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 2012  luglio 08 Domenica calendario

CARO HIGGS, QUANTO SEI STANDARD!

L’annuncio, atteso, sofferto e molte volte rimandato, della rivelazione della particella di Higgs è infine stato dato mercoledì al Cern di Ginevra. I fisici nel mondo esultano; sulle prime pagine di tutti i giornali si parla della «particella di Dio». La visibile commozione di Peter Higgs, ottantenne, che aveva intuito quarant’anni fa della particella oggi chiamata con il suo nome, è una fotografia della vertigine della scienza. L’espressione «particella di Dio» però è una detestabile invenzione giornalistica. Fa orrore a tutti i fisici, ma penso che dovrebbe fare orrore anche alle persone con senso religioso. L’origine dell’espressione è un libro che il fisico Leon Lederman voleva intitolare The God-dam Particle, cioè più o meno «Maledetta particella», in riferimento alla sua elusività. L’editore, con fiuto commerciale ma pochissimo buon gusto, ha tolto il «dam» da «God-dam», lasciando «The God Particle», la particella di Dio, titolo senza senso, ma che cattura il pubblico. Si chiama «particella di Higgs» e non è né più né meno figlia di Dio di tutte le altre particelle che costituiscono il mondo. Per favore, smettiamo di chiamarla così.
Perché allora la sua rivelazione è importante? Perché chiude un cerchio. Un’avventura durata mezzo secolo, dove una nutrita schiera di scienziati ha portato alla luce una struttura profonda che regge la natura di tutta la materia di cui è fatto il mondo. Circa quarant’anni fa, per cercare di mettere ordine fra le particelle osservate, sono state gettate le basi della teoria oggi conosciuta con il poco entusiasmante nome «Modello Standard». Hanno contribuito non pochi scienziati italiani: Nicola Cabibbo, Luciano Maiani, Gianni Jona-Lasinio, Carlo Rubbia, Guido Altarelli e Giorgio Parisi, solo per nominare i più eminenti; e oggi la portavoce di uno dei due esperimenti che hanno rivelato la particella, Fabiola Gianotti, è italiana. Ma, come la maggior parte delle grandi imprese della scienza, il Modello Standard e il decennale sforzo per verificarlo sono il risultato di una collaborazione fortemente internazionale: il successo viene quando i Paesi collaborano, e in questo la grande scienza è un modello da imitare.
Per orientare il lettore, il Modello Standard si situa all’interno del quadro concettuale della fisica moderna, costruito nei primi decenni del secolo scorso e formato dalla meccanica quantistica e dalla relatività speciale. Il Modello Standard descrive tutta la materia e tutte le forze eccetto la gravità. Quindi include (ed estende) l’elettrodinamica di Maxwell, ma non include la forza di gravità, descritta in passato dalla gravitazione universale di Newton, e oggi dalla relatività generale di Einstein. Ma il Modello Standard è una teoria strana. Non ha la luminosa semplicità delle grandi teorie, come appunto la gravitazione universale di Newton, l’elettrodinamica di Maxwell, o la relatività generale di Einstein: teorie la cui sterminata ricchezza si può riassumere, per ciascuna, in una semplice e breve equazione. È invece una teoria intricata, costruita pezzo per pezzo, mettendo insieme misure raffinate, indizi, idee brillanti, guizzi di fantasia, calcoli tecnici pesanti e faticosi, e strani argomenti involuti. Il risultato è una struttura matematica articolata, che molti continuano a giudicare troppo complessa e artificiosa per essere credibile: un patchwork di pezzetti aggiustati.
Un professore dell’Università di Bologna introduceva non molto tempo fa il corso sul Modello Standard dicendo agli studenti «quelli fra voi con genuino spirito da teorici troveranno questa teoria indigeribile». All’inizio, in effetti, nessuno aveva preso il Modello Standard del tutto sul serio. La varietà delle particelle osservate e delle loro reazioni veniva ridotta a un paio di forze che agiscono su una famigliola di una quindicina di particelle "elementari", il tutto organizzato da una raffinata e complicata struttura matematica. Ma sembrava un gioco a incastri troppo intricato per essere realistico: più un esercizio di stile che una scoperta della struttura del mondo. Invece, una dopo l’altra, con micidiale accuratezza, tutte le previsioni del Modello Standard si sono rivelate esatte.
A ogni passo, i fisici dicevano «ma guarda un po’», poi scuotevano la testa aspettandosi che comunque non sarebbe andata bene la prossima volta. E invece inesorabilmente la sorpresa era sempre che non succedeva nulla di sorprendente rispetto alle previsioni del misconosciuto Modello. Le più spericolate acrobazie teoriche utilizzate per costruire quest’incastro sorprendente, si rivelavano colpire nel segno: particelle venivano scovate esattamente là dov’erano state previste, e le misure più accurate non facevano che confermare calcoli già fatti dai teorici. Restava un ultimo buco: la particella di Higgs. Ma era un buco maggiore, perché si trattava di un’ipotetica particella di un tipo diverso da tutte le altre osservate, e la sua giustificazione era molto indiretta.
