Roberto Giardina, Italia Oggi 12/10/2012, 12 ottobre 2012
ITALIA OSPITE D’ONORE? MEGLIO DI NO
Ogni anno un Ehrengast, un ospite d’onore, alla Buchmesse, la gigantesca Fiera del libro a Francoforte. Quest’anno tocca alla Nuova Zelanda, nel 2013 al Brasile, e poi alla Finlandia. L’Italia lo fu nel lontano 1988, l’ultimo anno in cui il mondo sembrava ancora in ordine, diviso tra buoni e cattivi, che stavano sempre dall’altra parte, tra Est e Ovest.
Poi il Muro cadde, le cose si confusero, complicando il lavoro agli scrittori di spy story alla James Bond. Senza il Kgb venivano a mancare i nemici. I futurologi, che non hanno mai indovinato una previsione, non si accorsero dei fondamentalisti islamici.
Ma il Brasile era già stato Ehrengast nel 1994, come l’India, che lo fu nel 1986, e venne ancora invitata vent’anni dopo. È un po’ come per le Olimpiadi. Ogni tanto si torna in pista. E a qualcuno è venuta l’idea: perché non ancora l’Italia? Bitte nicht, per favore no, ripensateci. Per l’Expo è troppo tardi, per le Olimpiadi da rifare a Roma abbiamo rinunciato. Sarebbe meglio non ripetere l’esperienza a Francoforte, sede della Bce, la Banca centrale europea.
Nell’88 abbiamo dato il meglio di noi, che quasi sempre coincide con il peggio. Investimmo 10 miliardi di lire: a quanto equivalgono oggi? Le tabelle di rivalutazione sono spesso ingannevoli, comunque molto di più di 5 milioni di euro. Una cifra enorme. Nessun altro paese ci ha in seguito superato in grandezza. Costruimmo la biblioteca de Il nome della rosa di Umberto Eco, come un padiglione da Luna park in cartapesta. Eco era ed è innocente, ma allora era l’autore italiano più venduto al mondo, come credo lo sia sempre quasi un quarto di secolo dopo.
All’Opera di Francoforte andò in scena uno spettacolo all’italiana: Giorgio Albertazzi declamò un canto di Dante (non ricordo quale), e incespicò in qualche verso, Carla Fracci danzò in una delle sue ultime esibizioni. L’evento, come si dice, fu organizzato da politici e diplomatici. Gli addetti ai lavori, editori e scrittori, non si impicciassero. La logica fu: perché promuovere solo i libri, prodotto che rende poco? Lanciamo il Made in Italy, dal vino al parmigiano. I visitatori della Buchmesse (saranno 300 mila quest’anno) bevvero e gustarono alla nostra salute, ma non si accorsero dei libri. Dieci miliardi sprecati. Sarebbero bastati a finanziare le traduzioni di autori moderni e dei nostri classici per qualche anno. O a finanziare le nostre biblioteche scolastiche, e conquistare i bambini, i lettori di domani. Per l’occasione venne inaugurata a Francoforte una sede dell’Istituto italiano di cultura. Esiste ancora, con problemi di soldi, come le altre sei sedi in Germania. Quella di Berlino ha chiuso la sua biblioteca che non poteva rifornire e gestire.
Cosa fecero gli altri? Ricordo la Francia: in cabine telefoniche si poteva ascoltare il francese di Voltaire o di Napoleone, di Mitterrand e di George Sand, per seguire come si era evoluta la lingua nei secoli. I paesi arabi hanno eretto delle tende nello spiazzo al centro della Fiera. Gli indiani hanno proiettato sulle pareti parole che si trasformavano graficamente di lingua in lingua (ne hanno oltre un centinaio). Idee poetiche, presumo poco costose.
Mentre il fatturato delle nostre case editrici scende quest’anno del 9%, il doppio rispetto al 2011, e per alcuni settori siamo al 30%, servirebbe un intervento deciso per aiutare la nostra editoria. Marco Polillo, presidente dell’Aie (Associazione italiana editori), non chiede sovvenzioni, ma un minimo di «discrezione» fiscale. L’Iva sugli e-book è al 22%, invece del 4%, ma il loro fatturato è ancora l’1% del totale. Si tratta di spiccioli, se si diminuissero le tasse, si venderebbe di più e alla fine l’incasso fiscale aumenterebbe. Lo sa ogni studente di scienza delle finanze. Per farlo, occorre la copertura finanziaria, risponde il governo. In altre parole, non si può agire con un minimo di lungimiranza. Ma si troveranno i mezzi per dare di nuovo spettacolo a Francoforte, se ci inviteranno. Investire è impossibile, per sprecare si trova sempre un modo.