Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 8/7/2012, 8 luglio 2012
INTESA PARALLELA
Una villa da favola in Sardegna. Casa in pieno centro a Milano, con tanto di arredi milionari, come hanno constatato gli investigatori che a metà maggio hanno perquisito la sua abitazione. E poi auto di lusso, residenze a Montecarlo, in Svizzera e in Lussemburgo. Insomma, Alessandro Jelmoni, il broker internazionale in carcere da maggio con l’accusa di riciclaggio, non si faceva davvero mancare niente. Come molti professionisti della finanza off shore, quella che vive di holding e paradisi fiscali, in 15 anni di carriera aveva accumulato un ricco tesoretto. Procurarsi clienti non era davvero un problema. L’esportazione di capitali è uno degli sport preferiti di industriali e professionisti nostrani. A portare in carcere Jelmoni sono stati i rapporti con Elena e Corrado Giacomini, imprenditori piemontesi al centro di un’inchiesta per una colossale frode fiscale. A gestire il loro patrimonio in nero, oltre 200 milioni, era lui, Jelmoni, 45 anni, origini venete. I soldi dei Giacomini erano depositati su un conto della Société europeénne de banque (Seb), la banca lussemburghese di Intesa.
Sesto senso
Un caso? A giudicare dalle carte dell’inchiesta penale pare proprio di no. E non solo perché Jelmoni è legato da rapporti di amicizia e di affari con Marco Bus, il numero uno di Seb-Intesa, a sua volta indagato per concorso in riciclaggio. Da un gran numero di documenti ufficiali emerge che il broker ora agli arresti vendeva ai clienti pacchetti off shore tutto compreso. Società, conti bancari e quant’altro può servire per gestire capitali in fuga dall’Italia. E nella grandissima maggioranza dei casi Jelmoni si appoggiava al gruppo Intesa, in particolare alla lussemburghese Seb.
Erano rapporti stretti e collaudati, cominciati molti anni fa. La conferma arriva dalle carte dell’inchiesta sul cosiddetto sistema Sesto. Ovvero la giostra di tangenti e corruzione che secondo la Procura di Monza avrebbe ruotato attorno a Filippo Penati, l’ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, già presidente della Provincia di Milano e prima ancora sindaco di Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia alle porte di Milano. L’inchiesta penale è nata dalle dichiarazioni del costruttore Giuseppe Pasini, che ha rivelato di aver pagato tangenti per 4 miliardi di vecchie lire (circa 2 milioni di euro) a Penati tramite l’intermediario Pietro Di Caterina. Fatti prescritti ormai, visto che risalgono al 2000-2001.
lSi scopre però che questa presunta stecca sarebbe transitata da conti del gruppo Intesa grazie a una struttura societaria allestita proprio da Jelmoni, che già dieci anni fa, quindi, lavorava, via Lussemburgo, con la banca milanese. Per farla breve, i soldi che secondo Pasini sarebbero andati a Penati sono partiti dalla lussemburghese Seb. La provvista sarebbe stata creata con operazioni in titoli di due società off shore con base nel paradiso fiscale di Niue, un’isoletta in mezzo all’oceano Pacifico. Come risulta dai documenti bancari le due società in questione si chiamano High yeld financial investment Ltd e international monetary corp ltd.
“Consapevole dell’illecito”
Domanda: chi erano gli amministratori di queste due finanziarie che hanno tutta l’aria di essere state create apposta per gestire questo singolo affare? Nel ruolo di director troviamo proprio lui, Jelmoni, assieme ad almeno un paio di suoi colleghi che hanno avuto un ruolo anche nell’affare Giacomini. Corsi e ricorsi storici. In due vicende in apparenza tanto lontane troviamo gli stessi protagonisti. Jelmoni come tecnico della finanza off shore e Seb, cioè Intesa , come banca d’appoggio. Del resto l’istituto milanese era legatissimo a Pasini, a cui aveva prestato circa 200 milioni di euro per comprare l’area delle vecchie acciaierie Falck a Sesto. Secondo i pm di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia, le modalità con cui è stata creata la provvista per la presunta tangente inducono a "ritenere che la banca, come sostiene Pasini, fosse assolutamente consapevole e complice dell’illecito". A conclusioni molto simili sono giunti anche i magistrati di Verbania, il capo della procura Giulia Perrotti e il sostituto Fabrizio Argentieri, che nel caso della frode fiscale dei Giacomini, ipotizzano complicità ai vertici della Seb, guidata da Bus. Va ricordato che la vicenda di Sesto e dell’area Falck non si esaurisce con le stecche denunciate da Pasini. Quest’ultimo, messo alle corde dal forte indebitamento con Intesa e dal blocco dei lavori sui suoi terreni, nel 2005 getta la spugna e vende al costruttore Luigi Zunino, pure lui generosamente foraggiato dalla banca guidata da Corrado Passera.
Intrighi e autostrade
Anche Penati, passato sulla poltrona di presidente della Provincia di Milano, è finito di nuovo nei guai per l’acquisto da parte dell’ente pubblico del 15% dell’autostrada Serravalle messo in vendita dal gruppo Gavio. Un acquisto concluso a un prezzo molto elevato, tanto da essere considerato fuori mercato da una mezza dozzina di perizie. Ebbene, chi ha prestato i soldi alla provincia guidata da Penati per comprare quel 15%? Risposta: è stata Intesa. Adesso Penati è indagato per corruzione ed è finito nei guai anche Maurizio Pagani, top manager della banca milanese pure li indagato per corruzione. Pagani lavora per la Biis, la Banca infrastrutture innovazione e sviluppo che all’epoca dei fatti era guidata da Mario Ciaccia, poi chiamato al governo da Passera come sottosegretario al ministero dello Sviluppo. Che fine hanno fatto i soldi, oltre 230 milioni di euro, versati dalla Provincia di Milano ai Gavio? I pm di Monza hanno ricostruito il percorso dei soldi e hanno accertato che almeno una fetta di quel denaro è transitato da Intesa Sanpaolo bank Suisse, la filiale luganese del gruppo. Sarà una coincidenza ma nel consiglio di questa società svizzera siede, sin dal 2008, Marco Bus. Proprio lui, il top manager di Intesa che guida la Seb di Lussemburgo. La banca del denaro nero dei Giacomini. E delle società off shore targate Jelmoni.