Claudio Marincola, Il Messaggero 12/10/2012, 12 ottobre 2012
DIPIETRISTI PAPERONI NELLA GIUNGLA DEI SOLDI IN REGIONE
In teoria ma anche in pratica non c’erano limiti: il meccanismo era tale che appena svuotate le casse potevano tornare a riempirsi. Bastava una deliberazione dell’ufficio di presidenza della Regione Lazio et voilà, i fondi tornavano a scorrere verso i gruppi. Il rubinetto non si chiudeva mai, non c’era un tetto. Alla ripartizione sconsiderata hanno partecipato partiti, gruppi misti, monogruppi, con responsabilità evidentemente minori se non pari a zero per i «piccoli» ai quali di questa bengodi arrivavano solo le briciole.
Il campione d’incassi non si discute. È il Pdl guidato all’epoca da Batman-Fiorito: nel 2011 ha incassato 2.735.052 euro, seguito a ruota dalla Lista Polverini (2.051.563) e dal Pd (2.017.946). Staccati di qualche virgola o di qualche zero ecco l’Idv di Vincenzo Maruccio, (1,2 milioni di euro); l’Udc, (887 mila); La Destra (538 mila) e Sel (322 mila). In totale l’intero apparato è costato ai contribuenti nel 2011 circa 12 milioni di euro. L’artificio che ha innescato lo spreco è diabolico. Fino al 2009 i cosiddetti costi della politica si erano attestati intorno a cifre abbordabili: 980 mila euro, quanti ne aveva assegnati l’allora presidente dell’Assemblea regionale Guido Milana con una delibera del 9 marzo, interpretando alla lettera la legge 6/73. I contributi ai gruppi consiliari venivano ripartiti in base a una quota fissa e al numero dei consiglieri. Inoltre un’altra legge, la 10/2001, stabiliva un ulteriore stanziamento per l’acquisizione di strumenti d’informazione.
A scardinare il sistema a partire dal 2010 è la libera interpretazione dell’articolo 3 bis (stessa legge 6/1973). «Da quel momento spiega l’avvocato Gianluigi Pellegrino, che ha studiato a fondo il caso Lazio per il Movimento difesa del cittadino non viene più fissato un tetto: è sufficiente una determina firmata da un dirigente dell’ufficio di presidenza per attingere ai fondi». Un bancomat aperto 24 ore su 24. E come sia andata a finire è sotto gli occhi di tutti.
Non essendoci più un tetto di spesa le richieste dei capigruppo dei vai Fiorito e Maruccio, dunque venivano immediatamente accolte. La prima variazione di bilancio che assegna 4 milioni di euro porta la data del 14 settembre 2010. Per stanziare la cifra si fa riferimento «ai criteri degli anni precedenti». Il presidente del Consiglio regionale Abbruzzese e gli altri 5 membri non sollevano obiezioni ma non firmano niente, lasciano che a farlo sia il dirigente. Il sistema andava bene così. Fiorito, interrogato dai giudici ha sostenuto più volte che la ripartizione avveniva in base «ad accordi verbali». E c’è da credergli: ci si metteva d’accordo, come si fa tra amici.
L’erogazione avveniva in proporzione alla grandezza dei gruppi, certo. Ma anche in base al numero di presidenti di commissione e altre variabili, (molto variabili, appunto). Ad ognuno in base ai propri bisogni e alle proprie necessità. L’ultima parola spettava al Comitato di controllo della contabilità regionale (il Co.re.co.co). Entità misconosciuta e comunque impotente. «In due anni non mi è mai passata davanti una solo fattura rivela Pino Palmieri, consigliere della Lista Polverini che tornerà a indossare la divisa da finanziere il nostro è sempre stato un organismo inutile e in quanto tale da cancellare. Agli atti ci sono ancora le mie osservazioni: andatevele a leggere».