Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 12/10/2012, 12 ottobre 2012
ECCO COME NASCE LA LIQUIDITÀ DI FIAT - A
fine 2001 Fiat aveva in cassa 2,1 miliardi di liquidità, una cifra pari al 6,5% del suo debito di allora. Dieci anni dopo, a fine 2011, la cassa è lievitata a 17,5 miliardi, pari al 65,5% dei debiti finanziari. Dieci anni fa Fiat era ancora la "Fabbrica italiana automobili" di Torino, oggi è una realtà bipolare che, come il suo amministratore delegato Sergio Marchionne, si divide tra il Lingotto e i sobborghi di Detroit.
Come si è formato questo "tesoretto", che a quanto pare ha attirato l’attenzione della Consob? Questa è la storia raccontata dai bilanci Fiat, così come ricostruibile attingendo ai dati riorganizzati da R&S-Mediobanca. Una storia il cui inizio è riconducibile all’approdo nel gruppo del manager italo-canadese (giugno 2004) e che evidenzia una netta accelerazione a partire dall’avvio dell’operazione Chrysler. È infatti da inizio 2005 che il profilo della liquidità della casa torinese comincia a distaccarsi da quello dei concorrenti europei, come evidenzia il grafico pubblicato a lato, per poi prendere il volo dal 2009 quando nell’orbita del gruppo entra il più piccolo dei costruttori di Detroit e quando Fiat ha fatto scorta sul mercato, collocando titoli per 5 miliardi e aumentando i prestiti con le banche.
Ad ogni modo, da quali canali deriva l’incremento, superiore ai 15 miliardi, della cassa nell’arco del decennio? Fino al 2006 il grosso arriva dalle dismissioni: 2,7 miliardi nel 2001, 3,2 miliardi nel 2002 (di cui 1,1 miliardi dalla cessione del 5,7% di Gm, 758 milioni dalla vendita del 34% di Ferrari, 548 milioni dalla cessione del 14% di Italenergia), 4,16 miliardi nel 2003 (2,4 da Toro, 1,3 da Fiat Avio), 3,3 nel 2005 (la risoluzione dell’accordo con Gm apporta 1,56 miliardi, la cessione di un altro 24,6% di Italenergia altri 1,1 miliardi), 1,6 nel 2006 (di cui 940 milioni incassati grazie alla costituzione della joint con Credit Agricole nei servizi finanziari). Riassumendo: cedendo attività e partecipazioni diversificate, focalizzandosi sul core business e rimettendo un po’ d’ordine, complessivamente dal canale dismissioni in dieci anni sono arrivati 17,2 miliardi. Nello stesso arco temporale altri 11,2 miliardi sono arrivati dall’incasso di crediti finanziari e 23,6 miliardi dal cash-flow prodotto dalla gestione industriale. Escludendo il convertendo, che nel 2005 ha tramutato in equity 3 miliardi di debito nei confronti delle banche, e aggiungendo 600 milioni di poste residuali, la somma dei flussi in entrata fa 55,8 miliardi.
Come sono stati impiegati? Sempre al netto del convertendo, 7,2 miliardi sono stati utilizzati per ridurre il debito, 12,6 miliardi per investimenti finanziari, 27,6 miliardi per investimenti tecnici e 8,5 miliardi, infine, sono andati a rafforzare la cassa. Per arrivare all’incremento di 15 e passa miliardi di liquidità, realizzato nell’arco del decennio, all’appello mancano gli oltre 7 miliardi di liquidità che contabilmente il consolidamento di Chrysler ha portato in dote nel 2011.
Questi i conti. Strategicamente, Marchionne ha spiegato la politica di mettere fieno in cascina con diverse argomentazioni, tra cui quella di essere pronti a cogliere eventuali opportunità, ma soprattutto con l’esigenza di poter far fronte alle turbolenze dei mercati finanziari e alla debolezza del mercato dell’auto. C’è poi comunque una parte del tesoretto che è da considerare "immobilizzato" in vista del completamento dell’acquisizione di Chrysler. Difficile stimare oggi l’importo con precisione. Se si fa riferimento al meccanismo di calcolo dell’opzione sul 3,3% della casa Usa appena esercitato, arrivare gradualmente al 100%, rilevando a rate il 41,5% del capitale che manca, comporterebbe un esborso compreso fra 1,85 e 3,55 miliardi di dollari. Il cap per l’opzione di acquisto sull’intera quota subito (valore che si incrementa del 9% all’anno) è invece oggi di circa 5,25 miliardi di dollari.
Mantenere una "scorta" di liquidità ha insomma una sua logica strategico/prudenziale, però costa. A fronte di un costo medio del debito che nell’ultimo bilancio è indicato nel 5,6% (7,75% è stato pagato sui bond quadriennali collocati il luglio scorso) e ha comportato nel 2011 oneri finanziari per 1.536 milioni, mentre i proventi finanziari sono pari a 352 milioni con un rendimento, rapportandoli alla cassa, dell’ordine del 2 per cento.