condizione di disagio mentale che affligge molti bambini e le loro famiglie». Ancora oggetto di ricerche, soprattutto per quanto riguarda la diagnosi. In Italia la Sindrome di alienazione genitoriale è contemplata nelle «Linee guida in tema di abuso sui minori» della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza come «forma di abuso psicologico». E questo è il problema reale, da prevenire con una buona mediazione familiare che impedisca la degenerazione di un «conflitto coniugale» in «conflitto genitoriale». In parte innescato anche dalle regole che governano sia la «separazione» sia l’affido. E che favoriscono ad individuare una parte vincente ed una soccombente. Con i figli che rischiano di divenire vittime inermi, come i civili uccisi in guerra. Non più persone, ma «armi» per vincere il conflitto.
Mario Pappagallo

CORRIERE DELLA SERA - FULVIO SCAPARRO
Ad evitare ogni equivoco, coinvolgere bambine e bambini in scene come quella filmata l’altro ieri davanti a una scuola elementare, anche se motivate dall’esecuzione di un ordine dell’autorità giudiziaria, è inaccettabile. Tanto più in quanto gli adulti si sono affrontati in nome del non meglio precisato «superiore interesse del bambino». Al di là delle disquisizioni legali, l’interesse dei figli, quale che sia la loro età, è la pace, cioè affetti e legami stabili e sicuri, legami con un ambiente che è fatto di oggetti, esseri umani e animali, sensazioni e immagini familiari. Guerra è invece perdita, o rischio di perdita, di tutto questo.
In un’altra occasione ho ammesso di non conoscere angoscia più grande per un bambino di quella che ha origine dalle accanite battaglie quotidiane tra genitori e non mi riferivo di certo ai conflitti di normale amministrazione in ogni famiglia che è, da sempre, un’unione di diversi per età, sesso e tanto altro ancora. L’opinione pubblica deve sapere quanto siano numerosi i casi di figlie e figli esposti ogni giorno agli effetti devastanti di guerre tra genitori, spesso con l’intervento dei relativi clan familiari. Guerre combattute senza esclusione di colpi, in cui i rancori, le delusioni, la rabbia, il dolore per un progetto di convivenza fallito accecano i genitori fino a colpirsi reciprocamente attraverso la contesa del possesso dei figli, neanche questi fossero una proprietà dell’uno o dell’altra. Non si tratta di mandare giù ingiustizie o di perdonare l’imperdonabile né di concordare un’ipocrita messinscena di famigliola felice per illudere i bambini, ma di qualcosa di più accettabile, giusto, efficace e soprattutto realizzabile. Mi riferisco a quello che il cardinale Martini chiamava il «patto di stabilità» che prevede, tra l’altro, l’impegno comune di padre e madre, anche se separati, a tenere distinto ciò che ci divide come adulti da ciò che ci accomuna come genitori. È ora di rivedere radicalmente tutta la materia del percorso separativo per pacificarlo ed evitare che i figli e gli stessi genitori siano lasciati a se stessi o in mano a chi per incompetenza o malafede getta benzina sul fuoco e non si sforza invece di indicare vie alternative alla guerra. Legislatori, magistrati, avvocati, servizi pubblici, forze dell’ordine devono trovare il modo di comunicare e collaborare tra loro e fissare linee guida per il raggiungimento di una separazione equa tra genitori. Ripeto ancora una volta che i genitori, conviventi o separati, hanno un compito che da solo basta a dare senso a una vita: dimostrare con l’esempio che anche se non si va d’accordo, anche se la convivenza tra gli adulti non è più possibile, è possibile mantenere un impegno comune per aiutare i figli a entrare nel mondo contando sul sostegno, sulla guida e sull’affetto di padre e madre. Quello che è avvenuto davanti alla scuola elementare del padovano serva almeno a ricordarci cosa deve cambiare con urgenza nel modo in cui i conflitti familiari gravi sono oggi trattati in Italia. Lo dobbiamo a migliaia di bambini che ogni giorno soffrono perché le persone che più dovrebbero essere al loro fianco non riescono a farlo o non trovano chi li aiuti a ritrovare insieme alla ragione anche l’amore per i figli.

