Maurizio Ricci, L’Espresso 18/4/2012, 18 aprile 2012
I "wet barrels" (quelli "bagnati", cioé veri) sono ormai una piccola parte (neanche un decimo) di quelli invisibili perché "creati" dalla finanza
I "wet barrels" (quelli "bagnati", cioé veri) sono ormai una piccola parte (neanche un decimo) di quelli invisibili perché "creati" dalla finanza. C’è chi li acquista e li vende solo per "coprirsi", cioé per fissare il prezzo da qui a tot mesi del combustibile che vuole davvero acquistare e chi si limita a specularci sopra. Ma così, con l’aggiunta delle tecnologie che lo rendono sempre più veloce, il mercato diventa fragile e facilmente "attaccabile". Ed è già successo... C’è barile e barile. Nel gergo dei petrolieri, "wet barrels" e "paper barrels". I primi, quelli "umidi", sono effettivamenti pieni di petrolio. I secondi erano striscioline di carta e, oggi, sono schermate di computer. La loro inconsistenza non significa, però, che siano meno importanti. Da anni, esperti ed economisti si accapigliano per stabilire se contino di più gli umidi o quelli di carta. Alla lunga, è l’effettiva disponibilità del petrolio reale che determina il prezzo, azzoppa le economie o le fa volare. Ma, prima che la lunga si compia, il barile di carta può creare tempeste, devastare la finanza, contagiare tutta l’economia. Perché la sproporzione fra barili reali e barili virtuali è enorme. Ogni giorno, il mondo produce circa 85 milioni di barili veri di petrolio, quelli che finiranno concretamente nei serbatoi delle auto o negli oggetti di plastica. Ma, per ogni barile vero, sui mercati finanziari girano, nelle stesse 24 ore, oltre dieci di quella sorta di cambiali che sono i barili di carta, cioè i futures del petrolio, impegni a consegnare, ad una data prefissata, il relativo barile pieno. In soldi, quei barili umidi, prodotti oggi, valgono 8,5 miliardi di dollari, ma generano, in un frenetico giro di scambi, affari per 100 miliardi di dollari. IL GLOSSARIO. LE PAROLE DELLA FINANZA INTERNAZIONALE E’ una delle rappresentazioni più efficaci di quanto la finanza si muova in un mondo diverso da quello dell’economia reale. Questo non significa che non abbia una sua logica. E’ possibile, infatti, scambiare, ogni giorno, un miliardo di barili di petrolio, quando ce ne sono solo 85 milioni, perché nessuno si presenterà mai a riscuotere il suo future, aspettandosi di avere un barile vero di petrolio. Chi gli ha venduto quella cambiale non saprebbe neanche dove andare a prenderlo. A cosa servono, allora, i barili di carta? Sono nati per lo "hedging", per coprirsi, cioè, dal rischio di un mutamento dei prezzi. Siete, ad esempio, l’Alitalia e sapete che, a luglio, avrete bisogno di mille barili di greggio per far volare gli aerei e dovete calcolare quanto vi costeranno. Il prezzo di consegna del barile vero è di 95 dollari a barile. Potreste comprarli, metterli in un deposito e tirarli fuori a luglio. Ma dovreste pagare il deposito e gli interessi sui soldi che avete anticipato. Comprate allora un future a tre mesi (basta un acconto del 10 per cento sull’intera cifra), che costa 100 dollari. Potrebbe bastare: a luglio, sventolate il vostro future e vi prendete il petrolio. Ma sapete già che chi ve lo ha venduto non ne ha neanche una goccia e, dunque, che, concretamente, quello che farete è molto diverso. Guarderete il prezzo di mercato, in quel momento, del barile umido e, se è superiore a quello stabilito dal future, il venditore vi darà la differenza, se è inferiore, la darete voi. Poi, prendete i soldi che avevate stanziato per il greggio e andate a comprarlo da qualcuno che, il petrolio, lo ha per davvero. A cosa è servito, allora, il future? A bloccare il prezzo. Se il petrolio è salito a 110 dollari, avete guadagnato 10 dollari sul future, ma pagherete 10 dollari in più sul mercato vero. Se è sceso a 90, avete perso 10 dollari sul future, ma ne pagate 10 di meno per il barile vero. In un caso o nell’altro, il barile vi è costato 100 dollari, come volevate. A rovescio, se siete una compagnia petrolifera o una raffineria, sarete voi a vendere il future, per bloccare l’incasso della vendita. Questo tipo di transazioni fisiologiche, tuttavia, arriva a coprire a malapena metà del miliardo di barili di carta che si scambiano ogni giorno. Il resto è, sempre più, terreno di caccia di banche, finanziarie, hedge funds e, anche, singoli risparmiatori attraverso i fondi che investono nelle materie prime. Il loro scopo non è bloccare il prezzo, ma guadagnare, scommettendo che salga o scenda. In parte, la loro presenza è utile, perché assicurano che le compagnie aeree o i petrolieri possano trovare sempre chi compra o vende i futures per le loro operazioni di copertura. Ma in misura crescente, sono loro i veri protagonisti del mercato petrolifero, impegnati a speculare l’uno contro l’altro. Meno di un terzo di chi traffica sui futures del petrolio ha effettivamente a che fare con l’industria del petrolio. Il resto sono investitori solo finanziari, a partire dalle grandi banche: il 32 per cento del mercato complessivo dei futures sul petrolio risale a otto grandi banche d’investimento, come Goldman Sachs e Morgan Stanley. Il risultato è un mercato del petrolio che, sempre più, usa le stesse tecniche e ha le stesse fragilità dei mercati puramente finanziari. Nel maggio scorso, in un solo giorno, le quotazioni del petrolio a New York sono cadute del 10 per cento, anche se non vi era alcun segno di crisi petrolifera. Un declino iniziale si era trasformato in un collasso, perché gli algoritmi che governano i programmi computerizzati di contrattazione avevano fatto scattare l’allarme rosso "stop-loss", scatenando un’ondata di vendite, che si rinnovava, ogni volta che le quotazioni raggiungevano un livello previsto come pericoloso dai software. In un mercato, ormai dominato dall’Hft, le contrattazioni ad alta frequenza, che coprono oltre il 60 per cento degli scambi, il crollo si era verificato, ancor prima che qualcuno se ne rendesse conto. Con inevitabili effetti di contagio, anche sugli altri mercati. Perché un future a 3 mesi, vive per ognuno di quei 90 giorni. Ogni sera, si fanno i conti e, se un future ha perso o guadagnato, più di quanto sia stato versato come acconto, al momento della stipula del contratto, chi ha perso versa la differenza, per ripristinare l’acconto, e chi ha guadagnato incassa, quella sera stessa. Chi deve pagare, spesso è costretto a liquidare, per trovare il contante, posizioni su altri mercati delle materie prime, o in Borsa. E l’effetto contagio si propaga. Se volete creare una crisi, il mercato del petrolio è quello da cui cominciare.