Mario Giordano, il Giornale 8/7/2012, 8 luglio 2012
L’importanza di chiamarsi Mario - Mi chiamo Mario. Scusate se ve lo faccio notare, finora avrei preferito passasse inosservato
L’importanza di chiamarsi Mario - Mi chiamo Mario. Scusate se ve lo faccio notare, finora avrei preferito passasse inosservato. Ma, che ci volete fare? Forse per la prima volta nella mia vita in questi giorni vado orgoglioso del mio nome. «La prima volta» lo dico con un senso di colpa per il mio povero nonno, da cui eredito il battesimo, e per i miei genitori che ne sono sempre andati fieri, ma non è mai stato facile chiamarsi come il facsimile della carta d’identità: Mario Rossi o Mario Bianchi, sul cognome da inserire nei modelli fasulli c’è sempre stata qualche incertezza, sul nome mai. Qual è il più banale, più comune e più bistrattato d’Italia? Ovvio: il mio. Mario. Un nome anonimo, cioè un nome non-nome. Un ossimoro anagrafico. Buono al massimo per indicare qualcuno che non esiste davvero. Come Pincopallo o Tiziocaiosempronio. Provate voi a viverci incapsulati dentro. Ma quest’estate, cari Mario d’Italia,possiamo buttare alle spalle decenni di frustrazioni nominali e deludenti appelli. Quest’estate è arrivata l’ora della nostra rivincita. Avanti Mario, alla riscossa. Siamo in 810.120 in tutta Italia, l’1,34 per cento della popolazione, e fin almente possiamo essere orgogliosi. Tutti quelli che contano in questo momento portano il nostro nome: chi è il campione di calcio che ci ha fatto sognare agli Europei? SuperMario Balotelli. Chi è il più potente uomo dell’economia europea? SuperMario Draghi. E il premier che ha salvato l’Italia dal crac? Super-Mario Monti. (Sì, è vero, Monti ha inventato anche l’Imu, ma forse in quel momento si è fatto chiamare per cognome). Voi capite che si tratta di un cambiamento epocale. E non immaginate quanto mi piacerebbe poter incontrare quella zia che ha tormentato la mia infanzia chiamandomi con l’orrendo diminutivo e sbatterle in faccia la parola che oggi va così di moda: macché Mariolino e Mariolino, oggi c’è solo super Mario. Che il nome vada di moda lodimostra anche l’ultimo episodio di cronaca: persino il neonato abbandonato a Milano nella ruota degli esposti, e subito adottato da tutto il Paese, l’hanno chiamato Mario. Voi immaginate se fosse successo solo qualche tempo fa? L’avrebbero chiamato Samuele, Gabriele, Matteo, Luca, Edoardo o Ermengardo, in qualsiasi modo, insomma, meno che Mario. A nessuno sarebbe venuto in mente di battezzarlo così. E se a qualcuno fosse venuto in mente l’avrebbero subito ritenuto offensivo: povero piccolo, ha già subito tanti affronti dalla vita, perché affibbiargli anche questo? Senza una famiglia passi ancora, ma perché pure senza un nome? Fra l’altro, se tutto va bene, senza una vera famiglia ci resterà solo per un periodo, senza un vero nome rischierebbe di restarci tutta la vita. Così avrebbero detto fino all’altro giorno. Ma adesso è cambiato tutto. Adesso è cominciato il Mario Pride, adesso è cominciata la nostra era, l’era degli ex Tiziocaiosempronio. E dunque avanti, smettiamo i panni di Pincopalli qualsiasi: finalmente possiamo sventolare l’atto di battesimo senza che qualcuno lo scambi per la riproduzione anastatica di un originale che non c’è. Ma sì: finalmente possiamo rifarci di anni di umiliazioni, malumori silenziosi e evidenti affronti. Possiamo dimenticare l’età dell’oratorio quando eravamo sommersi da schiere di Andrea, Claudio, Fulvio e Federico che ti guardavano con evidente senso di superiorità battesimale e un po’ di malcelata compassione. Glielo leggevi negli occhi: «Poveretto, si chiama così», pensavano. Come se per loro fosse bizzarro incontrare quel nome non nome al di fuori dalla bocciofila e dall’ospizio, i luoghi dei vecchi insomma, dove qualche avanzo di Mario era ancora giustificato, come i mobili antichi in soffitta e le foto seppiate nell’album di famiglia. Ma fuori di lì, no. Fuori di lì potevi chiamarti Massimo, Paolo, magari Ernesto, che sembrava essere una cosa importante, almeno stando a quel che diceva la locandina del teatrino parrocchiale. Ma qualcuno avrebbe mai pensato allora che un giorno sarebbe andata in scena «L’importanza di chiamarsi Mario»? Negli anni seguenti, poi, è stato ancor peggio. È esplosa la mania dei nomi strani. Hanno cominciato i Vip: Oceano, Leone e Vita Elkann, Chanel Totti, Nathan Falco Briatore, Mia (figlia di Alessia Marcuzzi), Swami (figlia di Elenoire Casalegno). E come può reggere un Mario qualsiasi un confronto con Nathan Falco? Ve lo immaginate voi l’incontro fra Mario Rossi e Oceano Elkann? Di conseguenza, per restare al passo con i tempi e non escludere a priori la loro progenie dalle pagine di Chi , anche i non vip si sono adeguati. Ed è cominciata la carica di Shaula, Zoe, Fucsia, Gulliver, addirittura Megangale e Solidea, fino ad arrivare a quella coppia di Genova che è stata fermata dalla Cassazione perché voleva chiamare il figlio Venerdì. Costretta a rinunciare, ha annunciato una nuova battaglia: «Va bene, il prossimo lo chiamiamo Mercoledì ». Voi capite che sotto questa pioggia di originalità, noi poveri Mario abusati e qualunque ci sentivamo un po’ spersi, fuori luogo, senza speranza. Invece, ecco, fra uno spread, un gol agli Europei e una ruota degli esposti, all’improvviso è arrivata la rivincita. Ora ne abbiamo proprio la certezza: questa è l’estate dell’orgoglio mariano, questa è l’estate della riscossa degli ex mariolini diventati super Mario ( cara zia, rassegnati). E dunque avanti, un po’ di coraggio, tirate fuori la carta d’identità e gridatelo forte con la grinta di Ugo Mario Fantozzi: Oceano, Swami e Nathan Falco sono una boiata pazzesca. Per essere davvero à la page bisogna chiamarsi con il nome più comune che ci sia. Il nostro, il mio. Mario. E scusa nonno per tutte le volte che sono venuto davanti alla tua tomba un po’ risentito, dicendoti: non era meglio se ti chiamavi Genoveffo? Mario Giordano