LA STORIA DELLA COPPIA E DEL FIGLIO
DAL NOSTRO INVIATO
PADOVA — Leonardo ha dieci anni ma ne ha già viste tante. È cresciuto fra liti giudiziarie in una contesa diventata mostruosa per numero di ricorsi e controricorsi e querele. Dieci anni e tante, tantissime tensioni. Con due famiglie che se lo sono conteso fino a due giorni fa litigando, con accuse e controaccuse finite che peggio di così non si può, anche davanti alle raccomandazioni dei giudici: «Fate in modo che il provvedimento si esegua nelle forme più discrete e adeguate al caso». È andata diversamente.
Leonardo è diventato il simbolo di tutto quello che c’è di sbagliato in una coppia dopo una separazione. E ha vissuto in questi ultimi due mesi e mezzo tutto il dramma sulla sua pelle. Per tre volte — tre — hanno provato a strapparlo alla madre e alla casa dove lui ha ripetuto, urlato di voler vivere. La decisione che gli ordinava il contrario è del 2 agosto. E i carabinieri ci hanno provato la prima volta il 24 agosto. «Devi venire con noi, vedrai che starai bene» hanno provato a spiegargli in presenza degli assistenti sociali e di uno psicologo. Niente da fare. Leonardo è scappato nell’altra stanza, si è rintanato in un angolo, poi sotto il letto. Finché quelli non hanno capito e hanno chiamato il tribunale: «Così non si può fare».
Secondo tentativo, stavolta la polizia. Siamo al 4 di settembre. Ancora bussano alla porta uomini che a Leonardo non piacciono per niente. Capire è un attimo, nascondersi ancora meno. Leonardo si caccia sotto il letto per la seconda volta. Gli è riuscita una prima, forse andrà bene anche adesso. Gli agenti cercano di convincerlo, di parlargli con la dolcezza e la delicatezza che ci vuole. Ma lui è ostinato. Loro arrivano a sollevare il letto per tirarlo fuori da lì ma poi capiscono e concludono: trascinarlo via da sotto il letto e portarlo fuori a forza non è cosa che un bambino può sopportare. Rinviato tutto di nuovo. Si vedrà. Il padre però è sempre più impaziente. Il tribunale l’ha affidato a lui, tocca a lui tenerlo e viverci assieme, così non è giusto. Protesta con chi deve eseguire l’ordine e aspetta il tentativo numero tre, quello di due giorni fa.
La sezione minori della questura conosce la storia di Leonardo ormai benissimo. È complicata, si dovrà agire in un campo neutro come la scuola perché a casa non se ne verrà mai a capo. Sanno, i poliziotti, che ci sono i parenti della madre agguerriti e più che mai decisi a non lasciarselo portare via, ma forse non sanno che i nonni sorvegliano la scuola del piccolo proprio per evitare blitz e che il preside aveva chiamato i carabinieri giorni fa preoccupato dalla presenza di un uomo anziano vicino all’ingresso. Era, appunto, il nonno. Gli agenti entrano e vanno in presidenza. Prevedendo che Leonardo farà opposizione decidono di far uscire i suoi compagni di classe e cercare di convincerlo. Il maestro porta tutti in palestra con una scusa mentre il bambino intuisce all’istante che le cose si mettono male. E non c’è preside, psicologo o poliziotto che tenga. Lui non vuole andare. «Si è aggrappato ai banchi» racconta sua madre, mentre il questore dice che è rimasto tranquillo finché non sono intervenuti i nonni e la zia (poi denunciati). Il resto è il racconto delle immagini: un bambino che resiste e tanti adulti, fra loro anche il padre, che non si sono fermati davanti alle suppliche: «Lasciatemi andare», «aiuto zia», «non respiro».
È l’ultima scena di un film cominciato con una storia d’amore come mille altre. Il matrimonio nel 2001 e un anno dopo la nascita di Leonardo. Lei farmacista, lui avvocato. La vita felice in provincia è durata quattro anni, poi il tracollo.
È il 2005 quando la coppia capisce che non c’è più niente che li tenga uniti, salvo il bambino. Sono due persone civili, cercano di chiudere la relazione senza strappi dolorosi per il piccolo e avviano le pratiche per una separazione consensuale. La separazione stabilisce che il bambino viva con la madre e detta i tempi e le modalità per le visite del padre. Sembra che tutto fili liscio per più di un anno. Poi arrivano i primi problemi. Leonardo, giura la madre, fa sempre più fatica a passare del tempo con suo padre. Comunque sia, gli incontri si fanno sempre più complicati e difficoltosi, e ogni volta si portano appresso una scia di accuse dell’uno contro l’altra (o viceversa). Il padre di Leonardo decide di passare all’attacco e firma una raffica di querele contro l’ex moglie perché, scrive, «mi impedisce» continuamente di vedere il bambino. Oggi di quelle querele ce ne sono agli atti più di venti, quasi tutte per «mancata esecuzione» delle disposizioni date dai giudici. E quasi tutte archiviate, ad esclusione di tre (una delle quali per maltrattamenti) che sono arrivate alla richiesta di rinvio a giudizio per la donna. E a complicare la faccenda c’è nelle carte anche una denuncia di lui contro i servizi sociali che si sono occupati del caso all’inizio dei dissidi. Perfino una ricusazione, sempre firmata dall’avvocato, contro alcuni degli operatori che a suo dire avrebbero scritto particolari non veri nelle relazioni.
Il padre ricorre al tribunale chiedendo che venga tolta alla madre la patria potestà. È il 2008. Dalla sua parte l’uomo ha «diversi pareri medici», come dice lui, che parlano del «rischio che il bimbo sviluppi problemi relazionali e psicologici». «Solo fandonie» replica lei, «Leonardo sta benissimo e le consulenze di quei medici fanno riferimento a scienza spazzatura». Fatto sta che nel 2009 arriva la sentenza che conferma: va tolta alla madre la patria potestà. Ma c’è un’anomalia: i giudici decidono di lasciare che comunque il bambino viva con lei. Ovviamente la donna ricorre contro la decisione ma a dicembre del 2010 perde il ricorso. 2011. Il padre di Leonardo vuole che suo figlio non viva più con la madre. Ricorre ancora una volta al giudice. E qui si arriva al 2 agosto 2012. La Corte d’Appello di Venezia accoglie la richiesta. Leonardo, dicono i giudici, dev’essere allontanato dalla madre e vivere in un luogo neutro, una comunità protetta. Quella dov’è adesso.
Giusi Fasano

