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 2010  ottobre 10 Domenica calendario

I GIUDICI TOLGONO AI PRETI 1,7 MILIARDI

[Il patron della Faac lascia il suo patrimonio alla Curia. Ma il magistrato accoglie il ricorso di uno zio: lascito congelato] –
Dai curati al curatore. E speriamo che stavolta la terapia abbia successo. Si potrebbe condensare in una boutade l’ultimo episodio dell’epopea Faac dopo la scomparsa di Michelangelo Manini, il 17 marzo scorso. Da ieri, infatti, il colosso di Zola Predosa non è più di proprietà della Curia bolognese, in prima istanza unica beneficiaria della cospicua eredità. Parola, anzi, sentenza del giudice civile Maria Fiammetta Squarzoni, che nell’accogliere il ricorso dello zio del Manini, Carlo Rimondi, ha disposto il sequestro giudiziario dello stellare lascito allo scopo di «cristallizzare una situazione di fatto per permettere alla sentenza di merito di spiegare interamente e in concreto i suoi effetti». Curatore fallimentare, il professor Paolo Bastia, docente di economia aziendale all’Alma Mater. Sarà lui, dal prossimo 22 ottobre, ad occuparsi dell’ingente patrimonio di Manini nel tentativo di dirimere il contenzioso tra i (più o meno presunti) eredi. E dato che in pista c’è la «bagattella» di 1,7 miliardi, ogni decisione di là dalla gestione ordinaria dovrà essere autorizzata dal giudice. Scontato, quindi, il ricorso della Chiesa contro il commissariamento della multinazionale, in attesa che il giudizio di merito attesti o meno l’effettiva autenticità del testamento sconfessato dal Rimondi e da Mariangela Manini, (fino a ieri) cugina del de cuius, ma ora fermamente intenzionata a dimostrare di esserne sorella, test del dna permettendo.
«Siamo sereni. La cosa grave è interrompere la gestione dell’azienda, la Faac sarà decapitata. Con la nostra gestione l’impresa stava crescendo, adesso non potrà avere gli stessi risultati». Dichiarazioni rilanciate sul corriere.it da monsignor Nuvoli, economo dell’Arcidiocesi di Bologna, secondo il quale ora anche Andrea Moschetti, presidente Faac e rappresentante della Curia nel cda, «dovrà lasciare, ma credo lo farà anche l’ad, Andrea Marcellan. Lui è stato molto importante negli ultimi anni». Vaticinio che non persuade Nicola Patelli, Fiom-Cgil, che invece scommette sulla riconferma di Marcellan. In effetti, un migliaio di dipendenti ed oltre 200 milioni di fatturato nel 2011 sono numeri che fanno assurgere l’impero fondato da Giuseppe Manini nel lontano 1965 ai vertici assoluti del mercato di riferimento, benché le quote di Michelangelo si attestassero al 66% (il restante 34% è detenuto dalla francese Somfy, multinazionale per l’automazione della casa).
Comprensibile che dalla sede della Curia arcivescovile, via Altabella, non intendano mollare la presa, come rimarca pur in modo prudenziale il Moschetti, secondo cui «Dobbiamo ancora capire in pieno le motivazioni». D’altronde, se il regno del Principale «non è di questo mondo», qualche automatismo non potrà che aiutare a varcarne l’ambita soglia. Decisamente più alata la chiosa del cardinale Caffarra, arcivescovo di Bologna, affidata al Resto del Carlino con un serafico «Dio ha dato, Dio ha tolto».
L’avvocato Rosa Mauro invece, che tutela gli interessi dei parenti, con minor trascendenza si dichiara per nulla sorpresa del sequestro, compiacendosi della «sentenza ineccepibile e lezione di diritto» emessa da un più terragno giudice circa l’opportunità di «mettere in sicurezza quei beni, in attesa di fare chiarezza».
Fuori dai giochi, al momento, il dentista Lucio Corneti e altri parenti di Michelangelo per i quali, riporta Bologna Today, il giudice potrebbe disporre la mediazione obbligatoria e la perizia documentale, rispettivamente nel tentativo di risolvere le controversie con la conciliazione obbligatoria e l’accertamento della validità dei documenti prodotti. «Preferisco che a capo dell’azienda di mio padre ci sia un professore di Economia Aziendale invece che un teologo», è la glossa finale della «neo-sorella» Mariangela, secondo la quale «è solo questione di tempo, ma con buona pace di tutti, la Giustizia, forse lunga e lenta, è inesorabile ed è giusto che sia così perché prima o poi sarà dato a Cesare quello che è di Cesare». Amen.