Umberto Eco, l’Espresso 12/10/2012, 12 ottobre 2012
QUELLO CHE NON SI DEVE FARE
Ogni tanto mi accade di vedere che alcuni miei contemporanei fanno cose che io non farei. Sarà che non hanno accumulato abbastanza esperienze. E allora mi permetto di seminare alcuni grani di saggezza dall’alto (o dal basso) della mia canizie. Se qualcuno esprime un parere insultante sulla vostra opera letteraria o artistica, non ricorrete a vie legali, anche se per caso le espressioni del vostro nemico avessero superato il limite (talora esilissimo) che può intercorrere tra giudizio critico spietato e insulto.
Nel 1958 Beniamino Dal Fabbro, critico musicale grintoso e assai polemico, in un articolo su "Il Giorno" aveva fatto a pezzi una esecuzione della Callas, diva che lui non amava. Non ricordo esattamente cosa ne avesse scritto, ma ricordo l’epigramma che quell’amabile e sarcastico personaggio faceva circolare tra gli amici del bar Giamaica a Brera: «La cantante d’Epidauro - meritava un pomidauro». La Callas, caratterino per conto suo, infuriata gli aveva dato causa. Ricordo il racconto che Dal Fabbro ne faceva al Giamaica: il giorno che al processo doveva parlare il suo avvocato, si era presentato tutto vestito di nero per permettere al difensore di indicare quella figura di severo e incorruttibile studioso; ma il giorno in cui doveva parlare l’avvocato della Callas (che forse avrebbe usato, diceva Dal Fabbro, alcune maligne dicerie che lo dipingevano come iettatore), si era presentato con un arioso completo di lino bianco e panama color paglierino.
NATURALMENTE LA CORTE aveva assolto Dal Fabbro riconoscendo il suo diritto alla critica. Ma il lato comico della faccenda era stato che il grande pubblico, che seguiva la polemica sulla stampa, ma aveva idee confuse circa giurisprudenza e diritto costituzionale alla libera espressione dei propri convincimenti, aveva inteso il giudizio della corte non come un riconoscimento della libertà del critico, ma come un riconoscimento di quanto aveva detto, e cioè che la Callas cantava male. E quindi la Callas era uscita dalla vicenda con una (ingiusta) patente di pessima cantante firmata da un tribunale della nostra repubblica. Ecco quindi provata l’inopportunità di trascinare in giudizio chi ha detto peste e corna di noi. Con ogni probabilità una corte riconoscerà il suo diritto di dirlo, ma agli occhi della rozza folla e delle masse indotte sarà stato provato da giudici togati che noi meritavamo e peste e corna. Il che sarebbe corollario ai due antichi principi per cui una smentita è una notizia data due volte e quando ti trovi immerso sino al collo in una materia vischiosa non devi muoverti per non fare l’onda.
E ALLORA CHE FAI CON CHI ti ha insultato? Lasci perdere perché, se ti sei dato alle lettere o alle arti, avrai accettato in anticipo di ricevere anche stroncature e giudizi negativi, sapendo che fa parte del mestiere, e resterai in attesa che milioni di lettori futuri smentiscano l’invido nemico così come la storia ha fatto giustizia di Louis Spohr quando aveva definito la Quinta di Beethoven come «un’orgia di frastuono e di volgarità», di Thomas Bailey Albright, che aveva scritto di Emily Dickinson «l’incoerenza e la mancanza di forma delle sue poesiole - non saprei definirle altrimenti - sono spaventose», o del dirigente della Metro che, dopo un provino di Fred Astaire, aveva commentato «non sa recitare, non sa cantare ed è calvo. Se la cava un po’ con la danza».
Che poi qualcuno abbia espresso un giudizio negativo su di te mentre con te era o era stato in lizza per un premio in cui egli non ha vinto, è altrettanto male, almeno sul piano del buon gusto. Uno scrittore noto e di talento, quando sua moglie stava partecipando a un concorso universitario, aveva scritto una severa stroncatura del libro di un suo concorrente. È vero che anche Caravaggio non era un modello di virtù e Francis Bacon, grandissimo pensatore, era stato condannato per corruzione e privato di ogni carica pubblica; ma lo scrittore di cui dicevo, senza che si disconoscessero le sue virtù letterarie, era stato da molti considerato degno di censura morale.