QUELLO CHE DICE IL PADRE (CORRIERE)
PADOVA — «Ho salvato mio figlio. È stato liberato. E ora sta bene, è sereno. L’importante è questo. Ho pranzato, giocato alla playstation e poi cenato con lui e l’ho messo a letto. Erano anni che non lo facevo ed è stata una bella emozione». Il padre di Leonardo, avvocato, racconta così il suo primo giorno in cui è tornato accanto al figlio, dopo aver visto e commentato per tutto il giorno il video in cui lui stesso compare, mentre afferra per i piedi il bambino per portarlo via. L’incontro con Leonardo è avvenuto in una comunità «adatta al suo recupero, prima di essere affidato a me». Per il padre, «la Corte d’appello di Venezia ha emesso un provvedimento grave che ha portato alla decisione di far decadere la patria potestà della madre che con il suo strenuo ostruzionismo ha impedito la frequentazione tra me e mio figlio. Per cui, di fatto il bambino non l’avevo più visto. Il comportamento della madre e dei suoi familiari ha provocato al bambino una psicopatologia secondo la quale mio figlio è esposto ad un rischio altissimo di patire dei disturbi mentali nel corso dell’evoluzione. Ora, a causa dei condizionamenti, ha comportamenti non autentici».

QUELLO CHE DICE LA MADRE (CORRIERE)
PADOVA — «Fatti coraggio, resisti, vedrai che ce la faremo a farti tornare a scuola e a casa dalla tua mamma»: è il messaggio che la madre di Leonardo ieri pomeriggio ha lanciato da Tgcom24. La donna si è rivolta anche al marito: «Libera il bambino, fallo tornare alla sua vita», e alle istituzioni ha chiesto di «cambiare questi giudici che giudicano senza pensare. Il governo deve fare qualcosa per impedire che in queste sentenze si dica che va usata la forza pubblica». Secondo il legale della donna, Andrea Coffari, «i giudici veneziani si sono fidati di una perizia fatta da un consulente che ha diagnosticato al bambino e alla madre una malattia che non c’e: la sindrome da alienazione parentale. Non è riconosciuta dalla comunità scientifica, non è in alcun manuale di psicologia». La donna ha replicato alle scuse del capo della polizia Manganelli: «Le accetto, ma non è questo il modo di prelevare i bambini. Leonardo è ancora là dentro e non riesco a vederlo. Non so come sta, quanti ematomi ha, abbiamo solo la dichiarazione del padre che dice che sta bene, ma dubito perché lui dice bugie».

