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 2012  luglio 09 Lunedì calendario

LE GUERRE DI GEORGE W. BUSH GLI EFFETTI SULLA CRISI ECONOMICA

Vorrei un suo parere sull’eredità delle guerre di Bush e quanto possono aver influito sull’attuale crisi economica.
Gaetano Vella
garibaldiapalermo@libero.it
Caro Vella, bisognerebbe anzitutto che gli economisti si accordassero su una cifra. Secondi alcuni studiosi, la guerra irachena sarebbe costata un trilione di dollari (mille miliardi), secondo altri i trilioni sarebbero addirittura tre. Bisognerebbe in secondo luogo che a ciascuna di queste cifre corrispondesse un elenco particolareggiato delle voci di spesa. Una delle più importanti è certamente il materiale militare utilizzato e consumato nel corso del conflitto. Se il Dipartimento della difesa è in grado di quantificarlo, non è impossibile dare un prezzo a ciascuno di tutti gli oggetti perduti o distrutti, dagli elicotteri alle mitragliatrici, e tirare le somme. Ma qualcuno potrebbe sostenere che una guerra serve a eliminare il vecchio materiale e a rinnovare gli arsenali con armi migliori. Dobbiamo considerarlo un costo o un buon investimento per la futura sicurezza del Paese?
Ancora un punto importante. La guerra irachena è probabilmente la prima guerra americana combattuta con uno straordinario livello di «outsourcing», vale a dire con la delega a società private di funzioni che erano originalmente sostenute da alcuni corpi speciali dell’esercito: costruzione di strade e ponti, mense, servizi postali, incarichi amministrativi, trasporti di materiale, mansioni di sicurezza per gli immobili delle forze d’occupazione e per il personale civile. La società che ha tratto maggiori vantaggi da questa «privatizzazione» della guerra è probabilmente Halliburton, un’azienda specializzata tra l’altro nella fornitura di macchine e servizi per l’industria energetica, con cui il vicepresidente Dick Cheney aveva lavorato negli anni precedenti; ma le società private coinvolte nel conflitto furono numerose. La spesa per questi contratti di outsourcing era sostenuta dal ministero della Difesa, ma qualche economista neoconservatore sosterrebbe probabilmente che quel denaro creò dividendi per gli azionisti delle aziende, nuove forme di occupazione, nuovi consumi e dette complessivamente un contributo alla crescita della ricchezza nazionale. È una tesi partigiana che non ha comunque impedito all’America di precipitare nella crisi del credito. Ma non è priva di qualche fondamento. La lunga depressione del 1929 terminò negli Stati Uniti grazie alla Seconda guerra mondiale.
Sono queste, caro Vella, soltanto alcune delle ragioni per cui è molto difficile calcolare le ricadute economiche di un conflitto. È più semplice, forse, misurare gli effetti politici. Le due guerre di Bush non hanno prodotto i risultati sperati. L’Afghanistan è ancora in buona parte occupato dai talebani e la guerra irachena ha avuto l’effetto di regalare all’Iran (oggi un potenziale nemico degli Stati Uniti) un nuovo amico. Qualche giorno fa, durate la riunione dell’Opec (il cartello dei Paesi petroliferi), il delegato del Venezuela ha proposto una mozione contro le sanzioni imposte dall’Occidente all’Iran. La proposta non è stata accolta, ma fra i delegati che l’hanno sostenuta vi era quello dell’Iraq. Valeva la pena di eliminare Saddam Hussein per ottenere questo risultato?
Sergio Romano