Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 19/5/2012, 19 maggio 2012
FRANCONE DA ANAGNI LEGIONARIO DEL POTERE SENZA ARTE NÉ PARTE
Ma quale Batman? Bankomat lo dovete chiamare, Francone bankomat”. La Provincia è così, ti porta sugli altari del potere politico, poi, quando cadi e non hai più la possibilità di rialzarti, ti sferra il calcio dell’asino. Brutta parabola quella di Franco-Francone Fiorito, che oggi nella sua città nessuno conosce. “Mai votato per lui”. “Che schifo!”. “È un ladrone come gli altri”. “Pensava solo ad abbuffarsi”. Volano schiaffi ad Anagni, e non è una novità. La musica è finita e gli amici vanno via di corsa. Assessori, consiglieri comunali, parvenu che con Franco-ne sindaco erano assurti al ruolo di politici, quelli che alle ultime regionali si facevano chiamare nientedimeno che “i legionari politici” di Fiorito, quelli che giuravano che sì, “Francone lo porteremo in alto, nel Lazio e in tutta Italia”, tutti spariti. Volatilizzati anche “li pecuri Dolly”, attivisti e politicanti di paese che in Ciociaria considerano i cloni di Fiorito. Vestono gessati come lui, chi ha polmoni succhia Toscani, muovono le mani come lui quando parlano e a perfetta immagine di Francone , distribuiscono cameratesche pacche sulle spalle. Tutto finito. Nei bar della città dei quattro papi, la gente divora i quotidiani pieni della grande abbuffata di Batman-Bancomat. Una villa al Circeo regolarmente abusiva pagata 800mila euro, la tegola di un rinvio a giudizio per una storia di mazzette chieste a un imprenditore, l’inchiesta sull’uso allegro dei fondi del Pdl: sta succedendo di tutto e il dramma per Fiorito è che può succedere di più. “La rovina di Francone è lui stesso”, confessa un assessore ancora in carica. “È simpatico, un incantatore di serpenti, ma ancora mi stupisco quando penso ai voti che ha preso. I ciociari sono persone dal cervello fine, lui li ha ammaliati”.
GUGLIELMO Rosatella, sportivo generale in pensione dell’Aeronautica militare, Fiorito lo conosce bene. Militante di Alleanza nazionale, il generale è stato consigliere comunale e poi assessore proprio con Francone sindaco. “Ci lasciammo dopo pochi mesi in malissimo modo, gli scrissi lettere di fuoco. Non è un cattivo, ma quando si tratta della sua carriera politica non guarda in faccia nessuno”. Anno domini Duemilauno, il trentenne Francone si candida e fa piazza pulita del candidato di centrosinistra, Alberto Cocchi un repubblicano sessantenne, grazie all’aiuto di Francesco Storace, allora presidente della Regione e suo padre putativo assieme ad Alfonso Urso e Giuseppe Ciarrapico. Fiorito monta una campagna contro il Consorzio di Bonifica del quale il suo avversario è presidente, Storace offre l’assist e commissaria la struttura. Un piccolo trucco, come quello usato qualche anno prima ai tempi delle elezioni per i rappresentanti d’istituto al liceo classico Dante Alighieri.
FIORITO è un balilla del Msi, si candida e stravince, ma le schede col suo nome stranamente superano il numero dei votanti. Vincere, è il motto di Francone. Diventa sindaco e nomina assessori, quando non seguono i suoi ordini li manda a casa, cambia destinazione ai suoli e dove c’era il verde spuntano come funghi centri commerciali, guarda all’estero, all’Oriente. Nel 2002, anno dei Mondiali di calcio, vola in Giappone con una corte quasi craxiana. Paga il Comune che sborsa 17mila euro. Ma ad affascinarlo, soprattutto per le donne bionde, la sua passione, è la Russia. Fa un viaggio a San Pietroburgo con un suo amico manager musicale di grandi nomi, qualcuno scatta foto. Francone stravaccato su un divano con due bionde da urlo, Francone sorridente, sigaro in bocca e bicchiere di vodka in mano. I paesani non gradiscono e stampano un volantino. Titolo, “Maialate a San Pietroburgo”, foto dell’allegria russa e altro testo: “Ecco come i nostri soldi finiscono a puttane”. Ma Francone ci ride su, perché sa che la sua è una ascesa irrefrenabile. Eletto alla Regione nel 2005, riconfermato cinque anni dopo ma con una barca di voti, 26.400 preferenze, nel Lazio secondo solo a Claudio Fazzone, collegio di Latina, un altro big-boss del Pdl. Ma non molla il Comune, dove piazza un suo fedelissimo e si fa nominare, pur avendo già la poltrona di consigliere regionale, city manager lautamente retribuito. “Una macchina macina soldi – ricordano Aurelio Tagliaboschi, Pd, e Roberto Cicconi, di Sel –, per le sue campagne elettorali spendeva che manco Obama. Cene a profusione, spettacoli, un call center con 30 operatori. Con i nostri quattro soldi non potevamo competere”. Il generale Rosatella, invece, va più nel profondo. “Ha corrotto la testa dei giovani. Se ce l’ha fatta Francone, che non aveva né arte né parte, possiamo farcela pure noi, pensavano. E così la politica è diventata arricchimento, belle donne, ville, cene costose. Vita bella e facile”. Ecco, nasce così un potente di provincia. Il generale è sempre un uomo di destra, ma per contrastare Francone Bankomat e i suoi “legionari” ora siede sui banchi dell’opposizione.