Francesco Merlo, la Repubblica 12/10/2012, 12 ottobre 2012
“L’assessore pisciaturu” – PER la politologia, per gli allievi di Max Weber l’assessore Domenico Zambetti è «la degenerazione del sistema»
“L’assessore pisciaturu” – PER la politologia, per gli allievi di Max Weber l’assessore Domenico Zambetti è «la degenerazione del sistema». Per i malacarne è «un pisciaturu », un gabinetto. Il concetto è lo stesso, solo il linguaggio cambia, da un lato fior di parole e di dottrina e dall’altro il lessico gergale dei residui organici. Insomma i mafiosi delle ‘ndrine che disprezzano «‘sti politici di merda» almeno in questo sembrano ‘normali’ italiani: «Piccoli e grandi, queste merde sono uno peggio dell’altro ». COME tanti di noi, anche loro non distinguono, accorciano, vanno veloci. Pure per i ‘ndranghetisti la sporcizia della foce è già sporcizia della sorgente, come per Grillo che parla in generale di «zombie», come per Renzi che la fa spiccia e tratta tutti come «rottami ». Solo che i mafiosi sono più immediati e più primitivi e quanto più disprezzano tanto più apprezzano: «le corna sue» dicono mentre si fregano le mani. E poi: «Cirù, conta questi soldi». E si sentono sottopagati, Eugenio e Costantino, e quasi litigano. «Sono solo cinquanta euro a voto», una miseria, ben sotto il prezzo di riferimento: «Al Sud sono almeno 80 euro a voto». Il valore- voto nel Meridione è il Gold Standard dell’economia politica mafiosa. E però a Reggio Calabria, che è la Wall Street della ‘ndrangheta, la mafia non trova più appalti, è costretta a speculare sui pidocchi, il Ponte non si farà, il Consiglio comunale è stato sciolto, rimangono le tombe, i funerali e i Bronzi di Riace; l’edilizia pubblica è ridotta a qualche scavo e a un po’ d’asfalto. Qui invece c’è l’Expo e «le imprese ce le abbiamo, le cooperative ci sono» e insomma «dato che vogliamo pure del lavoro bastano 50 euro a voto e stop». Poi Costantino si spiega ancora meglio con quella testa dura e avida di Eugenio: «Un acconto prima e la rimanenza te la danno dopo. Funziona così. Eh». Più verbali leggiamo e più si capisce che non sono loro i marziani. Infatti scopriamo che il vero mostro non è il corruttore calabrese ma il corrotto milanese che «si è cagato addosso, si è cagato completo». Il linguaggio impastato di fango e di minacce diventa così il linguaggio inedito della soddisfazione disgustata, e cresce il senso di superiorità compiaciuta sino al trionfalismo sfrontato: «Si è messo a piangere davanti a me e a zio Pino, eh!, come piangeva ». Le lacrime della vittima sono sempre medaglie per i bulli; sono la prova che, comunque, ne valeva la pena. C’è un momento nel film il Padrino, che è la Bibbia dei malacarne, in cui il cantante scoppia in lacrime perché la fidanzata lo tratta male. Ebbene, don Vito Corleone lo prende a schiaffi: « Cianci, a fimminedda cianci, piange, la femminella piange». Le lacrime infatti sono virili solo nei funerali e sempre senza singhiozzi, in silenzio. E invece in questi verbali c’è il politico che singhiozza davanti a due mafiosi. Neppure Mario Puzo se l’era immaginato. Davvero, dal bacio di Andreotti al pianto di Zambetti è cambiato tutto. I politici non sono più “i pezzi da novanta”, non fanno più parte del mondo parallelo, ma sono direttamente impiegati della mafia: «Ce l’abbiamo in pugno», «gli facciamo un culo cosi», «lo facciamo cagare sotto», «l’abbiamo fotografato con Pino giusto per avere una prova…, ma per ora non gli diciamo niente » perché non c’è bisogno. E difatti, esecutore e zimbello, Zambetti promette appalti per l’Expo e intanto sistema la figlia e l’amante del boss Costantino, ottiene la proroga al contratto di parrucchiera di sua sorella … Ma nessuno lo ringrazia mai. Anzi, i malavitosi se la spassano a maltrattarlo e a mettergli paura: «Con quel diabete stia attento al … mangiare». Lo