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 2012  ottobre 12 Venerdì calendario

QUEL MORALISMO DI «BLACK MIRROR»

Parlar male dei media, del poter occulto della tv e delle nuove tecnologie è un esercizio altamente consolatorio. Ce ne regala uno, in tre capitoli, il regista inglese Charlie Brooker con «Black Mirror»: la lotta contro la violenza dei media è una di quelle battaglie un po’ facili, moralistiche, dal consenso assicurato (Sky Cinema1, mercoledì, ore 21.10). Nel primo capitolo, il premier inglese Michael Callow (Rory Kinnear) dovrà sottoporsi ad un’oscena umiliazione in diretta mondiale pur di salvare la principessa Susannah (Lydia Wilson), rapita da dei criminali. In diretta, dunque, compie un gesto sporco con un porco che, inaspettatamente, accresce la sua popolarità. Salvo, nell’ultima scena, perdere l’affetto più caro, quello della moglie. Nel secondo ci si esercita, in una società che fa della salute del corpo il suo principale fine, in una feroce e un po’ scontata satira contro i talent show; nel terzo, infine, viene rappresentato un futuro in cui i nostri ricordi sono governati, a comando, da un microchip. La struttura è quella classica del racconto morale, dell’allegoria. Si calcano i toni su un aspetto parossistico e grottesco da cui trarre una morale. Che è questa (un po’ abbellita da noi): la violenza dei media consiste non tanto nel rispecchiare la brutalità del mondo quanto nell’abituarci a convivere con essa. La ferita della vista si rimargina subito: ma qualcosa in noi si indurisce, si spegne. La vera violenza dei media è la consuetudine con l’atrocità, è la normalità dell’orribile, è la familiarità con la crudeltà. La debolezza dei racconti di Charlie Brooker si annida nel confine tra morale e moralismo: i suoi personaggi sono caricaturali, le sue esternazioni assomigliano molto ai luoghi comuni. L’idea che i media «facciano male» ha una storia lunga alle spalle, e periodicamente riguadagna consistenza. Del resto, l’atteggiamento di «panico morale», di paura e sospetto, ha accompagnato la nascita di tutti i mezzi di comunicazione moderni, dal cinema alla radio e, più recentemente, a Internet.
Aldo Grasso