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 2012  ottobre 12 Venerdì calendario

PENSA A TUTTO PONZELLINI

Dai vertici del sistema bancario agli astri emergenti della finanza, dai big di Pdl e Lega ai factotum dell’ex ministro Giulio Tremonti, passando per magistrati, generali, burocrati, imprenditori e tecnici di fiducia del nuovo governo. Cinque mesi dopo lo choc dell’arresto per corruzione, Massimo Ponzellini è rimasto solo. Pluri-indagato, rimosso dalla presidenza della Banca Popolare di Milano (Bpm) e di un colosso come Impregilo, l’ex banchiere sembra dimenticato da tutti. Eppure, prima che la Procura di Milano scoperchiasse il calderone di maxi-prestiti clientelari, consulenze in odor di tangenti e leggi-vergogna per il gioco d’azzardo, erano molti i potenti d’Italia che gli chiedevano soldi, appoggi, consigli e raccomandazioni per affari privati e nomine pubbliche. A documentarlo sono più di mille pagine di intercettazioni di Ponzellini e del suo uomo-ombra Antonio Cannalire, dichiarate «rilevanti» dai giudici per ricostruire quella che lo stesso ex banchiere, nei primi interrogatori, ha definito «la mia rete di relazioni».
Nel settembre 2011 Ponzellini è ancora al comando della Bpm, che è in difficoltà per le dure critiche formulate dagli ispettori della Banca d’Italia. A metà mese il vicedirettore della Popolare, Roberto Frigerio, esce a cena con Anna Maria Tarantola, oggi manager della Rai, allora al vertice di Bankitalia. Frigerio non è indagato ma l’incontro non pubblicizzato tra controllato e controllore sorprende la Guardia di Finanza, che lo comunica ai pm. Al telefono lo stesso Frigerio descrive alla moglie le confidenze della Tarantola, così riassunte dal maresciallo in ascolto: «Per la sua questione personale farà quello che può, invece per la banca sono molto decisi».
Più imbarazzante è l’appoggio chiesto a Ponzellini da un magistrato del livello di Giovanni Tinebra, ex procuratore nazionale antimafia, già capo dei pm che hanno indagato sulle stragi di mafia (tra grandi successi e disastrose gestioni di falsi pentiti), poi nominato direttore delle carceri dal governo Berlusconi. Nell’ottobre 2011 Tinebra aspira a diventare procuratore di Catania e chiede a Cannalire di far intervenire Ponzellini. Il Consiglio superiore della magistratura è diviso. Per avere la maggioranza, Tinebra vuole «accelerare l’insediamento di Ettore Albertoni», appena nominato in quota Lega. Ricevuto il via libera da Ponzellini, Cannalire si attiva. Ma al Csm scoppia un caso e a Catania diventa procuratore Giovanni Salvi. Cosa c’entri un banchiere con una nomina giudiziaria, la Gdf prova a spiegarlo ricordando che il rapporto con Tinebra risale a dieci anni fa, quando Ponzellini fu scelto da Tremonti per la guida della società pubblica che controllava i maxi-progetti per le carceri.
Tra i politici del centrodestra, sulla scia dell’onorevole indagato per corruzione Marco Milanese, alla corte di Ponzellini si contano decine di postulanti, perfino dopo le perquisizioni del novembre 2011. «Abbiamo una banca», rassicurava il fido Cannalire, che vantava un’esclusiva nella distribuzione di favori: «Alla Camera ci penso io». Di «gestione clientelare dei finanziamenti» parlava già l’ordine d’arresto, ora le intercettazioni documentano quanto anomale e colorite fossero le richieste dei politici.
Alla fine del luglio 2011 il cellulare di Ponzellini squilla. È il ministro Ignazio La Russa, che chiama per segnalare la Quintogest, una società partecipata dall’ex moglie. Ponzellini si allarga: «La conosciamo bene, è un ottimo cliente». La Russa non tergiversa: «Però quest’ottimo cliente si trova in serie difficoltà per una sola ragione, non ha i soldi sufficienti da dare ai propri clienti». Un problema non da poco per una società che fa prestiti personali, anticipando ai lavoratori il quinto dello stipendio. La pratica Quintogest scotta. Pochi mesi prima la banca ha alzato da 35 a 45 milioni il tetto dei finanziamenti disponibili, meno degli 80 che la società chiedeva. Ma le nuove risorse non bastano. E La Russa si rivolge a Ponzellini, chiedendo «una valutazione più seria possibile (…). È chiaro che sperano in una risposta positiva». Passano due minuti e parte un giro di telefonate, chiuso con l’invito di Cannalire a un manager della Quintogest di pazientare. La mattina, però, il braccio destro di Ponzellini richiama la segretaria per dirle che il ministro vuole un incontro.
«L’abbiamo messo lì noi», aveva detto Umberto Bossi di Ponzellini. In effetti nell’estate 2011 Cannalire invita a cena il leader lumbard e incontra Calderoli e altri leghisti. Ma al tuttofare di Ponzellini si rivolgono anche Daniela Santanchè (vedi box a pagina 43) o il ministro Paolo Romani, che fa pressioni per sbloccare un fido di 500 mila euro a Ilaria Sbressa, proprietaria di un canale digitale filo-governativo. «Romani mi ha fatto il contropelo perché la pratica della Sbressa è bloccata», spiega Cannalire, che arriva a minacciare il licenziamento ai funzionari incaricati, che si giustificano: «Ma la società non vale niente». Risposta di Cannalire: «Le facciamo un anticipo sui contratti col ministero».
