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 2012  luglio 08 Domenica calendario

COSE CHE NON SI POSSONO COMPRARE

«Can’t buy me love», (Non posso comprarmi l’amore), cantavano i Beatles negli anni Sessanta. E invece proprio da allora il mercato è entrato sempre più nella nostra vita e ha invaso campi che ritenevamo completamente estranei a rapporti economici e commerciali. Michael Sandel, tiene ad Harvard un corso semplicemente chiamato «Justice» che è stato messo in rete a furor di popolo (dopo milioni di passaggi su Youtube) e come pochi altri riesce a farci riflettere sulle implicazioni morali della vita di tutti i giorni.
Questo libro, come recita il sottotitolo, è dedicato ai limiti morali dei mercati. Ci sono cose che dovrebbero essere sottratte alla logica dello scambio? E perché gli ultimi decenni hanno visto una continua estensione del ruolo dei mercati? Perché dobbiamo preoccuparci se ci muoviamo verso una società in cui tutto è in vendita?
Sandel parte sempre da casi concreti e ci presenta una lista sterminata di beni e servizi che oggi si possono comprare e per cui c’è un mercato, anche fiorente. Dalla donazione del sangue, all’affitto dell’utero, al diritto di inquinare, alla possibilità di avere un secondo figlio in Cina, al diritto a saltare le code, alle polizze di assicurazione su malati terminali, ai futures sul prossimo attentato terroristico. La teoria economica prevalente non solo non ha nulla da obiettare, ma ritiene che questo porti solo vantaggi, perché i mercati sono il modo migliore per allocare le risorse e perché, come nel caso dei futures sugli attentati, «i mercati finanziari a termine sul succo d’arancia hanno previsto il tempo in Florida meglio del servizio meteorologico». Se solo avessero visto Una poltrona per due di John Landis, forse avrebbero meditato sul fatto che i mercati possono essere manipolati, ma tant’è.
Se si organizza un sistema di scambi per beni e servizi che finora erano sottratti al mercato si aumenta le trasparenza e a prima vista si realizzano condizioni da ottimo paretiano: tutti stanno meglio e nessuno sta peggio. Gli ospedali hanno più sangue per le emergenze, chi non vuole investire in tecnologie pulite paga una tassa per il maggiore inquinamento e così via. Ma ci sono due fondamentali valori della nostra società che vengono trascurati in questo giudizio: l’eguaglianza e la moralità.
Consideriamo l’eguaglianza. In una società in cui tutto è in vendita, la vita si fa sempre più dura per chi non ha mezzi. Se la ricchezza avesse l’unico vantaggio di aprire la strada a vacanze esotiche, auto di lusso e vini d’annata, la differenza fra ricchi e poveri sarebbe ragionevolmente tollerabile. Ma se l’elenco delle cose acquistabili si estende ad elementi essenziali della qualità della vita (la salute, l’accesso a scuole di eccellenza e così via) la differenza di reddito e di ricchezza pervade ogni aspetto della società. Ma c’è di più: lo scambio avviene nella maggior parte dei casi in condizioni di profonda ineguaglianza, che i talebani della mano invisibile del mercato ignorano completamente e dunque la creazione del mercato per questi beni e servizi diviene lo strumento per accentuare l’ineguaglianza e farla diventare elemento strutturale e pervasivo anche dei Paesi più avanzati.
Il secondo aspetto, ancora più sottile, riguarda la moralità. Gli economisti pensano al mercato come un’entità inerte e invece non è così. Una sacca di sangue acquistata non è la stessa cosa di una di sangue donata. Solo quest’ultima è frutto di un atto di generosità e di solidarietà, cioè di elementi essenziali della nostra vita. Il mercato può corrompere l’oggetto dello scambio, perché certi valori sociali vengono degradati quando possono essere semplicemente comprati e venduti. Questo tipo di argomentazione è completamente diverso dall’altro perché prescinde dalle condizioni soggettive di chi partecipa allo scambio. Anche un ricco e consenziente che vende un organo (o il suo corpo nel caso della prostituzione) compie un atto moralmente riprovevole perché degrada un concetto che dovrebbe essere sacro: il corpo umano o addirittura la donna in sé.
Sandel è tutt’altro che tenero con la teoria economica prevalente. Due critiche in particolare lasciano il segno. Primo: negli ultimi decenni l’economia ha preteso di estendere sempre più la sua sfera di influenza. Confrontando i testi più diffusi (Samuelson, negli anni Settanta; Mankiw, oggi) si scopre che un tempo l’economia si occupava di produzione, investimento, reddito e distribuzione. Oggi, vuole occuparsi di tutti gli aspetti della vita umana in cui i soggetti economici rispondono a incentivi. Si tratta, secondo Sandel, di un vero e proprio «imperialismo economico».
Secondo: la teoria economica prevalente esclude volutamente ogni argomentazione morale proprio perché il mercato è considerato un ottimo aggregatore di informazioni, prezzi e incentivi. Arrow diceva esplicitamente: «non voglio affidarmi troppo all’idea di sostituire le virtù all’interesse individuale». Summers, ancora più recentemente, afferma che un sistema di mercato «che è la somma di numerose valutazioni individuali sul benessere non può essere messo in discussione sulla base di una teoria morale indipendente». Morale e mercato diventano così due sfere che non si toccano.
Insomma, l’economista sta diventando come il cinico di Oscar Wilde: colui che sa il prezzo di tutto e il valore di niente. Forse la sua frenesia a estendere l’area dei prezzi e degli incentivi verrebbe frenata se meditasse sul proverbio indiano adottato da Madre Teresa: «Tutto ciò che non viene donato, va perduto».