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 2012  luglio 08 Domenica calendario

BASILICATA SULLA MUCCA

Da qualche tempo è quasi di moda ripercorrere gli storici cammini di transumanza, che le mandrie utilizzavano al principio dell’estate per raggiungere i verdi pascoli in quota lasciandosi alle spalle l’arida pianura. Per esempio c’è un certo traffico sul celebre Tratturo magno che collega l’Aquila a Foggia (si veda Domenica - Il Sole 24 Ore del 4 settembre 2011). Del resto come sottrarsi al fascino del più antico dei viaggi?
La transumanza tradizionale è spesso data per estinta, o tutt’al più si usano dei camion per trasportare le bestie. La macchina della memoria si è già messa in moto e quando arrivo a Matera subito mi propongono ricostruzioni più o meno fedeli: feste della transumanza, transumanze didattiche etc. Salvo poi scoprire che gli allevatori sono sì scoraggiati e arrabbiati (soprattutto con la burocrazia e con i prezzi della carne fermi da trent’anni), ma non hanno perso affatto la voglia di partire a piedi con le loro bestie (almeno fino a quando l’alternativa è la disoccupazione). Vorrei provare a seguire una transumanza, ma è difficile azzeccare il giorno giusto (a parte che "di venere e di marte non si parte"). Si sa che il D-Day è verso la fine di giugno, ma può oscillare parecchio in dipendenza dal tempo che fa. Inoltre gli allevatori curano poco le pubbliche relazioni, accelerano o ritardano i preparativi per i motivi più svariati e bisogna imparare a cogliere i segni della partenza imminente, per esempio la separazione delle mucche dai vitelli. Poi qualcuno mi racconta di una mandria di mucche podoliche, caratteristiche di questa regione, che dovrebbe partire dalla costa ionica e risalire la valle dell’Agri e decido di aggregarmi.
I padroni e i capi mandria sono di qui e si fanno aiutare da alcuni ragazzi presi a giornata, a volte stranieri. Tutti indossano scarpe pesanti, abiti da lavoro, l’immancabile cappello, un meraviglioso bastone ricurvo con l’impugnatura a T. Si parte all’alba. Appena uscita dal recinto la mucca di testa con meravigliosa intelligenza prende la strada dei monti, che ricorda benissimo dall’anno prima. Nessuno la guida, i mandriani stanno per lo più di lato, sorvegliano e al massimo lanciano un grido o agitano il bastone con minacce alle quali non daranno seguito; il resto della mandria segue, lasciando dietro di sé una continua traccia di sterco. C’è parecchia polvere, ma soprattutto un rumore assordante prodotto da centinaia di grossi campanacci scossi a ogni passo.
Il primo tratto ricalca la strada asfaltata, anche perché questa ha ricalcato a sua volta il tratturo. Quando un’auto insiste per passare viene inglobata e sommersa dalla mandria che la risputa dall’altro lato. Scendiamo nel greto del fiume in secca che ci lascia ai piedi delle montagne. Tenere il passo è un’impresa sportiva, le mucche hanno quattro zampe, noi due, quindi si va a passo di marcia affrettato come un Masai: se cerchi di togliere un sasso dalla scarpa o di allacciarla resti indietro e poi devi correre, figurarsi se c’è spazio per le divagazioni letterarie e bucoliche che immaginavo. Arrancando per qualche ora sotto il sole sempre più caldo ci si guadagna il piacere di sostare alle fontane, con la testa sotto il getto d’acqua fredda, poi caciocavallo, fichi fioroni rubati e una birretta ("peroncino"): siamo a millimetri dal paradiso. Solo il cane fa più strada di noi, avanti e indietro con il pesante e puntuto collare di ferro: gli servirà quando resterà da solo con le bestie la notte in montagna dove, secondo i mandriani, ci sono i lupi in agguato (ma la guardia forestale nega). Pare comunque che le mucche sappiano difendersi piuttosto bene anche da sole.
Quando arriva la salita verso i pascoli l’impresa di tenere il passo con le mucche (che non rallentano) si fa disperata: scendo serenamente a patti col mio orgoglio e accetto grato un passaggio sull’auto di supporto. Per un ripido sentiero malamente carrozzabile, percorso tutto in prima, arriviamo a un abbeveratoio al centro di un pianoro. Vacche e uomini arrivano stremati come maratoneti al traguardo e si gettano sull’acqua. Qui si sosta nelle ore più calde della giornata, mangiando e dormendo sotto gli alberi mentre le bestie pascolano. A metà pomeriggio urla e fischi rimettono in moto la mandria. La sera si fa tardi intorno al fuoco e si dorme all’aperto su di una coperta, altrimenti si corrompe l’autista promettendo di comprare qualcosa per tutti e ci si fa portare al paese più vicino. A seconda della distanza, si resta sulla strada da un paio di giorni fino a una settimana.
Una volta arrivati si fa una grande festa, ma la ricompensa c’è già stata. Sia pure colta con la coda dell’occhio, la Basilicata intorno è pura bellezza: dapprima le piane aride, poi i calanchi, drammatici scoscendimenti del terreno, infine il verde tenero dell’Appennino. Dal fondovalle abbiamo visto scorrere sulle cime paesi come Craco, città fantasma che gli abitanti dovettero abbandonare per il pericolo di frane, oggi prediletta come set per i film (La Passione di Cristo di Mel Gibson), o l’Aliano di Carlo Levi (Cristo si è fermato a Eboli), che aspetta sotto il solleone, con qualche ottimismo, un turismo culturale richiamato dal suo parco letterario.
(con la collaborazione di Paolo Merlini)