Francesca Barbieri, Il Sole 24 Ore 9/7/2012, 9 luglio 2012
PER UN LAUREATO SU 4 TITOLO DI STUDIO INUTILIZZATO AL LAVORO
Faticano a trovare un lavoro e, quando ce la fanno, in un caso su quattro il posto conquistato non è all’altezza del loro curriculum. Come dire: gli anni spesi sui banchi di scuola non danno i frutti sperati. È questa l’istantanea dei laureati italiani, scattata dal centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore, andando a indagare lo status occupazionale dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni e mettendolo a confronto con quello dei diplomati tra i 20 e i 24 anni. Il focus registra più "sovraistruiti" tra i dottori: una quota doppia - 26,8% contro 13,4% - che svolge mansioni low skill rispetto a quanto avviene per chi si ferma alla maturità.
«Il fenomeno è abbastanza omogeneo sul territorio - spiega Michele Pasqualotto, ricercatore di Datagiovani -, sebbene si riscontrino tendenze più ampie nel Centro Italia e nel Nord-Est». Balzano agli occhi i dati del Lazio (quasi un laureato su tre è sovraistruito) e quelli di Friuli-Venezia Giulia e Veneto (circa 3 su 10).
La crisi ha appesantito il trend, con un aumento della quota di overeducated tra i laureati del 5,6% rispetto al 2007, senza contare che il tasso di disoccupazione, per questa categoria, è salito al 16 per cento (sette punti in più rispetto alla media europea).
«È indubbio che le nuove generazioni - commenta Stefano Manzocchi, direttore Luiss Lab of European Economics - siano state più penalizzate in questi ultimi 15 anni, dovendosi spesso adattare a occupazioni di ripiego rispetto ai più anziani. Si è inoltre instaurato un circolo vizioso tra bassa domanda e bassa offerta di alte qualifiche, con pochi laureati "scientifici" che hanno disincentivato le imprese a investire su queste specializzazioni. È sulla composizione della forza lavoro che occorre cambiare qualcosa: nei curricula c’è troppo liceo classico e poca preparazione scientifica, troppe lauree generaliste e poche tecniche».
Restringendo l’obiettivo sugli indirizzi emerge, infatti, che mentre solo l’8% dei medici occupati è iperqualificato e si sale al 14,5% nel caso di ingegneria e architettura, il vero gap riguarda le discipline umanistiche, con il 36% dei laureati che svolge un lavoro di basso profilo (con un aumento del 9,5% rispetto al pre-crisi). Considerando anche gli sbocchi più qualificati ma che non hanno affinità con il curriculum (ad esempio un laureato in lingue assunto come quadro nell’ufficio del personale di un’azienda meccanica) il mismatch per gli umanisti si registra nel 53,6% dei casi.
«Evidenti segnali - osserva Paolo Gubitta, docente di organizzazione aziendale dell’Università di Padova - di errori nella scelta della facoltà o nella porta d’ingresso nel mondo del lavoro: l’aumento del gap degli ultimi cinque anni è sintomo della disperazione dei giovani laureati di oggi, che legittimamente considerano che lo stipendio valga più della soddisfazione professionale». Ci si adatta a quello che il mercato offre, magari sperando di acquisire nuove competenze o approfittare di fasi transitorie che possano condurre a mestieri più attinenti agli studi fatti. «Va detto - precisa Emilio Reyneri, docente di sociologia del lavoro all’Università di Milano Bicocca - che lo squilibrio tra il livello delle competenze possedute e quello delle abilità richieste è spesso inferiore al gap tra titolo di studio e inquadramento professionale: sono soprattutto i giovani con bassi voti a svolgere lavori non adeguati, con il rischio di restarvi intrappolati per tutta la vita lavorativa in assenza di formazione continua».
La fotografia di Datagiovani rileva, infine, come in media il fenomeno della sottoccupazione sia più consistente tra le giovani laureate, che nel 30% appaiono troppo istruite rispetto agli sbocchi professionali, circa dieci punti percentuali in più degli uomini, con un divario pressoché costante in tutte le discipline e con l’unica eccezione di quelle umanistiche, in cui è leggera la prevalenza maschile.