Per aiutare Giovanni Acampora, condannato per le maxi-corruzione Imi-Sir e Mondadori, si muovono tre parlamentari: il senatore Alfredo Messina, il deputato Luigi Vitali e l’onorevole pregiudicato Aldo Brancher. Dopo varie telefonate, a fine agosto 2011 è Messina a sbilanciarsi: «Se occorre posso unire la mia firma a garanzia solidale dell’apertura di credito in favore dell’avvocato Acampora».
Chi non ha paura di farsi avanti in prima persona è Paolo Berlusconi. Il fratello dell’ex premier saluta Cannalire con un «grande Antonio!» e lui gli risponde che «va benissimo, con quattro "b"!». Paolo è preoccupato e chiede di «dare un’occhiata» ad Angelo Pellegatta, il capo della divisione crediti. Cannalire si muove e i funzionari gli rispondono che «una cosa fatta così sta un po’ sull’impossibile, chiede l’anticipo su utili che ci saranno forse». Una settimana dopo, Berlusconi junior offre un’alternativa: «Per il discorso società possiamo un po’ aspettare, per il mio se riusciamo a farlo adesso...». «Quello sì!», promette Cannalire. E Paolo spiega: «Ho dei rientri anche di due milioni». Due giorni dopo, Cannalire ordina a Pellegatta: «Chiama il fratello del presidente, dici: "Dottore, lunedì o martedì avremo risolto la sua posizione personale, come società abbiamo bisogno di tempo"». Quando a chiedere è uno che conta, Ponzellini non si tira indietro, nemmeno negli ultimi giorni in banca. Il 21 ottobre è la segretaria a raccontare la sua sfuriata contro un dirigente poco sensibile al potere politico: «Ha detto che lo manda a Foggia a fare fotocopie per cinque anni, dopo averlo degradato, se non gli sistema la roba della Brambilla».
Fino alla caduta, Ponzellini ha mantenuto stretti rapporti anche con un ventaglio di banchieri che va da Fabrizio Palenzona ad Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca. Che nell’agosto 2011, mentre la Consob indaga sulle voci di una scalata francese alla Popolare, gli chiede a bruciapelo: «Ma cos’è sta cazzata di Bnp?». A dargli del tu è anche l’attuale ministro Vittorio Grilli, che gli confida di aspirare al vertice della Banca d’Italia, forte dell’appoggio del governo: «Berlusconi ha tenuto e ha detto: il nome è Grilli», spiega lui stesso, chiedendo all’amico «Max» di «far arrivare un messaggio a Bersani di essere perlomeno neutrale».
Le intercettazioni svelano che Ponzellini ha avuto contatti riservati perfino con i due finanzieri che si sono contesi la sua Bpm. Il 15 settembre 2011 illustra la posizione ufficiale al direttore generale Enzo Chiesa: «La Banca d’Italia mi ha chiesto di Matteo Arpe, ho risposto che circa otto mesi fa si era fatto avanti ma dopo non l’ho più sentito». La Guardia di Finanza annota che «in realtà» Ponzellini «in quel periodo ha rapporti intensi» con Arpe, che in settembre gli chiede «una linea fissa per sentirci». Quindi il finanziere «discute con Ponzellini una bozza di statuto» e gli suggerisce come modificarlo. «Riusciamo a parlarne prima che lo dai agli Amici?», conclude Arpe, alludendo al potente sindacato interno alla Bpm e proponendo di «parlare lui stesso degli indirizzi strategici con Banca d’Italia». A quel punto Ponzellini confida di sperare che Arpe «entri in consiglio», perché gli avrebbe garantito «una logica collaborativa». Quando però va verso la sconfitta, Arpe torna «un nemico».
Il copione si ripete quando a conquistare la banca è il finanziere Andrea Bonomi. Le intercettazioni svelano che è Ponzellini a organizzare l’incontro decisivo tra Bonomi e Nagel di Mediobanca, il 14 ottobre 2011, per «chiudere gli accordi e andare insieme in Banca d’Italia ad esprimere le nomine e tutto». E anche il neo-presidente Filippo Annunziata viene «indicato dal dg Chiesa con l’avallo di Ponzellini» perché «ha un rapporto pazzesco con la Banca d’Italia, da cui riceve continuamente incarichi». Nel 2012 però Bonomi rimuove Chiesa e, soprattutto, taglia i maxi-prestiti ai clienti accusati di aver corrotto Ponzellini, a partire da Francesco Corallo detto «l’innominato», che controlla il colosso dei giochi Bplus-Atlantis attraverso una offshore delle Antille. E tra i crediti in sofferenza spuntano «finanziamenti a Tirrenia concessi per pressioni politiche».
Ponzellini e Cannalire avevano stretto rapporti anche con generali della Guardia di Finanza del livello di Michele Adinolfi, Emilio Spaziante e Vincenzo Delle Femmine. Nelle intercettazioni ne finiscono alcune curiose, come Adinolfi - capo di Stato maggiore della Gdf - che chiede a Raffaele Ferrara - capo dei Monopoli - di portargli delle sigarette «Multifilter rosse sottolineo rosse». Altre più intriganti, come il lobbista di Telecom Italia, Franco Brescia, che vuole fissare un incontro fra il suo presidente Franco Bernabè e il numero uno dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, «altrimenti arriva una mazzata bestiale».
Soprattutto, però, nella cerchia di Ponzellini emerge un secondo «intermediario con ambienti istituzionali», Costantino Ruggiero detto «il napoletano», che oltre ai generali sa agganciare anche alti burocrati come «il capo di gabinetto del presidente del Consiglio di Stato».