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 2012  aprile 18 Mercoledì calendario

Parla il professor Stefano Caselli, ordinario al Dipartimento di Finanza della Bocconi. Difende il ruolo delle società di rating ormai consolidato nel mercato, ma sottolinea che certi evidenti sbagli (Lehman e Parmalat) e certe notizie date a Borse aperte (caso Francia) hanno causato danni enormi

Parla il professor Stefano Caselli, ordinario al Dipartimento di Finanza della Bocconi. Difende il ruolo delle società di rating ormai consolidato nel mercato, ma sottolinea che certi evidenti sbagli (Lehman e Parmalat) e certe notizie date a Borse aperte (caso Francia) hanno causato danni enormi. E ritiene che andrebbero controllate da autorità esterne ROMA - Opinioni, semplicemente. Giudizi non vincolanti. Dietro queste parole-schermo si trincerano le agenzie di rating accusate di aver provocato i disastri finanziari degli ultimi due anni. Dal crollo di Lehman and Brothers all’ultimo declassamento dell’Italia gli abbagli sono a cascata. E allora viene il sospetto che proprio di abbagli non si tratti. Stefano Caselli, professore ordinario presso il Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi, non condanna il sistema ma individua alcune grosse falle nella macchina del rating. "Il giudizio di rating - spiega - è la combinazione di due componenti differenti: un’analisi qualitativa fatta da un team di analisti che verificano le caratteristiche del soggetto. Se è un’azienda: la strategia, la struttura finanziaria, la governante; se uno Stato: la struttura del debito. E poi un’analisi su parametri quantitativi che vengono utilizzati per rendere robusta la valutazione qualitativa". I parametri dell’analisi sono sempre gli stessi? Chi garantisce che vengano applicati criteri omogenei? "Non vi è un cambio dei metodi con cui viene fatta la valutazione, questa è un fatto costante. La loro forza è la grande disponibilità di analisti che fanno valutano a tutto tondo secondo una procedura che è la medesima per qualsiasi soggetto e non cambia nel corso del tempo". Eppure ci sono inchieste aperte sulle procedure con cui i rating sono stati redatti "Il dubbio se ci siano situazioni di abuso diventa materia da Procura. A priori le agenzie hanno una metodologia che non dovrebbe cambiare da soggetto a soggetto. Poi, come tutti i processi valutativi umani, come quando do un voto a scuola, possono essere soggetti a qualsiasi tipo di distorsione". Ma allora gli abbagli clamorosi presi in casi come quelli di Lehman and Brothers o Parmalat? "Si, si sono clamorosi. Fino ad ora però nessuno si è mai posto il problema di regolamentare o vigilare le agenzie che, come qualsiasi soggetto privato, in molti casi hanno fatto il loro dovere e in altri, evidentemente, hanno sbagliato. I danni sono stati fatti in certi casi clamorosi". Eppure, nonostante tutto questo, si sono legati il rating diversi prodotti finanziari, come i Fondi, facendo danni grossissimi ai piccoli investitori. "Lo so bene. Però allora la responsabilità è generalizzata". Non ravvisa una dose di malafede? "Le agenzie sono soggetti privati che formulano giudizi da 60-70 anni. Come qualsiasi soggetto privato generano output che il mercato è libero di acquistare. Negli ultimi 3-4 anni il giudizio ha assunto, a torto o a ragione, una rilevanza assoluta per cui dovrebbero essere vigilate come le banche. La cosa più importante oggi è regolamentare il timing di uscita dei report, questo effettivamente ha fatto dei danni. Intende riferirsi a quando le valutazioni sono uscite a mercati aperti? "Questo è il punto più discutibile. Ritengo assolutamente criticabile aver pronunciato rating a mercati aperti o in corrispondenza di passaggi politici ed economici importanti. Su quello le agenzie hanno peccato. E se le agenzie non sanno autoregolamentarsi deve intervenire una norma che detti il timing in cui possono far uscire i rating. Altrimenti si possono generare danni al sistema finanziario enormi. Ne abbiamo avuto anche prova nel downgrade a mercati aperti della Francia. Ma è inutile continuare a discutere se sono buone o cattive. Bisogna prendere atto che sono parte integrante del sistema finanziario e dunque devono essere regolamentate esattamente come una banca, vigilate da un’autorità. Nelle banche ci sono regole che impongono: limiti alla partecipazione degli azionisti, ai conflitti d’interesse, autorizzazione al cambio di proprietà sopra il 5 %" . A proposito di conflitto di interessi, spesso i committenti dei report sono anche proprietari delle agenzie. "Ma ripeto, finché non vengono vigilate...." Mi scusi, ma c’era bisogno di arrivare a toccare il fondo per accorgersi che ci si era affidati eccessivamente alle agenzie? "La finanza ha questa caratteristica: nelle fasi di grande euforia nessuno ha il coraggio di bloccare le cose e regolamentarle, poi quando scoppiano le bolle e succedono i disastri quello è sempre il momento per introdurre correttivi. Fino a 4 o 5 anni fa immaginare che le agenzie avrebbero avuto questo impatto non era prevedibile. Però in occasione di Lehman e Parmalat forse andava fatto". Alcuni rating appaiono veramente incredibili all’osservatore. Dopo l’ultimo declassamento l’Italia è finita in coda a Paesi come la Colombia. Non le sembra eccessivo? "Crescita del Pil e debito pubblico, su questi due fondamentali il nostro Paese è messo male. Nell’area Euro è un Paese con il Pil ormai piatto, senza particolari speranza di crescita e un debito pubblico di dimensioni spaventose. L’Italia è una buona azienda ma non è più in grado di far crescere il fatturato; l’utile di esercizio c’è ma la quantità di debito è insostenibile. Se guardiamo a questi indicatori è chiaro che il rating non può certo essere tripla A. Paesi come la Colombia hanno un Pil con una crescita spaventosa. Piuttosto, la parte discutibile di questa storia è che l’Italia sia stata accomunata a Paesi come la Grecia o il Portogallo. Questo paragone è veramente inaccettabile. L’Italia ha una solidità diversa". Come lo spiega? Giudizi pilotati per ottenere effetti sui mercati? "Quello che ci penalizza sono il Pil e altri indicatori macro. Criminalità o immobilità della pubblica amministrazione pesano sul giudizio degli investitori esteri e ci penalizzano". Burocrazia e mancate riforme però ci penalizzano da 20 anni, allora perché infierire proprio negli ultimi mesi? "Su questo sono d’accordo: è stato sbagliato. E’ sempre questione di timing come ho detto prima. A noi questo ha fatto molto male". Quanto influisce la pratica delle High Frequency Trading sulle oscillazioni del mercato? "Fanno parte ormai del mercato. E’ chiaro che operatori Hft e il fatto che esistano investitori di dimensioni spaventose che possono spostare masse di denaro enormi è la regola che può destabilizzare incredibilmente il mercato. Gli Hft e il potere concentrato nelle mani di pochi soggetti alimenta la volatilità dei prezzi e sarà sempre di più così. Il problema che si pone è di tutela del piccolo investitore che si troverà in balia di questo meccanismo. Come tutelarlo? E’ impossibile. Qui non c’è nemmeno rating che tenga".