spaventano, gli dicono che lo faranno «saltare in aria». Pino D’Agostino che è in Calabria annunzia divertito: «Salgo io e ci parlo, che così ci capiamo». E ridono di lui: «oh Zambettino Zambettino». E non sono più i vermi che infradiciano la politica, ma è la politica fradicia che produce i vermi: «Altrimenti chi lo eleggeva? Nel mio piccolo io sinceramente li meritavo centomila euro, nel mio piccolo nel Magentino gli ho fatto dare 700/800 voti. «Una volta le anime che ogni temutissimo mafioso controllava erano artigiani e commercianti, tutto il presepe dell’ordine sociale che pagava pizzo e pegno. Ora il mafioso porta voti, ha “sposato” la democrazia, è pastore di un gregge che fa aritmetica elettorale ed è ammirato e invidiato come una volta i soprastanti che mettevano tutti in riga con il coltello e la lupara: «I voti a Milano li ha fatti prendere Ambrogio (Crespi). Quello sì è un bandito! L’altra sera mi ha chiamato ed era con Vallanzasca» che qui diventa la star, il testimonial di un nuovo ceto politico consacrato alla delinquenza: «Mi ha detto, vieni che vi faccio salutare Vallanzasca ». E sono nuove specializzazioni del professionismo della politica che avrebbero ubriacato Max Weber, mentre l’assessore, il politico classico, perde pure l’identità e non ha nemmeno la dignità del picciotto, ma è solo e sempre «a disposizione». E difatti «senza di noi, sai chi lo eleggeva! ». Perciò l’eletto offre e promette i lavori da appaltare alle ‘ndrine che più hanno schifo di lui e più lo ricattano, e più lo ricattano e più lo disprezzano, felici di trattare con una materia infima, come i monatti che facevano affari con gli appestati, come gli spacciatori con i drogati: «Non ha parlato male: “Voi me lo segnalate e io cerco di farvelo fare”. Ce l’ha garantito che ci dà lavoro in questi cinque anni». E gli mandano pizzini che sono promemoria intimidatori, veri e propri contratti di servitù ma compiaciuti e scanzonati: «Gli abbiamo mandato un lettera, Cirù, una cronistoria di come sono andate le cose, di come erano i patti». È la solita lingua della violenza ma divertita, una grammatica di morte ma allegra: «Una lettera talmente scritta bene, cirù, cioè si vede che c’era gente laureata nel gruppo». E dunque altro che colletti bianchi! I professori sono arrivati anche nella malavita e a Milano il pizzino è diventato florilegio di tocco e toga. Ma ogni tanto, per non perdere le buone abitudini, tornano ad accarezzare l’idea di farlo saltare in aria: «Eh, Zambettino Zambettino» Eppure la storia ci racconta che “il ministro della malavita” (1910) Giovanni Giolitti comunicava ad occhiate con gli emissari della camorra che restavano, «timorosi e rispettosi», dall’altro lato della strada. E il politico del Padrino dice a Tom Hagen, il figlio adottivo di don Vito Corleone: «Non ho paura di voi che avete i capelli unti di olio d’oliva». Invece qui «se l’è fatta sotto completo». Forse perché questi mafiosi sfogano sui politici gli stessi umori dell’antipolitica dilagante. Ogni volta che ne fanno tremare uno, che lo fanno piangere, ogni volta che lo costringono a farsela addosso usano parole e stilemi che drammaticamente somigliano a quelli degli indignados italiani: «Il potere lo hanno loro, i politici e la legge. Però ogni tanto una soddisfazione ce la prendiamo. Solo così possiamo prendercela qualche soddisfazione». Ed è un punto di vista che purtroppo ci segna. Perché non riesce a farci più pensare all’istituzione umiliata questo assessore che sta sotto il codice onorevole dei mafiosi, è nella scala zoologica l’ultimo animale dello “ zoòn politikòn”. Il fatto nuovo e inaudito è che la malavita più odiosa e spietata è riuscita a privarci della compassione che sempre abbiamo avuto per le sue vittime. Non suscita infatti pietà, nessuna specie di pietà, la vittima che ha disgustato anche la mafia.