Paolo Valentino, Corriere della Sera 09/07/2012, 9 luglio 2012
SE L’AVANGUARDIA DEI GRANDI CHEF PORTA IN TAVOLA LE FORMICHE VIVE —
Ho cucinato con Ferran Adrià. Ho pelato e tagliato a rondelle gli asparagi bianchi per i suoi gamberetti saltati. Ho giocato a pallone e discusso di pittura e cucina con Massimo Bottura. Ma soprattutto ho gustato le formiche vive, che il Nord Food Lab, laboratorio culinario del miglior ristorante del mondo, nutre con foglie di citronella e coriandolo per dar loro un sapore acidulo e gradevole.
È il genere di cose che possono succedere soltanto al Mad Food Symposium, la riflessione più d’avanguardia e coraggiosa sul futuro del cibo e della gastronomia, che René Redzepi ha lanciato nel 2011. Eppure non sono tanto o solo queste esperienze fuori dal comune a rendere straordinario l’happening organizzato dal sempre più carismatico cuoco del Noma, appena confermato per il terzo anno consecutivo al vertice della classifica dei 50 World’s Best Restaurants.
Si è confermata preziosa l’intuizione di riunire cuochi, piccoli produttori, accademici e appassionati da ogni angolo del mondo, per discutere intorno a un tema: lo scorso anno la «vegetazione», quest’anno l’appetito.
«L’appetito è quello che ci rende curiosi — spiega Redzepi al Corriere —, ci obbliga a esplorare il mondo, con i nostri sensi, la nostra capacità di gustare, toccare, sentire, vedere e riflettere. In quanto cuochi, l’appetito è il nostro habitat naturale. Oltre le tecniche del mestiere, oltre la scienza culinaria o la stagionalità dei prodotti, è un motore che ci consente di andare più avanti, di pensare in grande e osare di più».
E nulla illustra il concetto espresso da Redzepi meglio della dimostrazione offerta dal suo Nordic Food Lab, impegnato a ridefinire i confini tra il commestibile e il non commestibile. Le formiche vive, graziosamente servite al pubblico, potranno sembrare una provocazione. E in questi giorni sono anche al menu del Noma. Ma è un fatto che più volte i rapporti dell’Onu abbiano identificato gli insetti come uno dei nuovi gruppi di cibo alternativo alla carne per le future generazioni.
Mentre domenica 1 luglio l’argomento #Mad2 era al top delle preferenze mondiali di Twitter, sotto la tenda di Christianhavn esplodeva tutta l’energia di un universo, quello dei cuochi d’avanguardia, che ormai si ritrovano non tanto per parlare del loro ultimo piatto, ma per ragionare sul rapporto tra i sistemi di approvvigionamento alimentare e il cibo, la sostenibilità delle nostre abitudini nutritive, la ricerca delle materie prime. O per ascoltare storie esemplari come quella raccontata da Danny Bowien, che nel suo Mission Chinese Food, due ristoranti tra New York e San Francisco, combina straordinarie ricette di fusion asiatica, prodotti rigorosamente organici, prezzi abbordabili e beneficenza, visto che 75 centesimi del prezzo di ogni piatto vanno alle Food Bank delle rispettive città. Non ultimo, come ha spiegato nella sua applauditissima lezione il mago della cucina molecolare, Wylie Dufresne, si incontrano per far passare l’idea che i cuochi moderni devono non solo cercare nuove frontiere gastronomiche, ma soprattutto essere pronti a condividere il loro sapere: invece di custodire gelosamente le loro scoperte, devono dividerle con il resto della comunità, avendo in mente il progresso generale della scienza culinaria.
A Massimo Bottura, guru dell’Osteria Francescana, è andato il compito di ragionare sul rapporto tra cultura, tradizione e innovazione in cucina. «Importante è salvaguardare le tradizioni portandole nel futuro, facendole evolvere». Così, il suo bollito non è più cotto in acqua, ma sotto vuoto a bassa temperatura, preservando in tal modo vitamine, proteine e qualità organolettiche della carne, senza togliere nulla a tenerezza, sapore e chiarezza dei tagli. «Il cibo — così Bottura — non è solo qualità degli ingredienti, ma anche qualità delle idee».
Ed è stato simbolico e suggestivo che il gran finale fosse riservato a Ferran Adrià, pioniere della cucina tecno-emozionale. Quasi un ideale passaggio di consegne da lui a Redzepi, al vertice del movimento dell’avanguardia. Reduce da un anno d’insegnamento a Harvard, impegnato nella costruzione della Fondazione El Bulli dopo la chiusura del leggendario ristorante, il maestro catalano ha dedicato la sua lezione finale a un tema inusuale per un creativo: «conoscenza e ordine». Dopo gli anni della creatività assoluta, per lui è venuto il momento di documentare, raccontare e sistematizzare ciò che è successo negli ultimi 30 anni ai cuochi e alla cucina, diventata globale e collegata a ogni aspetto della vita: dall’arte all’economia, dall’ecologia alla scuola.
Paolo Valentino