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 2012  luglio 08 Domenica calendario

TIZIANO OSSESSIONATO DAI SOLDI

Le sole opere d’arte, spesso, non ci aiutano a comprendere la personalità di chi le ha realizzate. Osservando le composizioni spiritualissime di Giotto è difficile immaginare che il loro artefice fosse, in realtà, un cinico strozzino che prestava soldi e telai a usura. E così, contemplando le sublimi Madonne di Raffaello, l’ultima cosa che si riesce a pensare è che Sanzio fosse nella vita quotidiana un donnaiolo impenitente, talmente insaziabile da arrivare a rimetterci la pelle: Giorgio Vasari ci racconta che il pittore morì a trentasette anni per esplosivi eccessi amorosi.
Se la reale comprensione del carattere di un artista non può dunque essere affidata alla sola produzione artistica, che cosa serve, allora, per scandagliare meglio i meandri della personalità? L’ideale sarebbe che di ogni artista si fossero conservati gli scritti, come nel caso di Leonardo da Vinci, di Dürer o di Michelangelo. E, in particolare, sarebbe utilissimo poter disporre degli epistolari, come nel caso davvero emblematico di Tiziano Vecellio.
Sul preziosissimo epistolario di Tiziano si sono riaccese le luci della ribalta. Edito nel 1977 a cura di Clemente Gandini per iniziativa della Magnifica Comunità di Cadore e più volte ristampato fino al 1989, l’epistolario di Tiziano era da anni esaurito e introvabile. Ora, finalmente, la vistosa lacuna editoriale è stata colmata dalla nuova edizione curata da Lionello Puppi ed edita da Alinari 24 Ore per iniziativa della Regione Veneto, della Magnifica Comunità di Cadore e della Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore.
Bisogna subito sottolineare che non si tratta di una mera ristampa ma di una nuova e importante edizione critica. Per l’occasione, le lettere di Tiziano sono state ricontrollate a una a una ed emendate dagli errori di trascrizione e di ubicazione. Inoltre, le epistole sono state fornite di nuovi e più precisi commenti di inquadramento storico. E – cosa ancor più rilevante – con il lavoro di revisione critica si sono potute aggiungere altre dieci nuove lettere al corpus assemblato dal Gandini. Per cui oggi, tra lettere inviate e ricevute dal pittore (tra cui alcune perdute ma ben note grazie a testimonianze indirette), si è giunti a disporre di ben 279 numeri di catalogo. A queste lettere sono state aggiunte in calce tre missive inedite scritte da familiari di Tiziano, mentre con grande acribia ci si è preoccupati di identificare ed espellere dal catalogo ben 15 lettere e ricevute false, che i soliti buontemponi si erano divertiti a produrre e a spacciare per depistare e irridere gli "esperti del settore".
Dinnanzi al nuovo epistolario è naturale porsi tre interrogativi: come scriveva Tiziano? e a chi? e che personalità emerge da questo suo ricco carteggio?
Alla prima domanda risponde il saggio di postfazione scritto da Charles Hope. Lo studioso inglese ci rivela che Tiziano, quando scriveva di suo pugno, scriveva malissimo e in un italiano a dir poco sgangherato. «Horatio – scrive Tiziano al figlio il 17 zugno 1559 – el tuo tardar a scrivermi mi à dato molestia». Quando si rivolge ai familiari stretti il pittore è spesso brusco di modi, viene subito al sodo e non si cura minimamente né della calligrafia né della correttezza formale del suo scritto. Ma quando l’epistola deve raggiungere un potente della terra la musica cambia di colpo. In questi casi (e sono numerosissimi), Tiziano fa scrivere le lettere a scrivani di professione (come Giovanni Mario Verdizzotti) ma sappiamo anche che qualche lettera verrà scritta per lui da Pietro Aretino. Sono lettere dalle forme eleganti e melliflue, molto simili a quelle che il pittore riceve dalle cancellerie dei potenti ai quali si è rivolto.
Il rango degli interlocutori di Tiziano ci conferma il ruolo primario che il pittore veneziano ebbe nel contesto europeo del Cinquecento. Tiziano scrive e riceve lettere dagli imperatori Carlo V e Ferdinardo d’Asburgo, dal re di Spagna Filippo II, da signori italiani come Alfonso I d’Este, Isabella d’Este, Federico Gonzaga, Guidubaldo della Rovere. Scrive ai dogi di Venezia e al Consiglio dei Dieci, agli amministratori cesarei e ai cardinali più influenti della curia (come Alessandro Farnese) senza dimenticare gli intellettuali di punta (Pietro Aretino). A tutto ciò s’aggiungono le missive indirizzate o ricevute dai familiari, i figli Orazio e Pomponio, e la sorella Dorotea in particolare.
In tutte queste lettere si parla molto di opere d’arte, e si fa cenno al funzionamento della bottega di Tiziano al Biri Grande. Ma, a ben vedere, non sono questi gli argomenti dominanti. Al contrario, l’argomento davvero onniprensente è uno solo: la martellante ossessione di Tiziano per i soldi. A lui la tipica e un po’ stereotipata immagine dell’artista libero e disinteressato al denaro non si addice per nulla. Da questo punto di vista le lettere ci appaiono persino sconcertanti. Tiziano ricorre a ogni mezzo per riscuotere, in primo luogo, i profitti a lui promessi dai commintenti. Ma poi diventa persino asfissiante quando si tratta di sollecitare pensioni, prebende, privilegi e canonicati per sé e per i congiunti. Talvolta scrive e armeggia per non pagare troppe tasse alla Serenissima, talvolta per frenare le follie dello scapestrato figlio Pomponio, che si dimostra un giovanotto dalle mani bucate. E fa tutto ciò attraverso suppliche, petizioni, adulazioni, insinuazioni, furbizie e stratagemmi. Usando toni ruvidi, se i destinatari sono i familiari, oppure lamentosi e mielosi se i distinatari sono decisamente più augusti. Paradossalmente, Tiziano sperpera un sacco di soldi in spese legali e dissipa energie, tempo e serenità nel tentare di recuperare diritti che ritiene acquisiti e i crediti ancora insoluti, in particolare quelli dovutigli dal re di Spagna, al quale il pittore ha continuato per decenni a inviare opere senza vedere il becco di un quattrino. Dopo avere indirizzato al monarca spagnolo un autentico mazzo di lettere imploranti (sono le più numerose di tutto l’epistolario), nel 1574, alla fine della vita, Tiziano fa il suo ultimo disperato tentativo di riscossione: scrive al segretario di Filippo II (e in copia al figlio Orazio) elencandogli le opere che ancora gli devono essere pagate. Ma il pittore è vecchio ed è costretto ad ammettere che quelle tele elencate e «mandate a sua Maestà in diversi tempi da anni vinticinque in qua sono solamente una parte e non tutte, per non ricordarmele tutte». A furia di pensare ai suoi soldi, Tiziano si è dimenticato dei suoi quadri.