Grossomodo, l’argomento di Peter Higgs e colleghi era stato questo: gli esperimenti indicano che fra le particelle agiscono forze a corto raggio, cioè forze che agiscono solo da molto vicino. Ma non si conoscono appropriate teorie per forze a corto raggio. L’idea di Higgs è stata d’immaginare che le forze fossero in realtà a lungo raggio, ma esistesse una particella che agisse da schermo, e, per così dire, mangiasse l’azione a lungo raggio. Un simile macchinoso ingranaggio avrebbe dovuto funzionare anche per la massa delle particelle elementari: osserviamo che hanno massa, ma riusciamo a scrivere teorie per rendere conto delle forze che le guidano solo per particelle senza massa.
L’idea è allora immaginare che le particelle siano sì senza massa (come i fotoni), ma la particella di Higgs interagisca con tutte le altre, per così dire frenandole, in modo che queste si comportino infine come se avessero una massa. È un argomento contorto, e non credo che tutti fossero pronti a mettere una mano sul fuoco sulla sua attendibilità. Fino a ieri. Ma quest’intricato ingranaggio è l’unica teoria coerente sulla natura della materia che l’umanità era stata capace di scovare. L’anno scorso avevo chiesto a molti colleghi fisici se si aspettassero che la particella di Higgs esistesse davvero. Parecchi avevano risposto di no. E invece eccola lì. Scintillante e, per quanto si riesce a vedere finora, tale e quale la prevede il Modello Standard. Insomma, il Modello Standard è un successo, ma lascia qualcosa di amaro nella bocca. Sembra un successo controvoglia. Molti fisici dicono chiaramente che avrebbero preferito che il Modello Standard non funzionasse. Così sarebbe stato più chiaro dove andare a cercare per trovare una teoria più pulita.
Ricordo all’inizio degli anni Ottanta Carlo Rubbia annunciare le prime spettacolari conferme del Modello Standard, che poi lo avrebbero portato al Nobel, e subito aggiungere che però già «intravedeva» discrepanze con i dati. Non era vero, non c’erano. Da trent’anni, ogni conferma del Modello Standard è accompagnato da contorsioni per dire che però già vediamo «prime indicazioni» di nuove teorie. «Prime indicazioni» che puntualmente evaporano. Questa volta non fa eccezione, e, mentre il Modello Standard trionfa, ancora una volta già in molti si affannano per aggiungere che però questo non vuol dire che lo dobbiamo prendere sul serio.
Che significa questo riluttante successo? Forse, significa che i nostri giudizi estetici sulle teorie fisiche sono da rivedere. Forse solo oggi, davanti al successo mozzafiato di questa mistrattata teoria, si può cominciare a valutarne serenamente la portata. Forse è il nostro giudizio estetico che si deve adattare alla natura e non viceversa. A ben guardare, anche le equazioni di Maxwell, che oggi sembrano tanto semplici e compatte a un fisico teorico, apparivano invece intricate e strane nei primi lavori di Maxwell. Anch’esse all’inizio erano un patchwork di pezzi sconnessi messi insieme. Pian piano, abbiamo imparato ad apprezzarne la geometrica semplicità. La natura è più intelligente di noi. Siamo noi che dobbiamo imparare come pensarla, non cercare di forzarla nelle nostre idee a priori di semplicità.
Il Modello Standard non è certo la parola fine della fisica teorica; non capiamo la natura della materia oscura, manca ancora la teoria completa per la gravità. Ma mercoledì abbiamo imparato che il Modello Standard è un passo avanti maggiore verso la comprensione della natura, e dobbiamo prenderlo sul serio. Mi vengono in mente alcune letture estremiste prodotte dalla sociologia della scienza, secondo le quali la verità è solo interna a una comunità, e mi viene da sorridere. «Non c’è nulla di più triste di una bella idea smentita dai fatti bruti», scriveva Thomas Henry Huxley. Oggi, dopo l’annuncio del Cern, si potrebbe aggiungere «non c’è nulla di più entusiasmante di un azzardo teorico, confermato dai fatti bruti». La forza di un pensiero che riesce a prevedere intere classi di fenomeni naturali decine di anni prima di avere la tecnologia per osservarli è a mio parere una delle prove più belle dell’efficacia della ragione, ma soprattutto della sua difficile, mediata, ma non impossibile, relazione con il mondo reale. La scienza non è l’operazione di adattare il reale alle proprie categorie, come vuole la cattiva filosofia della scienza: è lo sforzo continuo di scovare e poi abituarsi a categorie nuove che si adattino al reale.