Elena Comelli, Nòva24 8/7/2012, 8 luglio 2012
BASTA CO2: SIGILLIAMOLA SOTTO L’ARTICO
In superficie non si vede nulla. Ma sotto, a 300 metri di profondità nel mare di Barents, ben oltre il circolo polare artico, dorme Biancaneve, uno dei più vasti giacimenti di gas del mondo. Snøhvit, in norvegese. Da qui si estraggono ogni giorno centinaia di metri cubi di gas naturale da una ventina di pozzi, senza mai farli emergere in superficie. Con un tubo lungo 150 chilometri, in cui corrono anche i cavi di alimentazione degli impianti di estrazione appoggiati sul fondo e la fibra ottica necessaria per telecomandarli, il gas naturale viene trasferito fino a Melkøya, un’isoletta collegata alla terraferma. Arriva mischiato all’acqua di mare e all’anidride carbonica, che inevitabilmente si forma in tutti i giacimenti d’idrocarburi. Melkøya ospita il primo impianto di liquefazione di gas naturale in Europa. Una struttura all’avanguardia: le nuove tecnologie estrattive, che hanno portato gli Stati Uniti all’autosufficienza, stanno liberando infatti una massa di gas naturale liquefatto mai vista prima, che ha reso questa fonte energetica estremamente competitiva sul mercato globale. La Norvegia è il quinto Paese esportatore di petrolio e il terzo esportatore di gas al mondo. Il 20% del suo Pil viene dagli idrocarburi e questa quota crescerà con lo sfruttamento dei giacimenti artici. Ma è anche in cima a tutti gli indici di sostenibilità, compreso quello, accuratissimo, compilato dalla Fondazione Enrico Mattei, che mette in relazione economia, società e ambiente. Nella classifica Feem 2011, la Norvegia arriva prima, la Svezia seconda e la Svizzera terza.
Melkøya è un esempio di quel che s’intende per sviluppo sostenibile: qui l’anidride carbonica, che va eliminata nel processo di depurazione del gas naturale, non viene liberata in atmosfera come si fa negli altri giacimenti di idrocarburi, ma è catturata e sequestrata nel sottosuolo. «Il gas naturale che estraiamo da Snøhvit contiene dal 5 all’8% di CO2. A Melkøya – spiega Øivind Nilsen, vicepresidente di Statoil, la compagnia petrolifera di Stato norvegese – separiamo e immagazziniamo in una formazione geologica chiusa ai margini del giacimento, 2.600 metri sotto il fondo del mare, oltre 700mila tonnellate di CO2 all’anno, equivalente alle emissioni di 280mila auto. In questo modo otteniamo un vantaggio ambientale e sviluppiamo una tecnologia d’avanguardia, che ci sarà utile in futuro». In prospettiva, lo stesso impianto potrebbe servire anche per immagazzinare la CO2 emessa da Goliat, il gigantesco giacimento petrolifero scoperto recentemente a 80 chilometri da Melkøya e operato dall’Eni insieme a Statoil, con l’obiettivo di entrare in produzione l’anno prossimo. L’eliminazione della CO2 dai processi di estrazione e combustione degli idrocarburi nell’industria è considerata dall’International Energy Agency l’unico modo per continuare a usare le fonti fossili senza surriscaldare troppo il pianeta. Ma solo otto impianti industriali al mondo, di cui tre gestiti da Statoil, praticano il sequestro dell’anidride carbonica. La funzione di apripista in questa tecnologia ha finito per aggregare attorno alla compagnia norvegese tutti i migliori impiantisti, attratti dalla prospettiva di arrivare primi in un business nascente. «In prospettiva, sarà questo lo standard tecnologico per l’industria estrattiva», prevede Håvard Devold, vicepresidente di Abb, che fornisce tutte le soluzioni integrate per l’elettricità, l’automazione, le tlc e la strumentazione sia di Snøhvit che di Goliat.
L’inaugurazione in maggio del Technology Center Mongstad, vicino a Bergen, segna un altro passo avanti nell’impegno della Norvegia su questo fronte. Nel centro, una joint venture da un miliardo di dollari fra Statoil, Shell e Sasol, si sperimenteranno, per la prima volta su scala industriale, i due principali metodi di depurazione dalla CO2 sui fumi post-combustione di una raffineria e di una centrale elettrica a gas. Le due tecnologie, di cui sono proprietarie Alstom e Aker, sono già note e dovrebbero essere in grado di intrappolare il 90% della CO2, ma non sono mai state applicate su larga scala.