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 2012  aprile 22 Domenica calendario

Il mondo teme un’altra crisi alimentare– «Ogni giorno mi inginocchio e recito una preghiera. Se ne fossi capace, giuro che farei anche la danza della pioggia»

Il mondo teme un’altra crisi alimentare– «Ogni giorno mi inginocchio e recito una preghiera. Se ne fossi capace, giuro che farei anche la danza della pioggia». Non capita spesso, in una democrazia occidentale, che un rappresentante del Governo si appelli all’aiuto divino. Ma è proprio questo che ha fatto il segretario all’Agricoltura degli Stati Uniti, Tom Vilsack, di fronte alla terribile siccità che sta devastando le coltivazioni del Paese e che ha spinto a livelli da record i prezzi internazionali di grano, mais e soia. Le preghiere di Vilsack la dicono lunga sull’impotenza con cui – nel ventunesimo secolo – siamo ancora costretti a piegarci di fronte alla forza della natura, che può distruggere interi raccolti, condannando alla fame e a possibili violenze i poveri della Terra. Per i Paesi più ricchi il rischio non è mortale. Ma un’impennata dell’inflazione e un aggravio del deficit commerciale non sarebbero certo un toccasana per le nostre già zoppicanti economie. Il rally sincronizzato dei prezzi di tre prodotti agricoli importantissimi non solo per l’alimentazione umana, ma anche per i mangimi animali, sta sollevando gravi preoccupazioni. Tutto è avvenuto in modo troppo rapido, violento e inatteso, cogliendo impreparati non solo gli investitori – che hanno cominciato ad acquistare futures a man bassa al Chicago Board of Trade (Cbot) – ma anche chi i prodotti agricoli li acquista per davvero: imprese alimentari, società di importazione, enti governativi incaricati di garantire gli approvvigionamenti di cibo per Paesi talvolta molto poveri di risorse e quasi totalmente dipendenti dalle importazioni. Ancora un mese fa gli analisti di tutto il mondo erano convinti che la produzione di cereali sarebbe stata enorme, a livello globale e in particolare negli Usa, dove gli agricoltori avevano seminato a mais l’area più estesa degli ultimi 76 anni. Proprio nei campi sterminati della "Corn Belt" americana – la "cintura del mais", che si estende per gran parte del Midwest – è scoccata la scintilla che ha infiammato i prezzi. Le condizioni meterologiche sono da vero e proprio disastro: da settimane non piove e le temperature sfiorano 40 gradi. Non succedeva niente di simile dal 1956. Per il granoturco, di cui gli Usa sono i maggiori produttori ed esportatori nel mondo, i danni probabilmente sono già irreparabili: una buona parte del raccolto è da considerare perduta. Per la soia, che si sviluppa un po’ più tardi, il rischio si sta aggravando di giorno in giorno. A complicare la situazione, hanno cominciato ad arrivare indicazioni sempre più pessimiste anche dalla regione del Mar Nero: grandi fornitori di cereali – e in particolare di grano – come la Russia, l’Ucraina e il Kazakhstan stanno abbassando sempre di più le stime sulla produzione (Astana teme addirittura che si dimezzi rispetto alla stagione passata). Anche in questo caso la colpa è del maltempo: del clima impazzito che sempre più spesso compromette la produzione agricola, mentre il fabbisogno alimentare sta crescendo a ritmi elevatissimi, per l’aumento della popolazione mondiale e per lo sviluppo economico dei Paesi emergenti. «Non siamo ancora di fronte a una situazione da crisi alimentare», rassicura Abdolreza Abbassian, capoeconomista della Fao. «La situazione tuttavia è seria e deve essere monitorata da vicino. In particolare ci preoccupano la velocità dei rincari e il fatto che almeno per ora non intravvediamo alcun sollievo per i prezzi di mais, grano e soia». Per fortuna, spiega l’esperto dell’agenzia Onu, non stiamo vivendo una replica esatta di quanto accadde nel 2007-08, quando i forti rincari dei prezzi alimentari provocarono un aumento dei casi di malnutrizione e fecero scoppiare disordini in molte aree del mondo. «Non vediamo alcun problema per le forniture di riso. Il raccolto è fantastico, si va verso un altro record, e le scorte stanno salendo. Questo è molto importante per la sicurezza alimentare di milioni di persone nel mondo». Rispetto a quattro anni fa ci sono anche altre differenze cruciali, almeno per ora. In generale, le scorte globali di prodotti agricoli oggi sono molto più alte. Il prezzo del petrolio è invece un po’ più basso, il che – almeno per la domanda di mais – elimina un po’ di concorrenza da parte dei produttori di biocombustibili. Infine, nessun Governo ha varato misure per difendere il proprio Paese da vere o presunte carenze di cibo. Niente bandi all’export, niente dazi, niente accaparramenti, almeno per ora. Una differenza davvero cruciale, se e fino a quando dura. © RIPRODUZIONE RISERVATA Rincari a raffica L’origine La nuova crisi alimentare che rischia di profilarsi a livello globale trae origine nei vasti campi della "Corn Belt" americana, la "cintura del mais", che si estende per gran parte del Midwest. Qui è scoccata la scintilla che ha infiammato i prezzi. Le condizioni meterologiche sono pessime: non piove da settimane e le temperature sfiorano i 40 gradi. Non succedeva niente di simile dal 1956. Nelle ultime cinque settimane i prezzi del mais negli Stati Uniti si sono impennati del 55 per cento L’ALTRO FRONTE A EST Maltempo nel Mar Nero A complicare la situazione, hanno cominciato ad arrivare indicazioni sempre più pessimiste anche dalla regione del Mar Nero: grandi fornitori di cereali – e in particolare di grano – come la Russia, l’Ucraina e il Kazakhstan stanno abbassando sempre di più le stime sulla produzione (Astana teme addirittura che l’output si dimezzi). Anche in questo caso la colpa è del maltempo Secondo gli esperti della Fao non siamo ancora in una situazione di crisi alimentare, ma l’allarme è serio e va monitorato attentamente Il precedente Il grafico qui sopra mostra quali sono i maggiori importatori di cereali. Al primo posto il Giappone, seguito dall’Egitto. La crisi alimentare del 2007-2008 provocò violente proteste proprio nei Paesi più dipendenti dalle importazioni, come lo stesso Egitto, il Camerun e Haiti In quei Paesi infatti il prezzo di farina, pane e altri generi alimentari di prima necessità subì un’impennata che mise in grave difficoltà le fasce più povere della popolazione