Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 12/10/2012, 12 ottobre 2012
ALLEATI DI HITLER IN GUERRA SPESSO NAZIONALISTI, NON FASCISTI
Mi rivolgo a lei per qualche maggiore informazione su un tema che mi incuriosisce. Una pittrice di Brno, vissuta a Bratislava, mi ha narrato che suo padre fu ministro del governo Tiso, separatista e indipendentista slovacco, alleato della Germania nazista, aggiungendo che come ministro «tecnico», esperto di economia, fu poi condannato dal governo comunista, insediatosi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ad alcuni anni di reclusione, mentre molti altri ministri, «non tecnici», furono condannati alla pena di morte o all’ergastolo. Le chiedo se è vero che il governo Tiso fu, più che un governo nazista, un governo sorretto da separatisti che anelavano all’indipendenza della Slovacchia dalla Boemia e Moravia, sorretto per lo più da cattolici di segno fortemente conservatore. È vero che ai ministri «tecnici», che non avevano avuto le principali responsabilità politiche, fu comminata poi soltanto una pena detentiva di alcuni anni?
Alfredo Guarino
alf.guar.leg.off@libero.it
Caro Guarino, possiamo comprendere il caso di monsignor Tiso, capo dello Stato slovacco durante la Seconda guerra mondiale, soltanto collocandolo in un quadro più largo: quello degli Stati emersi dal crollo dei grandi imperi multinazionali (asburgico, zarista, ottomano) dopo la Grande Guerra. Nelle intenzioni proclamate dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson questi Stati dovevano essere «nazionali» e riflettere le aspirazioni di comunità caratterizzate da una forte identità etnica, linguistica, culturale. Nella realtà, i confini furono tracciati, molto spesso, secondo le convenienze dei vincitori e le ambizioni delle classi politiche che esercitavano in quel momento una maggiore influenza.
La Polonia riuscì ad appropriarsi di una parte della Slesia, abitata da popolazioni tedesche. I leader boemi poterono creare uno Stato che comprendeva le province tedesche del Sudetenland e la Slovacchia ungherese. Il Regno di Serbia creò una nazione degli slavi del sud che molti croati, sloveni, macedoni, ungheresi della Vojvodina e albanesi del Kosovo non consideravano la loro casa. La Romania incorporò la Transilvania ungherese. L’Italia conquistò il confine al Brennero e ottenne l’Istria, dove il contado era prevalentemente slavo.
In Europa orientale, il trionfo dei bolscevichi sull’Armata bianca cancellò dalla carta geografica alcuni degli Stati indipendenti che erano sorti dopo il collasso dell’impero zarista: Ucraina, Bielorussia, Armenia, Azerbaijan, Georgia. Più tardi, grazie all’accordo con Hitler, Stalin completò l’opera recuperando le terre conquistate dai polacchi nel 1921, le repubbliche del Baltico, una parte della Carelia finlandese. La scoppio della Seconda guerra mondiale rimise in discussione tutti i confini europei e le vittorie tedesche offrirono ai nazionalismi frustrati un’occasione a cui molti non seppero resistere. Nacquero così lo Stato slovacco e il Regno di Croazia, rinacquero le repubbliche del Baltico e la Finlandia entrò in guerra a fianco della Germania per riprendere ai sovietici le terre perdute durante la guerra del 1939-1940. In questi nuovi Stati vi erano certamente formazioni politiche che avevano una forte affinità ideologica con il fascismo e il nazismo; ma vi erano anche molti nazionalisti per cui la Germania di Hitler, in quel momento, rappresentava il minore dei mali.
Dopo le vittorie dell’Armata rossa e l’instaurazione dei regimi comunisti, tutti coloro che avevano collaborato con i tedeschi furono considerati «nazifascisti». Ma fu trattato con meno rigore chi aveva competenze tecniche e poteva servire alla ricostruzione del Paese dopo la guerra.
Sergio Romano