REPUBBLICA DI STAMATTINA
JENNER MELETTI
PADOVA
CAPISCE subito, Lorenzo, anche se ha appena dieci anni. Sa di essere un bambino «speciale». Non perché è il primo della classe, con tutti nove
o dieci in pagella.
PADOVA
LORENZO (il nome è inventato) si sente speciale perché, da otto anni, più che un bimbo è una preda, contesa da mamma e da papà. Un pallone che rimbalza da una casa all’altra, ed è sempre un giudice che decide dove deve dormire, mangiare, studiare, giocare con la Play station. È un giudice che decide se nel week end deve avere le carezze della mamma o dal papà. Lorenzo capisce subito, appena vede la preside entrare nella sua classe di quinta. «Tutti i bambini debbono andare subito in palestra». Lorenzo no, Lorenzo è speciale. Lui deve restare fermo al suo banco. E capisce che «loro» stanno arrivando.
Non conosce le loro facce, ma sa cosa sono venuti a fare. Sono già arrivati altre volte, a casa della mamma. «Dobbiamo portare via il bambino», hanno detto. La penultima volta, assieme alle assistenti sociali, c’erano i carabinieri. Lui si è gettato sotto il letto, i militari hanno visto le sue mani che si stringevano alla rete e sono andati via. «Non è il nostro mestiere», hanno detto. «Non possiamo usare la forza con un bambino». La seconda volta erano poliziotti. Ancora una volta sotto il letto, Lorenzo ha sentito gli agenti che dicevano: «Non ci sembra il caso». E ha sentito i loro passi che si allontanavano.
Quinta classe della scuola X di un paesone dell’Alta padovana. Lorenzo vede entrare in classe suo padre, che gli sorride e dice che deve andare via con lui. Come in tante storie di separazione è difficile dividere il grano dal loglio, la ragione dal torto. Ma adesso il padre ha una carta che gli dà ragione. Il tribunale dei minori ha deciso che il bimbo speciale deve essere portato in una comunità di accoglienza, perché uno psichiatra ha stabilito che Lorenzo
soffre della Pas (Parental alienation syndrome), sindrome di alienazione parentale. Disturbo, questo, che nasce «quando un genitore attiva un programma di alienazione contro l’altro genitore».
Ma ecco, accanto al papà — mancano pochi minuti alla campanella di fine mattina — appaiono “loro”, quelli che debbono assicurare che la sentenza sia applicata. Lorenzo non ha la rete del letto cui aggrapparsi e si afferra al banco. Ma viene portato comunque nel lungo corridoio poi fuori in cortile, davanti alla scuola
con i muri rossi. «Mi portano via, mi portano via», le prime urla. Fuori ci sono una zia e un nonno, sorella e padre della madre. «Ma cosa state facendo, fermatevi».
È in questo momento che il dramma di un bambino e di due genitori si trasforma in scandalo. Non si può «intervenire» contro un piccolo come se fosse un capo banda. La zia ha con sé una telecamera. «Facevano la ronda ogni mattina — dirà poi lo psichiatra Rubens De Nicola, perito del tribunale, presente all’“operazione” — per reagire al nostro intervento». Come
fosse una colpa. Le immagini e le urla sono un pugno allo stomaco. «Lasciatelo stare, non si mettono le mani addosso ai bambini», grida la zia. «I bambini non si portano via, bastardi. I bambini vanno ascoltati. Ma chi siete voi, quelli della Gestapo?». Si sente anche la voce del piccolo, mentre il padre lo tiene per i piedi, il perito del tribunale per il braccio e un poliziotto per le spalle. «Aiutami, zia, non ce la faccio. Nonno, aiuto. Non respiro». «Voglio un’ambulanza, siete una manica di vigliacchi».
Pochi minuti e i poliziotti — sono tre e due sono donne — potranno scrivere a verbale che l’obiettivo è stato raggiunto. Lorenzo è chiuso in auto, può essere portato nella comunità. La zia chiede il perché di tutta questa violenza. Una poliziotta, con il distintivo in bella mostra, dice soltanto: «Non sono tenuta a dirle niente. Io sono un ispettore di polizia, voi non siete niente». Un imbarazzato questore, Vincenzo Montemagno, cercherà poi di giustificare queste parole da “tutto chiacchiere e distintivo”. «L’ispettore ha detto: “lei non è nessuno”, alla zia, per ribadire che questa non aveva nessuna
autorità in quanto non titolare della paria potestà ».
Nella sera di mercoledì “Chi l’ha visto” trasmette il filmato. La prima protesta ieri mattina davanti alla scuola con l’intonaco rosso. Ci sono mamme di altri bambini, della stessa classe di Lorenzo. Hanno cartelli. «I bambini hanno una voce, bisogna ascoltarli». «I bambini non si toccano». «I nostri figli — racconta una delle mamme — sono terrorizzati. Hanno visto da lontano la scena, mentre uscivano da scuola». «Si può immaginare cosa può pensare un bambino che, tornato a casa, sente i genitori litigare. “Se si dividono, domani i poliziotti verranno a prendere anche me”».
Il bambino speciale, nella comunità protetta, è trattato come un computer rotto. «C’è la necessità — scrive infatti la Corte d’Appello — sezione civile minori di Venezia, nella sentenza che affida il minore al padre — di un allontanamento del minore dalla madre, fino ad aiutarlo a crescere, imparare e non certo da ultimo, a resettare e riassestare i propri rapporti affettivi in ambiente consono al suo stile di vita
».
«Non me lo hanno nemmeno fatto vedere», dice la madre. «Stamattina sono andata nella comunità con il mio pediatra, ma ci è stato vietato l’ingresso. Ho paura che non me lo facciano vedere per non mostrare gli ematomi provocati dalla “cattura”. Ma dove siamo? Nella Germania nazista? Ho anche il timore che mio figlio sia stato sedato». La donna ha gridato il suo dolore anche in numerose interviste alle tv. «Certo, non è la prima volta, purtroppo, che bambini innocenti vengono trattati come criminali.
Ma noi avevamo la telecamera, oggi tutti hanno potuto vedere cosa succede in tante famiglie».
Il video shock commuove e soprattutto fa arrabbiare. Anche i Palazzi fanno sentire la loro protesta. «Sono immagini — dice il presidente della Camera, Gianfranco Fini — che fanno accapponare la pelle. Il governo oggi riferirà in Parlamento». Il presidente del Senato, Renato Schifani, chiede «urgenti provvedimenti». «Si è visto un bambino di 10 anni trascinato fuori da scuola da personale della polizia di Stato». E il
capo della polizia, Antonio Manganelli, chiede scusa alla famiglia. «Assicuro il massimo rigore nell’inchiesta interna già avviata». «Ho visto il filmato — dice il ministro agli Interni, Anna Maria Cancellieri — e come tutti sono rimasta turbata. Aspetto gli esiti dell’inchiesta».
Anche stamattina Lorenzo, il bambino speciale, si sveglierà nella casa di accoglienza. Quando l’operazione di “reset” sarà finita, andrà a casa del padre con la possibilità di incontrare la madre. «Finalmente — esulta il genitore — in comunità ho potuto giocare con lui, alla Playstation. Abbiamo cenato assieme poi l’ho messo a letto. Posso dire di avere salvato mio figlio. L’episodio nel cortile della scuola? Quando si deve salvare un bambino, ad esempio nel caso di sequestro a scopo di estorsione, non si bada certo a una colluttazione...». Ci sarà un banco vuoto, oggi, nella scuola rossa. «Assente giustificato», scriveranno nel registro, accanto al nome di un bambino speciale. Che da quando ancora non riusciva ad andare in triciclo, non è stato più felice.

