Mario De Caro, Il Sole 24 Ore 8/7/2012, 8 luglio 2012
METAFISICA DEGLI ZOMBIE - I
vampiri sono creature spaventevoli ma le precauzioni contro di loro sono semplici: è sufficiente portarsi dietro dell’aglio. Anche contro i lupi mannari disponiamo di indicazioni chiare: basta non aggirarsi nelle brughiere durante le notti di plenilunio. Se però ci trovassimo davanti uno zombie – eventualità contemplata dalla negromanzia vudu e dai film di George A. Romero – la situazione sarebbe più preoccupante, perché in quel caso non si conoscono rimedi efficaci. O meglio, un rimedio contro gli zombie ci sarebbe, solo che andrebbe cercato dove proprio non penseremmo: nei libri di filosofia.
Da una ventina d’anni sugli zombie è in corso un vivacissimo dibattito che concerne la filosofia della mente e la metafisica: e una delle posizioni più autorevoli sostiene che non solo gli zombie non esistono, ma non sono nemmeno possibili – ovvero non potranno mai esistere. Chi sostiene questa tesi risolve il problema degli zombie alla radice; ma, così facendo, contribuisce anche a una causa filosofica oggi molto sentita: quella del fisicalismo, la concezione secondo cui tutto ciò che esiste ha natura esclusivamente fisica.
Ma cosa c’entrano gli zombie con la fisica? Un buon modo per capirlo è leggere la preziosa collezione di saggi New Perspectives on Type Identity. The Mental and the Physical, appena uscita per Cambridge University Press, a cura di Simone Gozzano e Christopher Hill, con saggi dei più importanti filosofi della mente, da John Perry a William Bechtel, da Frank Jackson a Jaegwon Kim. Il volume perora la causa del fisicalismo difendendo un suo corollario particolarmente importante ossia la tesi dell’identità tra gli stati mentali e gli stati neurofisiologici: una tesi da cui segue che la mente è identica al cervello e che una neuroscienza compiuta potrebbe dirci tutto ciò che c’è da sapere sui nostri stati mentali, con buona pace della psicologia.
Contro questa tesi sono stati proposti vari argomenti e uno dei più importanti concerne, appunto, gli zombie. Ma cosa sono gli zombie, secondo i filosofi? Sono creature indistinguibili dai normali esseri umani salvo per il fatto che non hanno alcuna esperienza cosciente. Gli zombie, insomma, sono identici a noi dal punto di vista fisico e comportamentale (hanno stati neurofisiologici come i nostri e si comportano come se provassero il dolore, vedessero i colori e apprezzassero i sapori), ma in realtà non provano né vedono né apprezzano alcunché. Ora, secondo David Chalmers, che si ispira alle idee di Kripke, la possibilità stessa di concepire individui come gli zombie, in cui l’identità fisica con noi non implica l’identità mentale, mostra che gli stati mentali non sono identici a quelli fisici (quando si dice che due cose sono identiche vuol dire che si tratta di un’unica cosa considerata sotto due aspetti diversi ma inscindibili: e dunque non è possibile che uno di questi aspetti si dia senza l’altro). Insomma, per Chalmers il mentale non è identico al fisico. Ma nel volume di Gozzano e Hill, Perry tenta di disinnescare questa argomentazione sostenendo che, al di là delle apparenze, gli zombie sono inconcepibili.
Un’altra importante argomentazione antifisicalista è stato sviluppata da Hilary Putnam negli anni Sessanta. Per comprenderla, è utile porsi una domanda apparentemente incongrua: «Quante lettere ci sono nella parola latte?». La domanda sembra sciocca, ma la risposta corretta non lo è, perché potrebbe essere 4 oppure 5: dipende infatti se contiamo i tipi di lettere (l, a, t, e) o le occorrenze di lettere (e in questo caso la "t" va contata due volte). Questa distinzione può essere usata per comprendere il rapporto tra gli stati mentali e quelli neurofisiologici. Consideriamo, per esempio, lo stato mentale del sentire dolore: secondo i fisicalisti, ogni sensazione di dolore è identica, in quanto tipo, a un certo tipo di stato neurofisiologico o, detto diversamente, tutte le sensazioni di dolore non sono altro che manifestazioni di determinati tipi di stati neurofisiologici a cui sono identiche. Ma a ciò Putnam obiettò: è ovvio che creature molto diverse da noi, come i polpi, provano dolore. E il dolore dei polpi non può certo corrispondere allo stesso tipo di eventi neurofisiologici a cui corrisponde il nostro dolore, perché quegli strani animali hanno un cervello molto diverso dal nostro. Quindi, al contrario di quanto pensano i fisicalisti, il dolore non può essere identico a un unico tipo di stato neurofisiologico.
Vari saggi dell’antologia attaccano l’argomento di Putnam. Secondo Hill, in particolare, noi abbiamo la naturale tendenza ad antropomorfizzare: ed è per questo che pensiamo che le formiche possano provare dolore (salvo ricrederci quando ci viene mostrato quanto il loro apparato neurale sia semplice). Ma l’argomento di Putnam si potrebbe difendere da questa obiezione osservando che con i polpi la faccenda è diversa, e che non è facile convincerci che non possano provare dolore. Sia come sia, il caso del fisicalismo è riaperto e lo resterà per molto tempo.