FEDERICO VARESE, La Stampa 9/7/2012, 9 luglio 2012
NEL CUORE DI LONDONGRAD
L’ Alta Corte di Giustizia dell’Inghilterra e del Galles è in un imponente palazzo sullo Strand di Londra. Chi oggi avesse l’ardire di passare sotto i portici in stile neogotico e sottomettersi allo sguardo di eminenti giudici e avvocati del passato, non si troverebbe in una favola vittoriana o in un libro di J. K. Rowling, ma nel cuore di una delle più complesse e affascinanti vicende della Russia moderna.
Il visitatore deve trovare, nel labirintico palazzo, l’aula 06-1218 della sezione commerciale per poter assistere ad un processo che promette di svelare particolari inediti su come gli oligarchi russi hanno accumulato le loro immense fortune negli Anni Novanta e sul (presunto) ruolo della mafia di quel Paese nell’industria dell’alluminio. E capirebbe un volta per tutte perché la capitale inglese è da circa vent’anni una succursale dei miliardari moscoviti, tanto da essere stata ribattezzata LondonGrad (titolo di un intrigante reportage del 2009 di due giornalisti inglesi, Hollinghsworth e Lansley).
I protagonisti di questo processo sono Michael Cherney, un imprenditore ucraino di sessant’anni che oggi vive in Israele, e Oleg Deripaska, il miliardario quarantenne che controlla RusAl, il maggior produttore di alluminio al mondo. Se questo fosse un film, la prima scena dovrebbe essere ambientata nel Lanesborough Hotel, un albergo di lusso con vista su Hyde Park, cinque stelle, salette riservate, non più di cinquanta stanze e prezzi da capogiro. Periodo: marzo 2001. Le «guerre dell’alluminio» per il controllo di un’industria multi miliardaria avevano fatto diversi morti in Russia negli Anni Novanta, ma coll’inizio del nuovo secolo erano agli sgoccioli. Stava per vedere la luce un’unica azienda, Russian Alluminium (RusAl), con il beneplacito del Cremlino e l’accordo dei principali oligarchi del tempo, come Boris Berezovsky, oggi in esilio a Londra, e Roman Abramovich, oggi padrone del Chelsea.
Cherney e Deripaska si incontrano al Lanesborough Hotel per decidere come inglobare una loro compagnia, Siberian Alluminium, nel nascente gigante RusAl. Dopo un breve apparizione nel bar della Biblioteca dell’albergo (Deripaska è astemio), i due si spostano nella suite reale. A questo punto le versioni divergono e chi ne scrive sa di entrare in un campo minato, dove le esplosioni sono citazioni in giudizio per diffamazione. Cherney sostiene di aver accettato di vendere la sua quota di Siberian Alluminium a Deripaska in cambio di 250 milioni di dollari e del 20 per cento delle azioni della compagnia che si stava formando, Russian Alluminium. Deripaska conferma di aver consegnato i 250 milioni a Cherney, ma nega l’accordo per la cessione del 20 per cento delle azioni di RusAl. Anzi, rilancia sostenendo che i 250 milioni dati a Cherney erano solo l’ultima tranche del pizzo che pagava al suo ex partner e alla famiglia mafiosa Izmailovskaya, guidata dal boss Anton Malevsky.
Cherney nega la ricostruzione di Deripaska e ogni rapporto con la criminalità organizzata, ma ammette di aver conosciuto superficialmente Malevsky. Il programma televisivo Itogi trasmise nel 1997 una registrazione di un incontro tra i due nell’Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, ma è difficile provare la veridicità del video. Insomma, questo è il centro del campo minato delle accuse e controaccuse di due uomini che oggi dispongono dei migliori avvocati della City. Se Cherney vincesse la causa, il risarcimento potrebbe essere il più alto mai pagato in un tribunale inglese e servirà un procedimento separatoper stimarne l’entità.
Nei primi Anni Novanta, l’imprenditore di origine ucraina domina l’alluminio russo. Nel 1993 incontra nella capitale inglese Deripaska, appena laureato in fisica, un giovane introverso, intelligentissimo e infaticabile. Cherney ne fa il suo pupillo. In poco tempo Deripaska diventa Direttore Generale di un impianto in Siberia e, nel 1994, vanta un consistente pacchetto di azioni nell’impero di Cherney. In questo periodo, la lotta per il controllo dell’industria è senza esclusione di colpi. Deripaska ha dichiarato al «Sunday Telegraph» diversi mesi fa: «Due settimane dopo la prima minaccia, sparano alla testa del mio direttore commerciale. Da allora ho deciso che era meglio pagare». Al processo che si apre oggi a Londra diversi testimoni - alcuni con il beneficio dell’anonimato - ripercorreranno gli episodi più salienti di questa «guerra».
Sia Cherney che Deripaska sono personaggi complessi. Il primo finanzia un forum sulla sicurezza in Israele, l’Intelligence Summit, ben frequentato da agenti americani e israeliani, ha rapporti con la politica del suo Paese e devolve ingenti somme in beneficenza. Ma se Cherney calcasse di nuovo le strade di LondonGrad verrebbe arrestato: l’accusa, di fonte spagnola, è riciclaggio. La sua testimonianza sarà in video. Deripaska a sua volta si è visto rifiutare un visto di ingresso negli Stati Uniti, perché sembra essere sotto inchiesta da parte dell’Fbi. Questo non impedisce all’imprenditore russo di intrattenere ospiti importanti nella sua casa di Belgravia in stile Regency, dal valore di 17 milioni di dollari. E non deve stupire se la sera del 22 agosto del 2008 si ritrovarono sulla Queen K di Deripaska ormeggiata a Corfù, il futuro Cancelliere dello Scacchiere del governo conservatore, George Osborne, Lord Mandelson, fidato consigliere di Tony Blair, all’epoca Commissario europeo per il commercio e di lì a poco ministro nel governo di Gordon Brown, e Nat Rothschild, rampollo della grande famiglia di banchieri e socio di Deripaska.
Anche chi non può permettersi un drink al Lanesborough Hotel o un passaggio sulla Queen K è oggi invitato ad un incontro di super-ricchi. Ma il palco d’onore dovrebbe essere riservato alle generazioni di operai dell’Urss che hanno dedicato la loro vita alla costruzione di impianti industriali in uno dei luoghi più inospitali del mondo. Forse capiranno che fine hanno fatto i loro sforzi.