COSA DICE LEI
ENRICO FERRO
CITTADELLA
— «Sapevamo da luglio che mio figlio doveva essere allontanato da casa mia, per questo abbiamo organizzato gli appostamenti dal giorno in cui è iniziata la scuola».
Signora, stiamo parlando di ronde?
«Mio padre è rimasto davanti all’istituto ogni giorno dalle 8 alle 13 per impedire che venisse prelevato dagli assistenti sociali».
E l’altra mattina?
«I miei genitori hanno visto dieci persone entrare a scuola. Hanno preso il mio bambino come se fosse un sacco. Lo strattonavano, lui urlava. Nel frattempo è arrivata mia sorella che ha ripreso tutto. I poliziotti non hanno avuto la minima sensibilità. Un ispettore donna si è rivolta a lei in modo indicibile. Ma dove siamo? Nella Germania nazista? Io sono distrutta, ho provato ad andare nella casa famiglia in cui lo tengono ma non me lo hanno fatto vedere, non escludo che lo abbiano sedato».
Per quale motivo non voleva far vedere suo figlio al papà?
«Sono stata oggetto di 23 querele per mancata consegna. Fino al 2006 il padre vedeva regolarmente mio figlio ma un giorno il bambino è tornato a casa spaventato dicendomi che papà lo rinchiudeva in una stanza e se lui gli chiedeva di essere riportato da me gli rispondeva “il tempo non è ancora scaduto”. Cosa dovevo fare?».

COSA DICE LUI
PADOVA
— «Io ho salvato mio figlio, finalmente da oggi potrà avere due genitori e non più uno soltanto».
Dunque consentirà a suo figlio di vedere la madre?
«Io ritengo che mio figlio debba assolutamente vedere sua madre. Non ci penso neanche lontanamente a intraprendere una guerra come quella che si era messa in testa di condurre lei. Certo, mi accerterò che venga rispettata la procedura decisa dai giudici».
Come avete trascorso la prima sera insieme?
«Dopo tre anni ho potuto metterlo a dormire al termine di una serata trascorsa giocando insieme con la Nintendo Wii. Ora sta bene ed è sereno».
Non pensa che l’unica vittima di tutta questa battaglia legale sia proprio suo figlio?
«Il comportamento della madre e dei suoi familiari hanno cagionato una patologia, questo vorrei ricordarlo. Non è una mia opinione, ci sono le relazioni fatte da neuropsichiatri. Mio figlio ora necessita di un sostegno. Trascorrerà un anno in questa casa-famiglia e poi finalmente potrò riportarlo a casa con me».
Sulle modalità con cui è stato prelevato a scuola?
«Se fosse stato sequestrato e la polizia l’avesse salvato dal covo dei sequestratori, chi avrebbe il coraggio di protestare?
».
(e.fer.)

