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 2012  ottobre 12 Venerdì calendario

PRIMA DI ER BATMAN VENNE LO SQUALO, VITTORIO SBARDELLA

PRIMA DI ER BATMAN VENNE LO SQUALO, VITTORIO SBARDELLA–

Un illustre precedente, Er Batman della Ciociaria, ce l’ha avuto. Si chiamava Vittorio Sbardella. Come lui, era stato un fascista d’assalto. E come lui, aveva attaccato i suoi nemici. Fiorito contestò Craxi, tirando monetine. Vittorio Sbardella, invece, caricò Botteghe Oscure, sede storica del Pci, tanica di benzina in mano. Simile anche l’approdo successivo, alla politica «adulta»: Fiorito nel Pdl alla matriciana, Sbardella nella Dc di Andreotti, Evangelisti, Ciarrapico. Altra cosa in comune, il vocabolario: puro vernacolo alla commissario Monnezza. Ammettiamolo, però. A parte questo, il paragone tra Fiorito e Sbardella non regge. Vittorio Sbardella ebbe, nonostante tutto, una sua grandeur. È morto a 59 anni, di cancro ai polmoni, dopo il terremoto di Tangentopoli. Dicendo, per giunta: «Dio mi perdonerà, è il suo mestiere». Attorno a lui, come capita solo ai faraoni, furono colpiti dal Fato tutti i suoi fedeli: una catena di morti, galera, drammi veri. Ballarono solo una stagione. Ma ballarono, eccome, E la pagarono.
Non ce ne vogliano coloro che lo scoprirono in differita, chiamandolo Lo squalo.
Ma risalirono troppo tardi le acque profonde dove Pompeo Magno (questo il vero soprannome, per via della strada del quartiere Prati che ospitava i suoi uffici) era solito inabissarsi. Se ne sorpresero, e ne fecero un simbolo. Un mostro. Ma lui, la politica, l’aveva già cambiata. Per sempre, irrimediabilmente. Era già stato mister 125 mila preferenze, due volte parlamentare, segretario laziale della Dc. Si era spartito Roma con il suo alter ego socialista, Paris Dell’Unto, detto Er Roscio. Cosa avevano in comune? Sbardella se ne fregava di Andreotti, di cui era fedelissimo, e Dell’Unto altrettanto di Craxi. Scusate se era poco.
Quando Sciascia disse che la palma dalla Sicilia era salita al Nord, non poteva immaginare che avrebbe avuto la faccia di Sbardella. Ex pugile, sigaro alla Al Capone, organizzava party dove si indossavano cravatte Hermès con il giglio controrivoluzionario. I suoi seguaci alimentavano miti come quelli del Papa Nero, del Signore del Mondo, dei monaci guerrieri. Pompeo Magno era stato la guardia del corpo dell’ex sindaco capitolino Amerigo Petrucci. Si narrava che questi, in punto di morte, gli avesse lasciato in eredità «finanziamenti illeciti ai partiti», come si chiamavano una volta. Durante le riunioni delle correnti della Dc romana, presiedute da Andreotti, gli imprenditori bussavano alla porta per consegnare borse gonfie fino a scoppiare. E un giorno, fu Sbardella a presentarsi nella sede di Comunione e Liberazione. «Cosa vi serve?» chiese senza diplomazie. Divenne l’editore del periodico ciellino, Il Sabato, e (quando governò anche il Campidoglio) l’impresario degli appalti per le mense scolastiche.
Il suo capolavoro fu il congresso della Dc romana dell’86. Ciriaco De Mita, segretario dc e presidente del consiglio, in Italia non governava solo quel feudo, che aveva fatto commissariare dal senatore Francesco D’Onofrio. Il congresso si celebrava per consegnargli anche quel pezzo. Al Palaeur, però, Sbardella fu accolto da ovazioni ultrà. Dal palco disse a D’Onofrio: «Non sfodero le Colt, perché tu sei un coniglio». Nella notte, stravinse. E De Mita, poco dopo, perse tutta l’Italia.

Piero Melati