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 2012  maggio 19 Sabato calendario

LE DUE STRATEGIE CONTRO LA CRISI

Marchionne è convinto di due cose: la crisi del mercato europeo è strutturale, e la Fiat in quest’area non è in grado di competere a tutto campo. Partiamo dal primo punto. Il mercato europeo è maturo: l’elevato numero di automobili in circolazione e la bassa crescita demografica lo rendono un mercato cosiddetto "di sostituzione". Niente crescita, dunque, nel lungo periodo. A fronte di un mercato stagnante e oltretutto colpito da un forte calo congiunturale, c’è una capacità produttiva che negli ultimi dieci anni non solo non è scesa, ma è aumentata – soprattutto con l’apertura di fabbriche nell’Est europeo. La colossale sovracapacità produttiva è il primo termine dell’equazione che tutti i costruttori devono risolvere, perché provoca una feroce guerra dei prezzi (lo ha ricordato Marchionne nell’intervista) e quest’anno in Europa porterà in rosso i conti non solo di Fiat ma anche di Ford, Opel, Peugeot e Renault. Perfino Volkswagen, con la sua Golf prodotta a Wolfsburg, produce utili risicati (quelli del gruppo vengono soprattutto dall’Audi e dalla Cina). Sono i cosiddetti costruttori generalisti, ovvero quelli che producono una gamma completa di auto (dalle piccole alle grandi) a prezzi medi per il cliente medio. Non a tutti va così male: resistono, o addirittura fanno buoni utili, le case che producono a costi bassi o vendono a prezzi alti. Nella prima categoria ci sono la Dacia e la Skoda, ma anche le coreane Hyundai e Kia; nella seconda il lusso sportivo di Ferrari e Porsche, e l’alto di gamma delle tre big tedesche Audi, Bmw e Mercedes. Tra i vincenti avrebbe potuto esserci l’Alfa Romeo. A giudizio di molti osservatori e di molti manager torinesi l’Alfa sarebbe l’unica chance per Torino di competere a tutto campo con i tedeschi. Ma servirebbero, come dimostra il caso di Volkswagen con Audi, miliardi di euro di investimenti con un orizzonte temporale di almeno dieci anni e con probabili perdite per i primi cinque. Marchionne non se l’è mai sentita (come del resto, va detto, anche i suoi predecessori); non solo: già nel 2007 era pronto a vendere l’Alfa a Volkswagen, se gli avessero offerto il prezzo giusto. Ora i tedeschi restano alla finestra e a otto anni dall’arrivo di Marchionne al Lingotto, dopo una giostra di sei amministratori delegati, l’Alfa Romeo resta nel limbo. In questo caso come in altri la logica di Marchionne – da ex chief financial officer – è stata finanziaria e di breve periodo. Una logica che gli ha permesso di riportare i conti Fiat in nero dopo la grande crisi, ma che non sempre permette di sostenere una strategia a lungo termine. Una logica per smentire la quale Marchionne cita l’investimento a Pomigliano: «Sulla base di considerazioni puramente economiche, nessun altro lo avrebbe fatto». Tornando all’equazione che tutti devono risolvere, una delle soluzioni possibili è chiudere stabilimenti; Peugeot lo ha annunciato a luglio, Opel è in trattative con i sindacati e anche Ford – scrive un report di ieri della banca Ubs – potrebbe fermare la fabbrica di Genk, in Belgio. Nel 2012 Fiat venderà meno di 900mila auto in Europa (contro gli 1,2 milioni del 2009), di cui la metà circa prodotte in Italia. Come ha fatto amaramente notare in questi giorni un sindacalista, per un volume del genere basterebbe la fabbrica di Melfi a pieno regime. Marchionne promette che non chiuderà stabilimenti purché ci sia «un impegno dell’Italia». Un impegno non meglio precisato, ma che potrebbe comprendere un sostegno a una cassa integrazione prolungata. Basterà? Nel lungo periodo il numero delle fabbriche Fiat in Italia dipenderà dalla ripresa del mercato europeo e dalla quota che Fiat riuscirà a mantenere in Europa. Per questo il blocco degli investimenti è preoccupante. Come scrive Fabiano Schivardi su «La voce.info», «la strategia di "passare attraverso la crisi in apnea" rinviando l’introduzione di nuovi modelli a tempi migliori rischia di portare l’impresa all’asfissia»; tanto più che i concorrenti continuano a investire (sia pure in perdita, come ricorda Marchionne). Proprio questo è il paradosso dello scontro competitivo in atto in Europa: nessuno può far soldi finché qualcuno non lascia liberi spazi di mercato, ma chi decide di farlo fa un favore agli altri. Nella battaglia per l’Europa, rispetto agli altri generalisti il Lingotto ha più di uno svantaggio: ha la quota di mercato più piccola e più concentrata in un solo Paese, un’immagine di marca non brillante e la gamma di prodotti più ristretta. Se guardiamo al segmento C (quello della Bravo), il secondo in Europa per dimensioni, Fiat compete con 3 vetture (Bravo, Delta e Giulietta) dello stesso tipo - berline a due volumi e cinque porte -, ma non dispone di una station wagon (modello che in Italia è tradizionalmente più venduto) né di un Suv o crossover, quegli ibridi come la Nissan Qashqai che negli ultimi 5 anni hanno mostrato la crescita maggiore. Viste le indubbie difficoltà nel segmento C dei decenni precedenti - ultimo caso, quello della Stilo - Marchionne ha prima cassato la Bravo SW e bocciato la proposta dei manager di sostituire la Bravo con un crossover; poi ha accettato l’idea, che è però fa parte degli investimenti rinviati sine die. Nel 2012 in Europa le vendite di Bravo sono per ora scese di oltre il 40% e quelle di Delta di più del 35 per cento. Marchionne è convinto che battersi per restare sul mercato Ue con una gamma completa sia un investimento rischioso e con scarse probabilità di successo; anche da questo, non solo dalla congiuntura, viene il freno tirato sugli investimenti in Europa. Il manager è anche convinto che il marchio Fiat sia debole e che rianimarlo costerebbe troppo. Non a caso pensa di vendere in alcuni Paesi - a cominciare dagli Usa - le auto direttamente con il brand della Fiat 500. La Fiat del futuro, in Europa, non sarà dunque più una marca generalista, se non forse nel nostro paese. Potrebbe diventare una sorta di Seat, gamma relativamente ampia ma con presenza debolissima fuori dalla Spagna, o di Suzuki, concentrata sui segmenti A e B e sui Suv (che Fiat potrebbe sviluppare agevolmente con Chrysler). L’export verso gli Usa potrà dare un aiuto molto limitato. Il piano del 2010 prevedeva 105mila unità esportate nel 2014 di cui 20mila Fiat e 85mila Alfa Romeo; ora sappiamo che le Fiat arriveranno dalla Serbia e le prime Alfa (Giulia) saranno prodotte negli Usa. Per quanto riguarda l’Italia, il primo esperimento potrebbe essere quello della Jeep destinata a Mirafiori; ma l’investimento è per ora congelato, ed è una delle risposte che Marchionne dovrà dare il 30 ottobre – o forse già sabato nell’incontro con Mario Monti.