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 2012  ottobre 12 Venerdì calendario

LE FUGHE SOTTO IL LETTO, POI LA LINEA DURA —

Leonardo ha dieci anni ma ne ha già viste tante. È cresciuto fra liti giudiziarie in una contesa diventata mostruosa per numero di ricorsi e controricorsi e querele. Dieci anni e tante, tantissime tensioni. Con due famiglie che se lo sono conteso fino a due giorni fa litigando, con accuse e controaccuse finite che peggio di così non si può, anche davanti alle raccomandazioni dei giudici: «Fate in modo che il provvedimento si esegua nelle forme più discrete e adeguate al caso». È andata diversamente.
Leonardo è diventato il simbolo di tutto quello che c’è di sbagliato in una coppia dopo una separazione. E ha vissuto in questi ultimi due mesi e mezzo tutto il dramma sulla sua pelle. Per tre volte — tre — hanno provato a strapparlo alla madre e alla casa dove lui ha ripetuto, urlato di voler vivere. La decisione che gli ordinava il contrario è del 2 agosto. E i carabinieri ci hanno provato la prima volta il 24 agosto. «Devi venire con noi, vedrai che starai bene» hanno provato a spiegargli in presenza degli assistenti sociali e di uno psicologo. Niente da fare. Leonardo è scappato nell’altra stanza, si è rintanato in un angolo, poi sotto il letto. Finché quelli non hanno capito e hanno chiamato il tribunale: «Così non si può fare».
Secondo tentativo, stavolta la polizia. Siamo al 4 di settembre. Ancora bussano alla porta uomini che a Leonardo non piacciono per niente. Capire è un attimo, nascondersi ancora meno. Leonardo si caccia sotto il letto per la seconda volta. Gli è riuscita una prima, forse andrà bene anche adesso. Gli agenti cercano di convincerlo, di parlargli con la dolcezza e la delicatezza che ci vuole. Ma lui è ostinato. Loro arrivano a sollevare il letto per tirarlo fuori da lì ma poi capiscono e concludono: trascinarlo via da sotto il letto e portarlo fuori a forza non è cosa che un bambino può sopportare. Rinviato tutto di nuovo. Si vedrà. Il padre però è sempre più impaziente. Il tribunale l’ha affidato a lui, tocca a lui tenerlo e viverci assieme, così non è giusto. Protesta con chi deve eseguire l’ordine e aspetta il tentativo numero tre, quello di due giorni fa.
La sezione minori della questura conosce la storia di Leonardo ormai benissimo. È complicata, si dovrà agire in un campo neutro come la scuola perché a casa non se ne verrà mai a capo. Sanno, i poliziotti, che ci sono i parenti della madre agguerriti e più che mai decisi a non lasciarselo portare via, ma forse non sanno che i nonni sorvegliano la scuola del piccolo proprio per evitare blitz e che il preside aveva chiamato i carabinieri giorni fa preoccupato dalla presenza di un uomo anziano vicino all’ingresso. Era, appunto, il nonno. Gli agenti entrano e vanno in presidenza. Prevedendo che Leonardo farà opposizione decidono di far uscire i suoi compagni di classe e cercare di convincerlo. Il maestro porta tutti in palestra con una scusa mentre il bambino intuisce all’istante che le cose si mettono male. E non c’è preside, psicologo o poliziotto che tenga. Lui non vuole andare. «Si è aggrappato ai banchi» racconta sua madre, mentre il questore dice che è rimasto tranquillo finché non sono intervenuti i nonni e la zia (poi denunciati). Il resto è il racconto delle immagini: un bambino che resiste e tanti adulti, fra loro anche il padre, che non si sono fermati davanti alle suppliche: «Lasciatemi andare», «aiuto zia», «non respiro».
È l’ultima scena di un film cominciato con una storia d’amore come mille altre. Il matrimonio nel 2001 e un anno dopo la nascita di Leonardo. Lei farmacista, lui avvocato. La vita felice in provincia è durata quattro anni, poi il tracollo.
È il 2005 quando la coppia capisce che non c’è più niente che li tenga uniti, salvo il bambino. Sono due persone civili, cercano di chiudere la relazione senza strappi dolorosi per il piccolo e avviano le pratiche per una separazione consensuale. La separazione stabilisce che il bambino viva con la madre e detta i tempi e le modalità per le visite del padre. Sembra che tutto fili liscio per più di un anno. Poi arrivano i primi problemi. Leonardo, giura la madre, fa sempre più fatica a passare del tempo con suo padre. Comunque sia, gli incontri si fanno sempre più complicati e difficoltosi, e ogni volta si portano appresso una scia di accuse dell’uno contro l’altra (o viceversa). Il padre di Leonardo decide di passare all’attacco e firma una raffica di querele contro l’ex moglie perché, scrive, «mi impedisce» continuamente di vedere il bambino. Oggi di quelle querele ce ne sono agli atti più di venti, quasi tutte per «mancata esecuzione» delle disposizioni date dai giudici. E quasi tutte archiviate, ad esclusione di tre (una delle quali per maltrattamenti) che sono arrivate alla richiesta di rinvio a giudizio per la donna. E a complicare la faccenda c’è nelle carte anche una denuncia di lui contro i servizi sociali che si sono occupati del caso all’inizio dei dissidi. Perfino una ricusazione, sempre firmata dall’avvocato, contro alcuni degli operatori che a suo dire avrebbero scritto particolari non veri nelle relazioni.
Il padre ricorre al tribunale chiedendo che venga tolta alla madre la patria potestà. È il 2008. Dalla sua parte l’uomo ha «diversi pareri medici», come dice lui, che parlano del «rischio che il bimbo sviluppi problemi relazionali e psicologici». «Solo fandonie» replica lei, «Leonardo sta benissimo e le consulenze di quei medici fanno riferimento a scienza spazzatura». Fatto sta che nel 2009 arriva la sentenza che conferma: va tolta alla madre la patria potestà. Ma c’è un’anomalia: i giudici decidono di lasciare che comunque il bambino viva con lei. Ovviamente la donna ricorre contro la decisione ma a dicembre del 2010 perde il ricorso. 2011. Il padre di Leonardo vuole che suo figlio non viva più con la madre. Ricorre ancora una volta al giudice. E qui si arriva al 2 agosto 2012. La Corte d’Appello di Venezia accoglie la richiesta. Leonardo, dicono i giudici, dev’essere allontanato dalla madre e vivere in un luogo neutro, una comunità protetta. Quella dov’è adesso.
Giusi Fasano