PAOLO BRUSORIO, La Stampa 9/7/2012, 9 luglio 2012
Tardelli 30 anni dopo “Io di quell’urlo non mi stuferò mai” - Marco Tardelli campione del mondo: trent’anni dopo che effetto fa? «Che sono invecchiato
Tardelli 30 anni dopo “Io di quell’urlo non mi stuferò mai” - Marco Tardelli campione del mondo: trent’anni dopo che effetto fa? «Che sono invecchiato...No, è una bellissima sensazione. Dopo tutto questo tempo, sento quella vittoria ancora più una cosa mia. Le generazioni cambiano, la gente giustamente vive il presente e tende a dimenticare. Noi che c’eravamo, no. Quella vittoria simbolo degli Anni Ottanta: il decennio del benessere. Ve ne siete resi conto subito? «L’abbiamo capito dopo: siamo stati fieri di aver dato una mano alla crescita dell’Italia». Chi non vi ha visto cosa si è perso? «Mi auguro che in 30 anni siano riusciti a recuperare... E a chi non l’ha fatto dico: “Vi siete persi un grande spettacolo, che peccato”». Trent’anni dopo i segreti cadono in prescrizione, che cosa non è ancora stato svelato di quell’avventura? «È stato detto tutto, cose esatte e inesatte. La questione è chiusa». Amici, compagni, colleghi: che cosa eravate? «Alcuni amici e altri no, c’erano dei clan, ma eravamo tutti professionisti. C’è chi è rimasto amico anche dopo e chi invece no. Ma come in tutti i campi della vita». Paul Mc Cartney fatica a ripetere le canzoni dei Beatles, quasi fossero un’ossessione. Su Google «Tardelli e urlo» hanno 26.000 voci: come la mettiamo ? «Le canzoni le puoi ripetere, basta volerlo. Quell’urlo no: bisognerebbe giocare per rifarlo. Se ci provo adesso come minimo mi strappo, ma io di quell’urlo non mi stufo mai». Che posto occupa l’Italia mundial nella storia del calcio? «Sta molto in alto. Intanto perché uno di noi è già lassù, e parlo di Gaetano-Scirea ovviamente-: è stata una grande squadra, con molta personalità. Ha battuto avversari come Argentina e Brasile che forse avevano qualcosa di più dei rivali di adesso. E poi, siamo diventati campioni del mondo: quando succede si sta sempre molto in alto». Ha fatto da spartiacque al calcio italiano? «Fino all’arrivo di Bearzot la Nazionale giocava un calcio poco offensivo, ricordiamoci quella degli Anni Settanta. Poi con lui abbiamo cambiato sistema, gli davano del difensivista e non lo era. Fin dal Mondiale del ’78». Se fosse ancora in vita che cosa direbbe Bearzot per questi trent’anni? «Lui ha detto molto quando allenava, poi quando si è ritirato ha parlato sempre di meno. Era un uomo severo e buono, amava l’onestà e sceglieva gli uomini anche in base a questo valore. Mi capiva e non solo perché mi faceva giocare». Così vi avrebbe chiamato dopodomani? «Forse ci saremmo sentiti, quello sì. Ma senza grandi discorsi, tra noi bastavano gli sguardi». Messico ’70, poi Madrid ’82, Dortmund 2006, infine Varsavia 2012: perché i tedeschi perdono sempre contro di noi? «Abbiamo qualcosa più di loro tatticamente e furbescamente. E gli è venuto il complesso degli italiani». Il volto della Nazionale vice campione d’Europa è quello di Balotelli: avrebbe giocato con voi? «A me piace molto e diventerà grande se riuscirà a disciplinarsi. Tecnicamente con noi ci sarebbe stato, il problema è un altro». Quale? «Una volta c’era più serietà nella gestione del gruppo, c’era il rispetto per gli anziani. Ognuno di noi sapeva quali fossero le gerarchie e anche di doverle rispettare. Sapevamo che quando parlavano Bearzot e Zoff dovevamo solo ascoltare. Senza tante discussioni». Quindi avrebbe fatto fatica a stare in gruppo? «No. Si sarebbe adeguato a quel sistema e si sarebbe comportato diversamente». Un campione del mondo ha una partita che avrebbe voluto giocare? «No. Io le vorrei giocare tutte, amo il calcio, vorrei poter ricominciare tutto daccapo». «L’Itallia ha battuto il Brasile per fantasia, la Germania per gioco di squadra: il punto debole è stato il rigore»: 13 luglio 1982, Mario Monti. Allora solo opinionista per Il Corriere della Sera: si ritrova in questa definizione? «Dopo 30 anni è cambiato poco, la Germania ha perso ancora. Ora il problema è un altro per Monti: dovrà battere gli italiani, e non sarà un’impresa facile».