VERA SCHIAVAZZI SU REP

IL DRAMMA di diecimila bambini italiani contesi nei tribunali ha ormai un nome, “sindrome da alienazione parentale”. E se è vero che quello di Padova è un caso limite è altrettanto vero che il problema è entrato sia nella giurisprudenza sia nello studio delle nuove patologie. Accade ogni volta che, dopo una separazione, il piccolo affidato a un genitore (statisticamente la madre) finisce col rifiutarsi di frequentare l’altro genitore, il quale si rivolge al Tribunale, innescando così un’escalation. Il rifiuto dei figli può spingersi all’estremo, alla “cancellazione” del genitore rimasto fuori casa, fino ad assumere la gravità definitiva di una perdita, un vero e proprio lutto. Può tradursi in un reato (due anni fa la Cassazione ha sancito il diritto di un padre al risarcimento dei danni sanzionando così chi “incoraggia i figli a dimenticare, rimuovere, respingere l’altro genitore”)
ma sta cominciando a essere studiata soprattutto come patologia, per le persone e per le famiglie divise. «Il dramma per i bambini spesso non è tanto la separazione, che pure temono molto, quanto la necessità di soccorrere il genitore che crolla emotivamente e che nel suo crollo vorrebbe trascinarli con sé usando la loro assenza come arma contro l’ex coniuge», spiega Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e esperto di problemi dell’adolescenza. Il danno rischia di durare per tutta la vita: «La soluzione non può essere, evidentemente, quella di obbligare il bambino o il ragazzo a rispettare i weekend stabiliti dai giudici, ma una terapia che deve coinvolgere tutta la famiglia e rimettere le cose a posto, restituendo al figlio i due genitori ai quali ha diritto. Senza questo, quel figlio non riuscirà mai a emanciparsi dalla sua situazione, a crescere, ad avere amicizie, amori, interessi».
È d’accordo Tilde Giani Gallino, psicologa e studiosa dell’età evolutiva: «In molti casi il divorzio è il minore dei mali per i figli, ma condizione di essere ben gestito, mantenendo un rapporto di cooperazione tra i genitori». Che fare quando il bimbo dice “da papà non voglio andare”? «Se un figlio non vuole vedere il padre è evidente che esiste un problema
e la soluzione non può essere costringerlo ». Si possono ascoltare i bambini? «Si deve — risponde Gallino — e fin dalla più tenera età, dai 3 o 4 anni. Che cosa c’è dietro il loro rifiuto? Purtroppo, non tutti possono permettersi un terapeuta esperto in grado di accompagnarli lungo questo percorso. Invece la presenza di un
servizio terapeutico pubblico sarebbe essenziale». La vendetta attraverso i figli, insomma, non è solo un comportamento riprovevole, ma una vera e propria malattia sociale. «La legge sull’affido condiviso non ha risolto tutti i problemi — aggiunge Giulia Facchini, avvocato familiarista — Se da un lato è cresciuta l’idea che le
decisioni importanti per i figli vanno prese insieme, dall’altro non si è riusciti ad abbattere il numero di casi nei quali qualunque pretesto, dal ritardo nell’orario a un presunto problema di salute del bambino fino alla comparsa di un nuovo partner dell’ex marito o dell’ex moglie, si trasformano in una faida che va al di là di ogni
ragionevolezza». «Quello che è successo ieri — conclude Vincenzo Spadafora, Garante per l’infanzia e l’adolescenza — ripropone l’urgenza di una riforma della giustizia minorile. Ma soprattutto ci obbliga a ripensare alle strade per sostenere i genitori separati nei loro doveri verso i figli».
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ELSA VINCI REP
ELSA VINCI
ROMA
— «La polizia a scuola, il bimbo che scappa. Strilli, urla e pure un video-shock. Per “salvare” un bambino dalla madre bisogna farlo soffrire così? Io non credo che l’allontanamento con la forza possa avere un buon effetto. Sono momenti che si preparano con cura nel tempo ». Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i minori di Roma, non apprezza il ricorso alla polizia e preferisce considerare «i provvedimenti eseguiti a scuola solo eventi eccezionali».
La disperazione del bambino ha fatto il giro di tv e web. Lui senza difesa contro gli agenti. Si fa così?
«Quello che si è visto è da evitare. Di solito un bambino va a prenderlo l’assistente sociale, uno psicologo con cui parla da mesi, che conosce benissimo. Una figura di cui si fida. Il ricorso alla polizia è previsto ma sconsigliato. Personalmente preferisco escluderlo. Se diventa indispensabile, deve avvenire con modi e in luoghi che rendano l’evento meno traumatico possibile».
Invece sono andati a scuola.
«Per i bambini la scuola è un luogo sicuro, un
allontanamento del genere mette in crisi questo concetto. Vale per lui e per i suoi compagni. Purtroppo l’intervento in classe si sarà reso necessario perché in passato ci sono stati tentativi falliti. A volte il giudice è costretto. La madre non aveva più la patria potestà, la Corte d’appello di Venezia ha deciso per la scuola perché a casa non è stato possibile prendere il bambino ».
Il trauma dell’allontanamento da un genitore si pone in ogni caso. Il tribunale come cerca di gestirlo?
«Il ragazzino va assolutamente rassicurato: la separazione non è per sempre. Non si perde
né la mamma né il papà. Il magistrato dispone percorsi psicoterapeutici adeguati, il minore viene accompagnato da un’équipe multi professionale. Di solito io nomino un giudice onorario che segue il piccolo per mesi, ci parla spesso, può andarlo a trovare a scuola, cerca di fargli capire il perché. Assistenti sociali e psicologi gli fanno comprendere che se cambierà casa questo non vuol dire che la mamma non ci sarà più. Potrà continuare a vederla, a sentirla, a giocare con lei».
Ma se il figlio con il padre non ci vuole stare?
«Il bimbo deve fare conoscenza col papà e in questo percorso lo si accompagna. Si deve trovare lo spazio nella sua testa per far entrare il padre».
Questo bambino soffre di sindrome da alienazione parentale. Come si fa a tenere in equilibrio il diritto di tutti?
«Non vuole vedere il padre perché alienato verso di lui probabilmente dall’influenza dell’altro genitore. Si deve lavorare con personale specializzato. Tanto più adesso che ha subito un trauma, che resterà per sempre. E non dimenticherà
mai».

