Paolo Valentino, Corriere della Sera 12/10/2012, 12 ottobre 2012
IL G9 DEL GUSTO PARLA SPAGNOLO: «I CUOCHI? SOLTANTO LAUREATI» —
Gli chef del futuro, i veri professionisti ovviamente, non sapranno solo di cucina e gastronomia. Ma dovranno padroneggiare solidi fondamentali di chimica, biofisica, ecologia, nutrizionistica e dietologia. Dovranno anche essere dei bravi manager, saper lavorare in squadra, pianificare, organizzare e comunicare. Non ultimo, dovranno aver studiato antropologia, sociologia e storia, avere insomma un ampio retroterra culturale senza il quale domani non ci potrà essere «alta cucina». Detto altrimenti, per essere dei bravi e possibilmente anche dei grandi cuochi, dovranno andare all’università.
È sicuramente un segno dello Zeitgeist, lo spirito del tempo (e un po’ anche un atto di hybris, di orgogliosa tracotanza), che alcuni tra i migliori chef del mondo si riuniscano per due giorni a discutere di questi temi in un grande albergo di Tokyo e chiamino il loro incontro il G9 della gastronomia mondiale. Usino cioè lo stesso acronimo dei vertici dei Paesi industrializzati, G8 e G20, cioè dei soli tentativi di governance del pianeta fin qui conosciuti. Certo le assonanze con la politica sono innegabili: giunto al terzo appuntamento, il G9 si svolge ogni anno in una città diversa e ogni membro rappresenta un diverso Paese e regione del mondo. Solo che le gerarchie sono rovesciate, anzi rivoluzionate, se è vero che «the indispensable nation», la nazione indispensabile per dirla con Madeleine Albright, qui non sono gli Stati Uniti ma — ed è un bel paradosso visti i tempi — la Spagna.
A presiedere (senza rotazione) il G9 è infatti il catalano Ferran Adrià, profeta della cucina tecno-emozionale, che dopo aver cambiato la storia della ristorazione con il suo El Bulli, chiuso tre anni fa, è ora impegnato nella titanica impresa di codificare per la Storia e per i posteri la gastronomia moderna, i suoi insegnamenti, le sue ricette. È l’iniziativa stessa in realtà a parlare spagnolo, o sarebbe meglio dire catalano e basco, il G9 essendo tecnicamente il comitato dei consulenti internazionali del Basque culinary institute, facoltà e centro di ricerca di San Sebastián, che si vuole pioniere del nuovo concetto di formazione degli chef.
Al G9 giapponese hanno preso parte il nostro Massimo Bottura, guru dell’Osteria Francescana di Modena; l’americano Dan Barber del newyorkese Blue Hill, locale prediletto dai coniugi Obama; il brasiliano Alex Atala del D.O.M. di San Paolo; l’astro nascente peruviano Gaston Acurio dell’Astrid&Gaston di Lima; lo spagnolo Joan Roca patron di El Celler de San Roca di Girona, secondo ristorante al mondo; il tedesco Sven Elverfeld, chef di Aqua a Wolfsburg e il giapponese Yukio Hattori. Assenti giustificati, ma sempre membri a pieno titolo del club, il numero uno mondiale René Redzepi del Noma di Copenhagen, l’inglese Heston Blumenthal del londinese Fat Duck e il francese Michel Bras dell’omonimo ristorante di Laguiole.
Come nei summit economici, anche in quello gastronomico la discussione è stata vivace e non sempre i punti di vista hanno coinciso. Adrià, che quest’anno tornerà a insegnare Biofisica e cucina moderna ad Harvard, ha condotto la musica da mattatore, alimentando la discussione con domande provocatorie, interruzioni, contraddittori: il centro dev’essere una scuola di alta cucina o semplicemente di cucina? Qual è stato per voi il fatto più importante degli ultimi 50 anni nella gastronomia? Dove mandereste a studiare vostro figlio se volesse fare questo lavoro?
Bottura, che un po’ come Mario Monti al G8 è molto rispettato e ascoltato, non ha condiviso del tutto l’assoluta priorità che Adrià dà alla formazione tecnico-professionale dei giovani cuochi. Per lo chef italiano, che quest’anno ha ottenuto la terza stella Michelin, «la cultura è tutto, la conoscenza della Storia e delle rispettive tradizioni, l’etica sono la prima cosa per essere un buon cuoco, che non può essere avulso dall’ambiente e dalla società che lo circonda».
Una posizione difesa con eloquenza, che alla fine è stata ben recepita nel comunicato finale. Lo conferma il risultato più importante del vertice e cioè l’annuncio della pubblicazione nel 2015 di un libro sulla Storia della cucina moderna, curato dal centro basco, con contributi dei protagonisti del G9, di altri chef ed esperti. Partirà dalla Nouvelle cuisine per arrivare ai nostri giorni e sarà la prima opera complessiva di livello accademico su quanto è successo in mezzo secolo alla cucina pubblica. «Se una simile risorsa può esistere per gli studenti d’arte, perché non dev’essere lo stesso per i giovani che studiano da cuochi?», si è chiesto Adrià, secondo il quale «oggi non esiste nessuna fonte dove si possa apprendere in modo scientifico cos’abbiano significato per esempio Bocuse e Girardet per la Francia, Marchesi per l’Italia, Nobu per il Giappone. E tutti questi per il mondo. Con questa preparazione, sarà più facile riflettere sul presente e formare una generazione di chef con una nuova visione».
Come l’altro G, anche quello gastronomico ha fissato il prossimo, anzi i prossimi appuntamenti: nel 2013 i grandi chef si incontreranno a New York e l’anno dopo in Brasile.
Paolo Valentino