LA STAMPA STORIA DI UNA COPPIA DI ANNA SANDRI
Una coppia di professionisti oggi poco più che quarantenni. Un matrimonio che finisce, un bambino che all’epoca della separazione ha solo due anni. Un periodo di condivisione di tempi e responsabilità sulla crescita del figlio.
Poi la frattura sempre più netta e profonda, che tracima e coinvolge le famiglie; che dilaga e arriva al Tribunale per i Minori, alle visite psichiatriche, al rifiuto degli incontri. Il bambino che nel frattempo cresce e dice la sua: no, non voglio più vedere papà. Il padre che reagisce: gli fanno il lavaggio del cervello. E ancora visite, tribunali, incontri, carte bollate, ingiunzioni. Anche inascoltate: la patria potestà della madre decade, ma lei non lo accetta e continua la sua battaglia.

C’è una guerra tra genitori dietro il caso del bambino padovano: un caso che non è unico, ma che lo diventa nel momento in cui l’atto più difficile - la presa in consegna del piccolo da parte dei servizi sociali - avviene non solo davanti a una scuola, non solo davanti allo sguardo di alcuni coetanei, ma anche sotto l’occhio di una telecamera, che testimonia urla, strattoni, pianti.

Loro due, il padre e la madre, sono ormai mondi lontanissimi. Lui l’ha querelata 23 volte, accuse sempre archiviate. Di quello che li ha uniti un tempo nei sentimenti non è rimasto nulla. È rimasto il figlio: che li divide, se possibile, ancora di più.

Lei vive a Cittadella, una ventina di chilometri da Padova, in una casa vicina a quella dei genitori e della sorella, quella «zia» alla quale chiede aiuto il bimbo nel video, quando urla «non riesco a respirare», quella donna fuori di sé che alla poliziotta chiede di vedere l’ingiunzione del Tribunale e che si sente rispondere «io sono un’ispettrice di polizia e lei non è nessuno».

Il bambino vive in casa con la mamma, loro due soli. Dicono in paese che la loro è stata una vita normale solo fino a qualche tempo fa: ultimamente, il bambino non usciva quasi più se non per andare a scuola, e comunque sempre accompagnato dalla mamma o da un familiare. C’era l’ingiunzione: quando lo psichiatra ha riconosciuto nel bambino la «sindrome da alienazione parentale», che si può definire anche lavaggio del cervello e che in America è riconosciuta mentre in Italia è considerata alla stregua di un modo di dire, la mamma ha perso la patria potestà. Questo è accaduto anni fa, la sentenza definitiva è arriva cinque mesi fa. Viveva con il figlio da fuorilegge. Non solo il bimbo era sempre accompagnato, ma da quando la scuola era iniziata, davanti all’istituto per tutta la durata della lezione c’era sempre un parente: la mamma, o i nonni, o la zia. Anche con la cinepresa, sì: il filmato trasmesso da «Chi l’ha visto?» non è stato girato con un telefonino ma con una piccola videocamera.

Dall’altra parte, il padre. Con l’ex moglie non ha più contatti, se non per carta bollata. Nei primi due anni dopo la separazione vedeva regolarmente il figlio: poi il bambino si è rifiutato di andare con lui. Diceva che il padre lo faceva sempre stare in una stanza da solo: secondo l’uomo, la prova del lavaggio di cervello, perché giura che questo non è mai accaduto. Il Tribunale, in ogni caso, dopo tutti gli accertamenti l’affidamento del piccolo lo ha dato a lui. Pur ritenendo la necessità di un periodo di «decompressione» durante il quale il bimbo non doveva stare né con l’uno né con l’altro dei genitori, ma in una struttura protetta. Della madre, dicono i giudici in sentenza che ha sempre avuto un atteggiamento «ambiguo», che i periodi di riavvicinamento al padre da parte del figlio sono stati regolarmente seguiti da rifiuti tanto netti quanto sospetti. Non solo: nel tempo, lo dicono i giudici con in mano le relazioni degli psicologi, il bambino è diventato violento, «maleducato», irriverente con gli adulti che non siano membri della famiglia materna. Ignora il ramo paterno, non pronuncia le parole «padre» e «papà».

Il padre vive e lavora a Padova, è un libero professionista. Gli amici dicono che questa vicenda, questorapportointerrottoconilfiglio, è diventato il cardine della sua vita, intorno al quale girano tutti i suoi pensieri. Davanti alla scuola c’era anche lui: nel video, è quello che tiene il bambino per le gambe.

Il giorno dopo, i genitori parlano a distanza. La madre dice di essersi presentata alla struttura che ospita il figlio, accompagnata da un pediatra e intenzionata a visitare il bimbo. Le hanno negato l’accesso, lei sostiene perché non vogliono far vedere possibili ferite riportate dal bimbo nella colluttazione, addirittura uno stato di sedazione. Il padre, invece, sostiene di aver visto il bambino dopo il suo arrivo nella struttura: di averlo trovato sereno, di aver pranzato e cenato con lui. Così sereno da averlo addirittura accettato, tanto che hanno giocato insiemeallaplaystation. La medicina, dice il padre in merito alle modalità del prelievo del figlio, può anche far male ma la si accetta perché deve guarire. Paragona l’intervento della polizia a quello che si può attuare per porre fine a un sequestro di persona: può esserci della violenza, mal’importanteèporrefinealsequestro, liberare l’ostaggio.
Posizioni inconciliabili, e in mezzo lui, quel bambino prigioniero di un conflitto senza vincitori.

INTERVISTA A NEUROPSICHIATRA LA STAMPA
Il professor Roberto Rigardetto è ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università di Torino.

Che cos’è la Pas, la Sindrome da alienazione genitoriale?

«È eccessivo definirla sindrome e mi pare pretestuoso utilizzarla come origine del tutto. È una situazione temporanea nella quale un bimbo perde i riferimenti genitoriali. Papà e mamma hanno così tanti e gravi problemi nel loro rapporto, e in quello con lo stesso figlio, che il bambino corre il rischio di sviluppare un disturbo psichiatrico grossissimo».

Il padre di Leonardo sostiene che al figlio sia stato fatto il lavaggio del cervello per insegnargli a odiarlo. Poi però racconta che l’altro giorno papà è andato a prenderlo e hanno giocato insieme alla Playstation. E il bimbo era felicissimo. Può, tutto quest’odio, svanire in due ore?

«Assolutamente no. È evidente che il bimbo non odia il padre. Capita sovente che uno dei due genitori “carichi” il figlio contro l’altro genitore. Se Leonardo odiasse il padre non sarebbe mai rimasto con lui, tantomeno avrebbe giocato insieme al papà. Leonardo non è sereno, non è forse neppure completamente tranquillo quando sta col padre, ma non lo odia. Anzi, penserà “Lui si occupa di me...”».

La comunità può aiutarlo a «resettare» questa situazione così pesante?

«La Comunità può essere utile a recuperare l’equilibrio. Ma un bambino va preparato, motivato, aiutato a capire perché lo allontanano da papà e mamma. A 10 anni è perfettamente in grado di capire».

Invece?

«Invece è agghiacciante il modo in cui è stato portato via. È stato come rapito, strappato alla scuola e ai parenti. Non si farà una ragione del perché è stato preso dalla polizia. La polizia, nella fantasia di qualunque bambino, porta via i ladri, gli assassini, cioè i cattivi. Penserà di essere lui il cattivo in tutta questa vicenda».

Riuscirà a superare il trauma?

«Dovrà essere aiutato moltissimo. È una ferita enorme, dovranno aiutarlo a capire. Certo è che se alla madre è stato impedito di vederlo deve essere accaduto qualcosa di molto grave: è rarissimo che si allontani un figlio dalla madre».


Il padre: ’’Mio figlio è stato salvato, ora sta bene’’

’’Per il bambino è stata una liberazione. Adesso è sereno". Parla così il padre del piccolo che ieri è stato prelevato con la forza davanti a scuola, in provincia di Padova. "L’allontanamento - dice - è necessario per consentire le cure di cui ha bisogno: a mio figlio serve un sostegno di psicoterapia". Della ex moglie dice: "Spero che possa diventare una buona madre"

intervista di Laura Pertici

percorsi di riavvicinamento a cura dei servizi sociali

irriducibile opposizione della madre a consentire rapporti del bambino con me e ramo parentale paterno

decaduta dall’autorità genitoriale